La doppia discriminazione delle persone LGBT nelle carceri turche
Articolo di Burcu Karakas e Daniel Bellut pubblicato sul sito dell’emittente Deutsche Welle (Germania) il 9 settembre 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Buse Aydin, donna transgender di 44 anni, sta scontando 24 anni di carcere in Turchia per “motivi politici”. Per lei è come stare in due prigioni allo stesso tempo: non solo è chiusa nel carcere di massima sicurezza di Tekirdag, nella Turchia occidentale, ma è anche intrappolata nel “corpo sbagliato”, come dice il suo avvocato.
La sua situazione non è presa per nulla in considerazione in carcere. Buse ha aspettato cinque anni per potersi operare, prima che il Ministero della Sanità rigettasse la sua richiesta con poche parole: “l’intervento non è necessario”. Disperata, ha cominciato uno sciopero della fame per costringere le autorità ad autorizzare l’intervento; quando ha visto che nessuno rispondeva, si è mozzata lei stessa il pene nel bagno della cella.
Dichiara il suo avvocato, Eren Keskin, a Deutsche Welle: “In realtà la sua situazione legale è chiara: lo Stato deve assumersi le spese dell’operazione”. La decisione di rifiutare l’operazione sarebbe dovuta “all’omofobia di chi sta in alto”.
Il caso di Buse Aydin è stato reso pubblico lo scorso agosto dall’istituto di ricerca Società Civile nel Sistema Penale (CISST), e si è diffuso in tutta la Turchia, causando indignazione.
La discriminazione: un problema strutturale
Il CISST sorveglia la situazione nelle carceri turche, e i suoi impiegati sono in contatto costante, via lettera, con i carcerati. Molto frequenti sono le rimostranze da parte di persone come Buse, ovvero le persone che appartengono alle minoranze sessuali.
Secondo Hilal Basak Demirbas del CISST, il caso di Buse non è certo un’eccezione, bensì un esempio tipico di un problema strutturale delle carceri turche. Hilal Basak Demirbas ha pubblicato uno studio intitolato I carcerati LGBTQI in Turchia, in cui ha pubblicato e commentato lettere di lamentele da parte di questa categoria di carcerati: “Uno dei problemi più gravi è che le persone LGBT+ vengono poste in isolamento, soprattutto quando nel carcere non ce ne sono altre”.
Ma vengono poste in isolamento anche a causa del sovraffollamento: “Due anni fa c’erano parecchi carcerati LGBT+ in un carcere presso Alanya, ma era così sovraffollato che per quel gruppo non era disponibile nessuna cella, perciò quei detenuti LGBT+ vennero tutti posti in isolamento”.
Secondo questo studio, alle persone LGBT+ può capitare di passare anche più di otto mesi in isolamento: una misura che di solito viene imposta solo ai criminali pericolosi.
Abusi fisici ed emotivi
Secondo lo studio di Hilal Basak Demirbas, lesbiche, gay e transgender vengono solitamente separati dai detenuti eterosessuali per proteggerli dalle aggressioni e dalla discriminazione.
Viene notato anche un leggero miglioramento nel comportamento del personale carcerario, che sta cominciando a mostrare una maggiore sensibilità, ma le segnalazioni di umiliazioni e insulti sono ancora numerose: “Per esempio, alcune donne trans vengono provocatoriamente chiamate con il loro nome di nascita, invece che con il nome femminile che si sono assegnate”.
Anche le molestie sessuali sono molto comuni: lo studio menziona il caso dell’abuso sessuale di una persona transgender da parte di un secondino nella città di Samsun, sul Mar Nero. Quando la vittima ho sporto querela, nonostante ci fosse dello sperma che attestava la violenza, il fatto fu classificato come “rapporto consensuale”.
Aylin Kirikcu, un avvocato che ha difeso molti detenuti LGBT+, sottolinea un altro problema dei suoi clienti: “Quando le donne transgender vengono arrestate, spesso chiedono che gli esami medici vengano eseguiti da una donna”, ma questa richiesta raramente viene soddisfatta: “A volte ci sono contatti fisici non richiesti, che le mie clienti considerano come torture sessuali”. Alcune di esse hanno riportato di essere state aggredite sessualmente dai secondini uomini all’inizio della loro detenzione.
La controversa proposta dei “blocchi rosa”
Nel 2014 il governo turco propose l’istituzione di “blocchi rosa” dedicati alle persone LGBT+ nelle carceri, dei reparti speciali ideati per garantire la sicurezza delle persone omosessuali e transgender. Da allora la proposta è riemersa più volte, ma nulla è stato ancora deciso.
Proposta criticata con veemenza dagli attivisti LGBT+ e dall’opposizione, perché non farebbe che incoraggiare l’esclusione delle minoranze sessuali dalla società. Anche Hilal Basak Demirbas è scettica: “Una specie di carcere che non sarebbe nient’altro che l’istituzionalizzazione della discriminazione”; a suo avviso, avrebbe più senso impegnarsi a risolvere direttamente i problemi attuali.
Testo originale: LGBT+ in Turkey’s prisons: A double punishment