La pietas di Shinta. Il difficile cammino di una musulmana transgender
Articolo di Kyle Knight* pubblicato sul sito di Human Rights Watch (Stati Uniti) l’11 agosto 2016, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Ho incontrato Shinta Ratri dieci giorni dopo che il lavoro di tutta una vita le era stato mandato gambe all’aria. Si è presentata a bassa voce, armeggiando per accendere la sua sigaretta. Un umore molto diverso da quello di sei anni prima, quando decine di giornalisti erano sbarcati in Indonesia, dove abitano più musulmani che in qualsiasi altro Paese, per descrivere la sua creazione unica: l’unica scuola islamica del mondo retta da donne transgender, e destinata alle donne transgender.
Poche settimane dopo la chiusura ci siamo seduti in una terrazza per parlare di come i militanti islamisti l’avevano costretta a chiudere la sua cara pesantren Al-Fatah durante l’acme di una campagna anti-LGBT senza precedenti nel Paese.
Ibu Shinta, come viene chiamata (“Ibu” è un’espressione onorifica indonesiana, corrispondente al nostro “Signora”), ha aperto il suo istituto di istruzione islamica nel 2008 a Yogyakarta, una città universitaria bohémienne nel centro dell’isola di Giava. Ibu Shinta, che oggi ha 54 anni, vive da waria (donna transgender) da quando ne aveva 18, e negli anni si è inserita nella rete di waria nella sua città.
Ibu Shinta esprime il suo essere waria e musulmana indossando il velo e pregando giornalmente. La sua famiglia e i suoi vicini la rispettano, e vive una vita pacifica, ma non per tutte le waria è così. Molte di esse sono state cacciate dalle famiglie; i genitori, quando le cacciano da casa, spesso dicono di farlo per motivi religiosi, e così isolano le waria non solo materialmente, ma anche spiritualmente. Le waria che riescono a guadagnarsi da vivere elemosinando e prostituendosi spesso lottano molto per rimanere devote, dopo essere state maltrattate e cacciate dalle moschee.
Al-Fatah ha cambiato questa situazione, e non solo: “Era un luogo dove pregare insieme, per studiare l’Islam insieme. Le waria non si sentivano a loro agio a pregare nelle moschee, così ho pensato che sarebbe stato meglio riunirci tra noi, piuttosto che rimanere a casa da sole, con i nostri dubbi spirituali irrisolti nel cuore” dice Ibu Shinta mentre la sua sigaretta si riduce in cenere in un piatto di plastica.
Le lezioni offerte ad Al-Fatah erano modeste. Le waria, che erano andate via di casa molto presto, avevano un’istruzione islamica molto rudimentale. Alcune volevano imparare a leggere il Corano, ma molte erano analfabete. Ibu Shinta e altre waria hanno insegnato loro le abluzioni rituali prima della preghiera quotidiana, e come memorizzare versetti coranici. La domenica sera fino a 40 persone si riunivano per pregare insieme, poi facevano domande su come interpretare i problemi della loro vita alla luce dell’Islam.
Spesso le domande vertevano sull’etica della prostituzione: “Le waria venivano e mi chiedevano se esercitare la prostituzione fosse haram (proibito dall’Islam). Era un dubbio molto stressante per loro: non avevano nessun altro modo di guadagnarsi da vivere”. Ibu Shinta offriva una spiegazione che calmava le loro paure e fortificava la loro fede: se la transazione per il rapporto sessuale è onesta, e se non usano il denaro che guadagnano per fare del male, ma per vivere una vita buona, allora le loro azioni sono accettabili agli occhi di Dio.
Al-Fatah ha ricevuto il sostegno di alcuni religiosi locali. Alcuni docenti delle università islamiche visitavano regolarmente la madrasa, ed esprimevano la loro gratitudine a Ibu Shinta per la sua offerta spirituale rivolta alla comunità waria. L’organizzazione islamica più influente del Paese, Nahdlatul Ulama (NU), che conta 50 milioni di membri, ha sempre sostenuto il suo progetto, senza fare troppo rumore.
Per Ibu Shinta le reazioni positive hanno ricadute pratiche e spirituali: “Con il tempo le waria, specialmente quelle che si prostituivano, hanno avuto sempre meno problemi ad esprimersi, e meno problemi con se stesse, perché qui hanno trovato una nuova famiglia”. Accendendosi un’altra sigaretta (la prima si è rovinata a causa dell’umidità primaverile), racconta come durante ‘Eid al-Adha del 2015 (una festa islamica annuale molto importante, che dura quattro giorni) Al-Fatah non aveva soldi per comprare un animale da macellare ritualmente per fare festa, e così le waria si sono ritrovate insieme per leggere il Corano: “Solamente dieci di noi erano capaci di leggerlo, così l’ho diviso in tre sezioni, e le altre si sono sedute per ascoltare”.
Dopo tre giorni di lettura di gruppo, un vicino è entrato per fare una donazione: “Abbastanza per comprare una capra e festeggiare ‘Eid al-Adha come tutti gli altri. Era una dimostrazione che Allah aveva ascoltato le preghiere della comunità waria”.
Al-Fatah, un modesto edificio nascosto dietro una moschea, di proprietà della famiglia di Ibu Shinta, è comunque molto di più, per Yogyakarta e l’Indonesia, di un luogo di culto per donne transgender devote: è un simbolo potente di pluralismo in un periodo in cui l’intolleranza militante minaccia il Paese, e soprattutto le sue minoranze.
Storicamente in Indonesia hanno sempre vissuto molte minoranze sessuali e di genere, e la gente le guarda con un misto di tolleranza e pregiudizi. Spesso è necessaria la discrezione: molte lesbiche, gay, bisessuali e transgender scelgono di vivere in maniera ritirata, senza rivelarsi, in modo da non esporsi alla discriminazione e alla violenza.
Le waria sono particolarmente visibili, ma persino nella provincia di Aceh, retta dalla sha’ria, riescono a lavorare come parrucchiere. Alcune regioni del Paese accolgono volentieri la diversità di genere: l’isola di Sulawesi, per esempio, è patria di alcune culture che riconoscono cinque categorie di genere.
Ma nel gennaio del 2016, di punto in bianco, membri del governo, militanti islamisti e movimenti religiosi di massa hanno fomentato un’intolleranza anti-LGBT senza precedenti. Tutto è cominciato il 24 gennaio, quando il ministro per l’educazione superiore, Muhammad Nasir, ha annunciato di voler mettere al bando le organizzazioni studentesche LGBT perché “in contrasto con i valori e la morale indonesiani”. Nelle settimane seguenti, molte dichiarazioni tra l’assurdo e l’apocalittico sono rimbalzate sui media indonesiani.
Durante un seminario sulla salute della madre e del bambino, un sindaco ha messo in guardia le giovani madri dal preparare spaghetti istantanei: il loro tempo e la loro attenzione vanno impiegati per cucinare cibo nutriente e a insegnare ai loro figli a non essere gay. Il ministro della difesa, invece, ha bollato l’attivismo LGBT come una guerra contro la nazione guidata da elementi esterni, più pericolosa di una bomba atomica.
La cacofonia delle pubbliche condanne è cresciuta in fretta, arrivando fino ad invocare il carcere e “cure” per le persone LGBT, e ad attaccare opportunisticamente personaggi come Ibu Shinta. I gruppi religiosi più diffusi nel Paese, come il tradizionalmente tollerante Nahdlatul Ulama, invitavano ad emanare leggi contro l’omosessualità e l’attivismo LGBT, e peroravano per loro “cure obbligatorie”. L’Associazione Psichiatrica Indonesiana si è unita al coro, proclamando “malattie mentali” l’orientamento omosessuale e le identità transgender, e raccomandando cure adeguate.
Il 23 febbraio la polizia ha compiuto una retata violenta a una manifestazione pacifica di solidarietà LGBT a Yogyakarta. Alcuni chilometri più lontano, un gruppo di militanti islamisti stava tenendo una contromanifestazione, minacciando di uccidere le persone LGBT perché peccano contro i principî islamici. Il 24 febbraio un altro gruppo estremista, il Fronte per il Jihad Islamico, si è presentato ad Al-Fatah e ha chiesto che la scuola venisse chiusa.
Ibu Shinta, con l’aiuto di alcuni avvocati, ha chiesto la protezione della polizia, che però aveva più paura della reazione degli islamisti che volontà di fare rispettare la legge: “La polizia mi ha detto che dovevo discutere con gli islamisti. Mi hanno rimproverata così: ‘Noi siamo Giavanesi, e accogliamo sempre i nostri ospiti; loro sono i suoi ospiti, e allora li accolga’”.
Due sere dopo il Fronte ha convocato Ibu Shinta in una sala del Comune. Arrivata in orario, è stata salutata calorosamente da amici e vicini: “Erano musulmani che salutavano una musulmana, vicini che salutavano una vicina, come hanno sempre fatto con me”. Cinque minuti dopo, quando sono arrivati i rappresentanti del Fronte gridando “Allahu Akbar”, l’atmosfera in sala è cambiata drammaticamente.
I militanti avevano una lista di motivazioni burocratiche per cui Al-Fatah doveva essere chiusa, tra cui il fatto che le waria parcheggiavano i loro motorini per strada, causando problemi al traffico: una lamentela che Ibu Shinta udiva per la prima volta. Poi le hanno chiesto di spiegare la sua identità waria: “Ho spiegato loro di come l’Islam accetti le diversità: disabili, waria, ogni categoria di persone merita l’amore di Allah. Ho recitato dei passi del Corano, spiegando che insegnavamo alle waria come affrontare la morte da musulmane, e come pregare da musulmane. Ho spiegato loro che, quando sono nata, ero un maschio, ma che il mio cuore era quello di una donna”.
C’era calma, ma anche tensione, alla conclusione del discorso di Ibu Shinta. La maggior parte dei presenti la conosceva da una vita, e Al-Fatah faceva parte del quartiere ormai da quasi dieci anni. E conoscevano benissimo, come tutti gli Indonesiani, la forza dei gruppi islamisti. “Shinta è molto furba, ed è anche malata mentale. Sappiamo che esistono gli uomini e le donne, e che in mezzo non c’è nulla, quindi è malata, e insegna cose pericolose per l’Islam. Tutto questo deve finire”.
Senza nessuna votazione, il Fronte ha rilasciato un annuncio formale [di chiusura della madrasa], non il governo locale, né Al-Fatah. Quando Ibu Shinta quella sera ha lasciato la sala, avvertiva bene la rottura che si era consumata. Il pluralismo che aveva coltivato con i suoi pii sforzi stava crollando sotto il peso della paura. Mentre faticava a trattenere le lacrime, udiva un vicino sussurrare a un altro: “Allora non è Ibu Shinta, è Mas (“Signore”) Shinta”.
* Kyle Knight è ricercatore del programma per i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Twitter: knightktm
Testo originale: The Piety of Shinta Ratri