Maria: maternità e vulnerabilità
Riflessioni* di padre Terrance Klein** pubblicate sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 19 dicembre 2019, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Letture: Isaia 7:10-14; Romani 1:1-7; Matteo 1:18-24
È un dibattito che continua da sempre, e probabilmente non finirà mai: i romanzieri uomini comprendono davvero le donne? E le scrittrici donne, comprendono la psiche maschile?
Gli uomini possono imparare molto dall’acclamatissimo primo romanzo di Claire Lombardo, The Most Fun We’ve Ever Had (Il più grande divertimento della nostra vita), uscito quest’anno. Qui riportiamo un paragrafo sul travaglio della seconda gravidanza di Violet, e su cosa significhi per lei. Ai tempi della sua prima gravidanza Violet non era sposata, ed era molto più giovane, perciò diede suo figlio in adozione:
“Con Wyatt erano accadute le stesse cose: le fitte, i gonfiori, le emorroidi, i dolori ai fianchi, le spaventose emissioni di sangue, ma era passato tutto in secondo, se non in terzo, piano rispetto a quella fragile perfezione a cui aveva dato la luce, quella persona che dormiva ridacchiando beato, su cui una fame insaziabile scendeva nel giro di pochi secondi, quella persona per la cui esistenza lei, e lei sola, era responsabile. E l’amore assoluto che provava per lui: naturale che lo amava! Gesù, lo amava così intensamente, e per quello alzava ancora di più la posta, si concentrava su di lui con tale insonne intensità che, una volta, si dimenticò di cambiare la protezione mentre lo stava allattando, e così sanguinò sul divano: una donna che non aveva più il controllo sulle sue più basilari funzioni corporali. Quei giorni tirò avanti senza l’aiuto di un medico, a volte senza nemmeno una tazza di caffè, perché lui se lo meritava, vero? Suo figlio; ma anche, in maniera contorta, anche se quest’altro bambino ignorava cosa lei pensasse, perché voleva redimersi, essere pienamente presente per questo bimbo da lei voluto, come non era stata per il suo primo figlio. Aveva avuto il lusso di una seconda possibilità, e accidenti, non l’aveva certo dato per scontato. Sentiva che era quello che si era meritata, il prezzo che aveva dovuto pagare per aver sovranamente abbandonato il suo primo figlio, per aver pensato che la vita potesse andare avanti come se nulla fosse”.
Torniamo all’essere madre di Maria. Anche dal punto di vista storico, Maria dà alla luce Gesù, dirigendo quindi la nostra attenzione non verso di lei, ma verso suo Figlio.
Negli scritti dei primi cristiani Maria, la Vergine Madre, divenne oggetto di intensa attenzione (e quindi di devozione) perché ci si interrogava sulla persona e sulla natura di suo Figlio. Cos’ha ottenuto Dio con questa nascita? Ci risponde per primo san Paolo nella sua Lettera ai Romani. L’apostolo venne
“prescelto per annunziare il vangelo di Dio […] riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore” (Romani 1:1, 3-4).
Per san Paolo non possiamo avvicinarci alla nascita di questo bambino (e, di conseguenza, a sua madre) come se fosse nella natura delle cose; la Vergine e suo figlio non possono venire valutati utilizzando questo algoritmo. In loro si vede l’opera dell’autore stesso della natura, superiore a tutto ciò che è venuto prima.
Nella quarta domenica di Avvento la Chiesa riflette sulla Vergine. Maria viene a noi nel suo silenzio evangelico: dice pochissime parole, forse perché è una donna. Maria è fra gli ultimi, fra quelli che non hanno voce; eppure, a quali parole avrebbe dovuto fare ricorso questa donna per dire di più di quanto già abbia detto?
È una donna che attende un figlio: non esiste un legame di intimità più grande, né una posizione di maggiore vulnerabilità, sia per la madre che per il figlio.
Nel nostro mondo, moltissime donne allevano figli il cui padre è fuggito, e molte di loro vivono in povertà; assieme ai loro poveri figli, molto spesso diventano pellegrine che cercano solamente di sopravvivere.
La vulnerabilità della Vergine corregge le immagini distorte che ci facciamo di suo Figlio, il quale non è né una figura mitica, né una creazione del dogma. Gesù non cade dal cielo nel nostro mondo: è un uomo nato da una donna che vive in povertà.
Ciascuna generazione aggiunge o toglie qualcosa alla loro immagine, ma nessuno dei due può essere cancellato da ciò che oggi viene spacciato per senso comune progressista.
Potremmo avere le parole di Maria su cui riflettere, ma Dio ha fatto la Vergine silenziosa e vulnerabile, come molte donne prima e dopo di lei. Riflettete dunque, e pregate di essere commossi di fronte a ciò che vedete: la silenziosa vulnerabilità di Dio fatto carne nel grembo della Vergine.
* Il passo biblico è tratto dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI.
** Padre Terrance Klein è un sacerdote della diocesi di Dodge City, nel Kansas.
Testo originale: Mary, motherhood and the meaning of vulnerability