In Indonesia nella casa di preghiera dei musulmani transgender
Articolo di Jon Emont pubblicato sul sito del quotidiano New York Times (Stati Uniti) il 22 dicembre 2015, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il richiamo alla preghiera esplode sopra la cittadina universitaria di Yogyakarta una domenica sera, mentre file e file di donne musulmane dall’abbigliamento tradizionale tirano fuori i loro tappetini da preghiera, poi si prostrano verso la Mecca e mormorano preghiere in arabo. Mentre cala la sera, lo stesso rituale viene osservato nelle moschee e nelle sale da preghiera di tutta la città. Ma le donne di questa sala da preghiera sono diverse dalle altre: sono nate uomini.
Nascosta dietro una grossa moschea in una viuzza di Yogyakarta, Al-Fatah Pesantren, secondo la sua fondatrice, è la prima madrasa (scuola coranica) per persone transgender nel mondo. Shinta Ratri, 53 anni, l’ha fondata nel 2008 con altre donne transgender, due anni dopo il forte terremoto che aveva investito la città: “Eravamo in un periodo di sofferenza, e le persone transgender avevano bisogno di sapere come pregare. Avevamo bisogno di un luogo dove pregare insieme e studiare l’Islam”.
Le donne transgender hanno poche opportunità di svolgere le loro preghiere, perché il fatto che mettano in discussione i rigidi ruoli di genere è un insulto per i musulmani conservatori. Yuni Shara, 48 anni, ex impiegata e attuale segretaria della madrasa Al-Fatah, viene qui perché si sente accettata, a differenza che nelle altre moschee: “In moschea tutti mi fisserebbero. Mi indicherebbero a dito dicendo ‘Quella è una transgender’”. È difficile concentrarsi sulla preghiera quando le gente ti fissa in modo offensivo, o si rifiuta di sedersi accanto a te. Yuni siede nel portico della madrasa aspettando l’ora della preghiera; ha in mano uno specchietto e delle pinzette per strapparsi i peli dal mento: “Qui mi sento a mio agio”.
In Indonesia le donne transgender sono conosciute come “waria”, unione delle parole per “uomo” e “donna”. Le waria sono parte della cultura giavanese tradizionale; nonostante ciò, sono tagliate fuori da gran parte del mercato del lavoro e vivono ai margini della società. Possono diventare parrucchiere, ballerine nei cabaret, a volte persino pop stars; molte di loro, tuttavia, lavorano in strada, elemosinando durante il giorno e svolgendo vari tipi di prostituzione durante la notte.
“Sono sempre stata molto devota” dice Edo, una prostituta trentanovenne che usa solo il nome, mentre siede di fronte alla scuola aggiustandosi il suo hijab verde, che indossa assieme un vestito tradizionale nero. Il sabato sera lavora in strada, e di domenica si reca alla madrasa per la preghiera: “Non c’è nessuna contraddizione” afferma, seguendo l’insegnamento ricevuto alla pesantren (la parola indonesiana per madrasa). Come altre donne che la frequentano, anche Edo si presenta con il nome che ha scelto dopo la transizione.
Non è una vita facile. Le donne transgender spesso vivono nella povertà e nell’instabilità. La quarantina di studentesse che frequentano la scuola sono solitamente più anziane dei frequentatori di una madrasa tradizionale, che di solito sono adolescenti o poco più che ventenni. Alcune di loro sono giovanissime, ma per la maggior parte sono di mezza età e non hanno potuto avere un’istruzione islamica regolare, perché sono state cacciate di casa molto presto.
“Ci sono molte studentesse che vanno e vengono” dice Shinta Ratri, che vuole portare le waria dai margini al centro della vita indonesiana, e dato che questo Paese è sempre più profondamente religioso, questo vuol dire portarle al centro dell’Islam.
Scopo primario della scuola è fornire un luogo di culto alle persone transgender, ma ce n’è anche un altro: usare l’Islam per perorare i diritti transgender: “Dobbiamo far capire all’opinione pubblica chi sono le donne transgender, e dobbiamo premere sul governo perché ci riconosca uguali diritti” dice Shinta Ratri.
Anche se alcune persone transgender indonesiane sono riuscite a farsi riconoscere dallo Stato, la legge non offre alcuna protezione contro le molestie e la discriminazione sui luoghi di lavoro. Molte waria sono state licenziate quando hanno espresso la loro vera identità di genere, costringendole a scegliere lavori al di fuori dei canali regolari, come la prostituzione.
Le studentesse si incontrano durante la settimana per pianificare conferenze nelle università locali, dove parlano della missione di Al-Fatah, oltre che le cerimonie religiose. Per raccogliere i fondi necessari alle lezioni di arabo Shinta, assieme a diverse studentesse, studia e pratica la danza tradizionale giavanese, esibendosi durante i matrimoni e altre feste.
I loro sforzi sono apprezzati dai leader musulmani progressisti, che additano la scuola a simbolo di tolleranza in un’epoca in cui è viva la preoccupazione che l’Islam indonesiano, storicamente tollerante, venga eroso dal dogmatismo dottrinale importato dal Medio Oriente: “La pesantren è importante per convincere gli Indonesiani che le donne transgender, e più in generale le persone LGBT, non sono necessariamente peccatrici, né deviate” dice Musdah Mulia, celebre teologa femminista e portavoce della Conferenza Indonesiana sulla Religione e la Pace, un’organizzazione che promuove la tolleranza religiosa.
Il sostegno, tuttavia, viene esclusivamente dalle voci più progressiste dell’Islam indonesiano; i conservatori, tra cui il Consiglio degli Ulama dell’Indonesia, consulente del governo in materia religiosa, non riconoscono i diritti transgender.
Shinta sperava che l’Università Islamica di Yogyakarta avrebbe collaborato con la sua scuola per sviluppare le linee per una corretta vita islamica a beneficio delle persone transgender, ma la collaborazione non ha avuto luogo a causa di incomprensioni teologiche: “Nel Corano ci sono solo uomini e donne” dice Fuad Zein, che insegna giurisprudenza islamica contemporanea.
Tuttavia, la più vasta organizzazione islamica del Paese, Nahdlatul Ulama (NU), “ha sostenuto moltissimo” la scuola, secondo Shinta. NU, che ha circa 50 milioni di membri a Giava, l’isola dove vive più della metà della popolazione indonesiana, segue il tradizionale Islam giavanese, la cui interpretazione della sha’ria è di solito elastica, e che mette l’accento sulla tolleranza. Alcune istituzioni legate a NU hanno fornito insegnanti alla madrasa e hanno messo in collegamento Shinta con religiosi e universitari interessati alla sua proposta.
L’ironia di una sala di preghiera transgender sostenuta dalla più importante organizzazione tradizionalista del Paese non sfugge a Shinta: “Questo perché la cultura giavanese è molto più aperta sulle questioni di genere, dato che i Giavanesi già conoscevano le donne transgender, molto prima che arrivasse l’Islam”.
Jeremy Menchik, assistente di studi globali all’Università di Boston e autore di Islam and Democracy in Indonesia: Tolerance Without Liberalism (Islam e democrazia in Indonesia: tolleranza senza liberalismo), afferma che l’Indonesia sfida la nostra concezione comune su dove si trova la tolleranza: “L’idea più diffusa è che gli individui più tolleranti sono quelli che vivono nelle città, che hanno studiato, che sono liberali e laici. L’Indonesia è interessante proprio perché tra le organizzazioni che ho studiato, NU, tradizionalista, radicata nelle campagne, conservatrice, è la più tollerante”.
Shinta Ratri indossa un tradizionale gamis, l’abito delle donne musulmane osservanti, e un foulard in testa, e incarna sotto molti punti di vista questo conservatorismo tollerante. Quando le chiediamo qual è il posto delle persone transgender nell’Islam, fa un largo sorriso e tira fuori un Corano, indicandoci dei passi che secondo lei dimostrano che Muhammad aveva a cuore le persone transgender: “È dimostrato! Ci aveva a cuore!” esclama, battendo il dito su un passo che parla di un uomo che non desiderava le donne: “È transgender, è gay!”.
[Nota del traduttore: circa un anno dopo la pubblicazione di questo articolo, la madrasa è stata purtroppo chiusa dalle autorità, in seguito a minacce da parte dei conservatori, ma in seguito Shinta Ratri è riuscita a proseguire l’attività.]
Testo originale: Transgender Muslims Find a Home for Prayer in Indonesia