Da ex capo scout AGESCI vi dico: “parliamoci!”
Riflessioni di Giorgio del gruppo Progetto Ruah di Trieste, 6 maggio 2012
Mi chiamo Giorgio, 45 anni, scout, molto contento di quanto ho ricevuto dall’AGESCI e convinto di aver fatto a mia volta, a suo tempo, un buon servizio educativo come Capo Reparto per diversi anni. In merito al dibattito suscitato dalla pubblicazione degli atti del seminario organizzato dall’Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani (AGESCI) su “L’educazione fra orientamento sessuale e identità di genere”, e “all’attacco” di Repubblica, vorrei proporre qualche riflessione.
L’articolo di Repubblica non è certo un esempio di buon giornalismo. Si inventa delle “linee guida” che l’AGESCI non ha mai scritto. Come detto da molti, basta leggere per intero gli “atti” per constatare che il seminario è soltanto il primo passo di un percorso. Al di la delle relazioni, per lo più discutibili e parziali, quello che è interessante e importante è il resoconto del dibattito dei “gruppi di lavoro” in cui invece del parere degli esperti, si possono leggere le riflessioni degli educatori dell’associazione a cui il seminario era dedicato.
Quel che si legge è lo specchio di una realtà variegata (per fortuna!) così come variegata è la realtà dei gruppi scout in giro per l’Italia. I gruppi dicono cose a volte discordanti tra loro, ma non c’è traccia di atteggiamenti così chiusi o omofobi.
Al contrario, leggendo sono stato contento di ritrovare l’idea che l’associazione si deve rapportare col magistero con rispetto, ma non senza spirito critico (si perchè un tempo l’associazione era molto libera e feconda in questo senso mentre ultimamente sembrava chiudersi e appiattirsi all’obbedienza). Io non andrei tanto dietro alla caccia agli untori scatenata da Repubblica (molto più equilibrato il giornalista Marco Politi sul Fatto Quotidiano): credo che proprio noi dovremmo essere vaccinati, accorgerci subito quando scattano meccanismi “persecutori” anche quando sono contro i nostri avversari. E non andarci dietro alla leggera.
Non credo poi che alzare i toni aiuti il dialogo e potrebbe anche mettere in difficoltà chi in associazione sta lavorando per fare passi avanti. Chi davvero crede nella pace e nel dialogo, di solito le prende da destra e da sinistra! Nei resoconti dei lavori di gruppo, c’è una richiesta precisa dei capi che impegna l’associazione ad approfondire e a migliorare la formazione degli educatori, inserendo il tema omosessualità all’interno di un più ampia “educazione all’affettività”, perché possano affrontare con più maturità anche le diversità di orientamento sessuale, superando discriminazioni e pregiudizi.
Parlano di istituire una pattuglia di studio anche partendo dalle esperienze che emergono dall’associazione. Infine ci sono importanti riflessioni sul rapporto tra associazione e magistero: obbedienza o dialogo critico? Vi pare poco! Si auspica persino che l’associazione torni ad avere un ruolo profetico nella chiesa e nella società. Questo seminario potrebbe essere un’apertura importante: no è da sottovalutare il segnale e l’opportunità che rappresenta nel modo cattolico. Non si può andare avanti all’infinito a “far finta di niente” quando la realtà chiede con forza a noi tutti e alla Chiesa cattolica d’interrogarsi sui segni dei tempi.
Credo che sarebbe bello costruire qualche momento di confronto tra associazione e gruppi di cristiani omosessuali che stanno lavorando sul tema “fede-omosessualità”. In particolare questo potrebbe avvenire, anche in una sede ufficiale, con i gruppi di cristiani omosessuali che operano all’interno della pastorale di alcune diocesi ma anche con gli altri, che hanno un’importante patrimonio di riflessioni, esperienze e competenze. Un dialogo con l’AGESCI sarebbe, secondo me, certamente un’occasione di grande arricchimento reciproco.
Certamente la scelta dei relatori al seminario ha anche risposto alla necessità per l’AGESCI, che è un’associazione cattolica riconosciuta dalla CEI, di tenere conto delle posizioni molto preoccupate della chiesa e quindi di partire prima di tutto dal conoscere il suo insegnamento e il suo punto di vista. Credo che almeno in parte si trovi nella posizione dei nostri gruppi di cristiani omosessuali “diocesani” che essendo “dentro” si trovano necessariamente su posizioni più “moderate” e devono fare attenzione a non rompere la “comunione”. Un limite o una ricchezza? Sappiamo che i punti di vista su questo possono essere molto diversi.
Per chi non conosce l’AGESCI, forse utile sapere che un “regolamento” con norme stringenti per tutta l’associazione esiste. Si occupa di cose pratiche, organizzazione, organismi, formazione. I principi “importanti” oltre che nello statuto sono presentati nel “patto associativo” che ancor più del regolamento, è frutto di un percorso democratico molto complesso e articolato. Per modificare questi documenti l’associazione segue un iter partecipato, che coinvolge tutta la base associativa in un vero e proprio percorso di “ricerca e discernimento collettivo.
In realtà, come confermato nel seminario, sulle questioni pratiche e per l’applicazione specifica dei principi generali che l’associazione ha condiviso a livello centrale, è lasciata ampia autonomia ai gruppi locali che di fatto sono molto liberi e autonomi. Le strutture “centrali” intervengono solo in casi gravi. Per questo i gruppi sono davvero molto diversi gli uni dagli altri, riflettendo la loro storia particolare ma pure la differenza di realtà sociale in cui sono inseriti. Così anche su “come comportarsi con i capi gay” sostanzialmente viene lasciato al discernimento della Comunità Capi.