Tra commozione e preghiera. Diario della veglia 2012 contro l’omo/transfobia di Genova
Testimonianza di Lidia Borghi del Gruppo Bethel di persone LGBT credenti liguri
Il pomeriggio è fresco e sereno. Giungiamo nella sede della Comunità di San Benedetto al porto di Genova con un certo anticipo.
Ci attende Lori, una ragazza in transizione di genere che lavora in amministrazione. Sarà lei a leggere l’articolo de L’Unità intitolato Omofobia: un male da debellare, che ad aprile del 2012 la giornalista Delia Vaccarello ha dedicato alla piaga dell’omofobia nel nostro Paese.
La sala Paride Batini, luogo in cui sta per svolgersi la veglia in ricordo delle vittime dell’omo/transfobia, viene riempita di sedie, una cinquantina circa.
Intorno alle diciotto saranno già tutte occupate, segno che la cittadinanza è interessata all’evento, per altro del tutto ignorato dalla stampa locale.
Presto vediamo comparire il pastore Carlo Guerrieri, che coordina la locale chiesa battista di Genova con il più anziano Renzo Brombale; insieme a loro sono giunte diverse persone che fanno parte della comunità di via Vernazza.
Il gruppo di persone di Bethel arriva, come sempre, alla spicciolata.
Fra di loro anche colui che si accinge a leggere un passo dell’apostolo Paolo, anche se sarà la referente, Laura, ad introdurre il versetto scelto quest’anno dal forum italiano dei cristiani omosessuali, con un commento speciale, la risposta di Gianni Geraci alla lettera di un anonimo cittadino cattolico che accusa i gay di nefandezze inenarrabili che costeranno loro l’inferno.
Il clima è sereno, le persone siedono composte, attente all’evolversi della veglia. È la volta del giovane pastore battista, cui spetta il compito di leggere e commentare un piccolo brano della lettera di Paolo ai Galati (4,1-7) in cui l’apostolo delle genti si riferisce in modo chiaro alla discendenza diretta delle donne e degli uomini da Dio: «E che voi siete figli ne è la prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: “Abbà! (Padre)”».
la presenza dello Spirito dentro di noi ad individuare la nostra appartenenza a Dio. Esso è il nostro marchio di fabbrica, il nostro DNA.
È un’appartenenza che non verrà mai meno e che dà la possibilità a tutte e a tutti di riconoscersi in chi si comporta in modo analogo e, ogni volta che ci rivolgiamo a Dio chiamandolo Padre – Abbà – in realtà è lo Spirito che ne pronunzia il nome al posto nostro.
Questo rapporto di stretta vicinanza ci offre l’opportunità di considerarci alla pari rispetto alle altre persone: non ci è consentito di ritenerci superiori ad esse, altrimenti non siamo libere e liberi ovvero non facciamo la volontà di Dio e non possiamo ritenerci uguali in diversità.
Subito dopo la lectio divina è stata la volta della lettura di una testimonianza di omofilia: infatti, anziché dedicare la parte finale della veglia all’esposizione di un lungo elenco di persone morte ammazzate sotto i colpi della cieca violenza omo/transfobica, è stata esposta la breve storia della madre cristiana di una ragazza lesbica.
Se già il clima era stato reso alquanto solenne dalla lectio, le persone presenti hanno potuto apprezzare la profondità delle parole di quella donna, esponente locale dell’AGeDO, che è riuscita a strappare qualche lacrima di commozione nei presenti.
Dopo una breve invocazione all’aspetto femminile della divinità – troppo spesso passato sotto silenzio – c’è stato un omaggio alla religione indù, con la lettura di una preghiera recitata da una donna del Gruppo Bethel di persone LGBT credenti liguri.
Alla fine le donne e gli uomini presenti hanno lasciato la sala in silenzio ed in raccoglimento, al fine di portare con sé un barlume di quel grande dono spirituale che tutte e tutti noi avevano appena ricevuto.
Tornando a casa la serenità si è impossessata di noi e ci ha accompagnate per l’intera notte, una notte di veglia silenziosa in ricordo di chi non c’è più e non per sua scelta.