Padre McNichols, prete e artista in prima linea contro l’AIDS
Articolo di Michael J. O’Loughlin* pubblicato sul sito del quotidiano Washington Post (Stati Uniti) il 1 dicembre 2019
Padre William Hart McNichols aveva in mente un traguardo quando giunse a New York all’inizio degli anni ‘80: questo sacerdote, figlio dell’ex governatore del Colorado e nipote dell’ex sindaco di Denver, voleva studiare arte e illustrare libri di religione per bambini. Ma la vita di questo giovane gesuita avrebbe preso tutt’altra piega, a causa dell’epidemia di HIV che infuriava in città.
Padre McNichols, come molti altri sacerdoti, suore e laici cattolici, faceva il volontario al centro medico St. Vincent, un ospedale di Manhattan, ora chiuso, fondato dalle Suore della Carità, e che negli anni ‘80 e ‘90 era sinonimo di cura dell’AIDS. Padre McNichols ha passato molti anni accanto ai malati e alle loro famiglie, ma è la sua arte ad avere avuto il maggior merito nell’aiutare persone di tutto il mondo a convivere con la malattia.
Circa un anno fa tenevo al collo una medaglietta di lega d’argento, prodotta in Italia, che, lo seppi dopo, era collegata a padre McNichols. È il tipo di chincaglieria che si può trovare nel negozio di qualsiasi cattedrale. Di fronte reca il profilo di san Luigi Gonzaga, un gesuita del XVI secolo che abbandonò una vita di privilegi per una vita di preghiera e povertà. Nel 1591 la peste infuriava a Roma, e vide Luigi lavorare in un ospedale cattolico, anche dopo che gli dissero di smettere, perché non era prudente: già altri volontari avevano contratto il morbo. Luigi non fece differenza: morì a soli 23 anni.
San Luigi Gonzaga è considerato il patrono di chi convive con l’HIV/AIDS. L’epidemia di AIDS è stata spesso paragonata a quelle di peste, per via del terrore che ha sparso e dell’isolamento patito dalle persone infette.
Negli ultimi anni ho intervistato varie persone cattoliche che hanno lavorato in prima linea nella lotta all’AIDS per la mia serie di podcast La peste: storie mai raccontate su AIDS e Chiesa Cattolica. Sono un gay cattolico, e ho sempre voluto cercare di capire come le persone venute prima di me hanno fatto a gestire questa a volte difficile identità. Per questo indossavo quella medaglietta: per collegarmi a quei pionieri.
Ed è così che sono arrivato a padre McNichols. Come molti gay che hanno vissuto nel picco dell’epidemia, anche lui si è chiesto con dolore come comunicare la sua sessualità, e decise che, se voleva abbattere le barriere che lo separavano dalle persone che assisteva, doveva essere sincero.
Diversi dei pazienti dell’ospedale che gli erano stati assegnati non volevano vedere un sacerdote cattolico. Le tensioni di lunga data tra gli attivisti della comunità gay e la Chiesa istituzionale nel 1986 si erano di molto acuite: più di 24.000 Americani erano già morti di patologie correlate all’AIDS, e il Vaticano aveva appena rilasciato una dichiarazione che condannava l’omosessualità.
Contro questo passo indietro, padre McNichols decise di uscire allo scoperto come gay, in modo che i pazienti si sentissero a loro agio di fronte a un uomo con il collarino. Dato che spesso la diagnosi di HIV/AIDS significava morte sicura, i pazienti avevano pronte domande simili a quelle di ogni malato terminale: Ho lasciato tutto in ordine? Mi sono riconciliato con i miei cari? Sono pronto a morire? Fare queste domande a un sacerdote richiede un alto grado di fiducia.
Per un sacerdote, uscire allo scoperto negli anni ‘80 era rischioso. A padre McNichols dissero che avrebbe costituto un problema per il suo ministero, ma lui lo fece comunque. Anni dopo, disse di aver preso la giusta decisione: “Era importante per me essere una delle persone che soffrivano, e non essere in alcun modo distante da loro, tranne per il fatto che non avevo l’AIDS, e non ero malato”.
L’arte, in tutto quel periodo, non fu il suo primo pensiero, ma non smise di creare: le sue opere d’arte, oltre a creare consapevolezza della malattia tra i cattolici, era di conforto a molti gay, che grazie ad esse vivevano meglio la malattia.
Un’immagine in particolare, ricordata da alcune persone da me intervistate, raffigurava Gesù come un uomo malato di AIDS, con il corpo coperto dalle lesioni violacee causate dal sarcoma di Kaposi; sulla sua testa, un cartello con parole come “omosessuale”, “pervertito” e altre parole ingiuriose spesso scagliate contro i gay.
Un gay di Toronto ha affermato che l’arte di padre McNichols lo ha aiutato a convivere con la malattia diagnosticatagli negli anni ‘80: “Ecco, Gesù era sulla croce con gli epiteti destinati anche a me, ed ebbi questo momento epifanico, ero una delle persone per salvare le quali Gesù era morto”.
Joan Blanchfield, un’infermiera in pensione che lavorava al St. Vincent, ricorda di aver visto le opere di padre McNichols in ospedale: “Era molto commovente, perché avevo un paziente con il sarcoma di Kaposi, e lo vedevo che soffriva proprio come Cristo”.
Padre McNichols ha dipinto anche icone di san Luigi Gonzaga, ritratto mentre si prende cura dei malati della nuova peste. Le sue icone hanno contribuito enormemente a collegare questo santo con l’HIV: erano appese al St. Vincent, sempre sotto gli occhi di pazienti e visitatori. Più tardi i gesuiti agirono presso il Vaticano per rendere ufficiale il collegamento tra san Luigi e l’HIV/AIDS.
Quando intervistai padre McNichols, mi disse che aveva lasciato i gesuiti, ma che è tutt’ora un sacerdote: vive nel New Mexico, e dipinge icone che decorano molte chiese cattoliche in tutto il mondo. Continua a considerare l’arte una forma di attivismo, e dipinge icone che sono una risposta agli atti di terrorismo, all’ondata di scandali di abusi sessuali nella Chiesa e all’assassinio di Matthew Shepard, uno studente gay ucciso nel 1998. Per quanto riguarda il periodo passato a New York con i malati di AIDS, mi disse “Era tutto ciò che desideravo essere in quanto sacerdote”.
* Michael J. O’Loughlin è corrispondente per gli Stati Uniti del settimanale gesuita America ed autore della serie di articoli e podcast della serie Plague (La peste: storie mai raccontate su AIDS e Chiesa Cattolica) Twitter:@mikeoloughlin
Testo originale: How the AIDS epidemic turned a Catholic priest into an art activist