Preti pedofili e tradizionalisti, una strana combinazione
Riflessioni di Massimo Battaglio
Giovedì 9 gennaio scorso, la Cassazione ha confermato la condanna per pedofilia nei confronti di un sacerdote sardo. 8 anni di reclusione per violenza su minori. Convocava le sue vittime a riunioni riservate e offriva loro bibite mischiate con pesanti sedativi. Il seguito è facile immaginare.
Sugli articoli che lo riguardano, compaiono foto di un pretino dall’aspetto zelante. Capelli tosati a spazzola e tonaca nera, talvolta anche un cappello “saturno”. Un’immagine davvero contrastante rispetto al racconto, che mi ha suscitato il tarlo di approfondire.
Ho scoperto che il personaggio in questione era un appassionato di canto gregoriano e di liturgia tridentina. Organizzava corsi e convegni su questi temi nella sua parrocchia, tanto da provocare la reazione dei parrocchiani e dello stesso vescovo, che intervenne d’autorità. Sui siti internet che propagandano la messa in latino, si scatenò un putiferio. Piovvero anatemi contro il vescovo e laudi per l’allora giovane parroco.
Naturalmente, ora, gli stessi che lo avevano laudato, infieriscono sulle sue disgrazie e maledicono il decadimento morale del clero, dovuto sicuramente al “dilagante modernismo”. Obsolescenza vuol dire anche memoria corta.
Pedofilia figlia della tradizione? Dio mi liberi dal coltivare un tale sospetto. Bisogna approfondire ulteriormente. Ho cercato informazioni sui sacerdoti italiani condannati o rinviati a giudizio nell’ultimo anno in Italia per reati simili. Sono una dozzina.
C’è quello che cita San Giorgio e le sue invettive su “rinnegare tutto ciò che non è cristiano”, e c’è quello che collabora coi neocatecumenali e i legionari di Maria. Uno organizza la propria difesa attraverso associazioni “in rete” di stampo ultra-tradizionalista. Un altro promuoveva convegni sul “gender”. Un terzo era il leader dei chierichetti di San Pietro, spesso ritratto in paramenti antichi. C’è poi il liturgofrenico che cospargeva le vittime con l’olio santo, e quello dedito a esorcismi a pagamento. Su tutto, un gran fiorire di vesti talari e colletti romani sfoggiati anche in tribunale.
Voglio persuadermi che questo ricorrere di particolari sia del tutto casuale. Ma non riesco a non ricordare una battuta spesso ripetuta da papa Francesco a proposito di “rigidità”.
“Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto, in tanti casi una doppia vita. C’è anche qualcosa di malattia”.
Cosa può portare un sacerdote ad atteggiamenti così schizzofrenici, a un rigore esteriore che convive col più totale disordine privato? La necessità di nascondersi meglio? O un desiderio di auto-punizione tale da occultarsi anche a se stessi? Forse l’uno e l’altro.
Ma temo che, dietro tutto ciò, ci sia l’insostenibilità di un’esistenza fatta tutta di proibizioni. Proibizioni cercate ma così pesanti che richiedono di essere compensate da una trasgressione estrema, malata, per l’appunto.
Tuttavia, se queste possono essere spiegazioni, nulla giustifica l’ipocrisia e la violenza di questi preti criminali. Forse distribuisce un po’ le colpe, chiamando in causa un sistema ecclesiastico che è in sè oppressivo e malato. Ma i crimini restano. E il grido di giustizia delle vittime è urgente almeno come la pietà dovuta ai colpevoli.
Dei dodici casi che ho esaminato, nove riguardano atti di tipo omosessuale. O meglio: sono stati compiuti su vittime dello stesso sesso del carnefice. La specificazione è d’obbligo per due ragioni. La prima è che non sappiamo quale fosse il reale orientamento sessuale dell’abusante nè – cosa assai più grave – quello dell’abusato. La seconda è che non c’è alcun legame tra omosessualità e pedofilia.
La pedofilia non viene dall’omosessualità ma casomai, secondo alcuni, della repressione. Mi piacerebbe però sapere quale fosse la posizione “pubblica” dei colpevoli, nei confronti dell’omosessualità. Temo di saperlo.