Spitzer, il luminare della psichiatria USA, si scusa con i gay
Articolo di Benedict Carey tratto dal New York Times (USA), 19 maggio 2012, liberamente tradotto da Adriano C.
Il Dr. Robert L. Spitzer è un artefice importante nella moderna classificazione dei disturbi mentali. Non importa quante volte avesse avuto ragione precedentemente, quanto fosse potente un tempo o quanto avrebbe significato per il suo retaggio, il fatto è che, alla fine di di una lunga e rivoluzionaria carriera, semplicemente aveva fatto qualcosa di sbagliato.
Il Dr. Robert L. Spitzer, considerato da alcuni come il padre della psichiatria moderna, recentemente si è svegliato alle 4 della mattina sapendo che avrebbe dovuto fare la cosa che gli veniva meno naturale.
Si è sforzato di alzarsi dal letto e si è bloccato nel buio. La sua scrivania sembrava lontana anni luce; il Dr. Spitzer, che compirà 80 anni la prossima settimana, soffre di morbo di Parkinson e fa fatica a camminare, a sedersi e persino a tenere diritta la testa.
La parola che usa qualche volta per descrivere queste limitazioni (patetiche) è la stessa che ha usato come una mannaia per abbattere le idee stupide, le teorie vuote e gli studi spazzatura.
Così raggiunse il suo computer, pronto a ritrattare uno studio che aveva fatto lui stesso, un’indagine mal concepita del 2003 che sosteneva la cosiddetta terapia riparativa per “curare” l’omosessualità a persone che erano fortemente motivate al cambiamento. Che dire? La faccenda del matrimonio omosessuale agitava ancora una volta la politica nazionale.
L’assemblea legislativa dello stato della California stava discutendo un disegno di legge per vietare la terapia come pericolosa e fuorilegge. Un giornalista che aveva subìto la terapia da adolescente, recentemente era stato a casa sua spiegandogli quanto questa esperienza fosse stata miseramente disorientante.
Qualche giorno dopo, avrebbe anche saputo che un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, pubblicato il giovedì successivo, considerava la terapia come “una grave minaccia per la salute e il benessere (e anche la vita) delle persone sottoposte ad essa”.
Le dita del Dr. Spitzer ebbero una contrazione sulla tastiera, scomposte, come se volessero soffocare le parole. E poi fu compiuta: una breve lettera da pubblicare entro la fine del mese, sullo stesso giornale dove era apparso lo studio originale. La lettera si concludeva così: “Io credo di dovere delle scuse alla comunità omosessuale”.
Disturbatore della quiete
L’idea della studio sulla teoria riparativa è stata partorita proprio da Spitzer, dicono quelli che lo conoscono, un tentativo di infilare un dito nell’occhio ad una ortodossia che lui stesso aveva contribuito a creare.
Dalla fine degli anni ‘90 fino ad oggi, l’istituzione psichiatrica ha considerato la terapia come destinata al fallimento. Pochi terapisti ritenevano che l’omosessualità fosse un disturbo psicologico. Non è stato sempre così. Fino agli anni ’70, il campo del manuale diagnostico classificava l’omosessualità come una malattia, definendola un “disordine della personalità sociopatica”.
Molti terapisti offrivano trattamenti, compresi gli analisti freudiani che a quel tempo dominavano la scena. Gli avvocati per gli omosessuali avevano contestato furiosamente, e nel 1970, un anno dopo la tappa decisiva delle proteste di Stonewall per bloccare le retate della Polizia in un bar di New York, un gruppo di manifestanti per i diritti degli omosessuali interruppe un incontro di terapisti del comportamento a New York per indurli a discutere sull’argomento.
La riunione si sciolse, ma solo dopo che un giovane professore della Columbia University si sedette con i manifestanti ed ascoltò le loro ragioni. “Sono sempre stato attratto dale controversie, e ciò che ho ascoltato aveva senso”, ha detto il Dr. Spitzer, in un’intervista della settimana scorsa nella sua casa a Princeton. “E ho cominciato a pensare, be’, se è un disordine mentale, cos’è che lo genera?”
Mise l’omosessualità a confronto con altre condizioni definite come disordini, quali la depressione e la dipendenza da alcool, e notò immediatamente che quest’ultima causa notevoli disagi o problemi fisici, contrariamente a quanto accade spesso nell’omosessualità.
Vide anche l’opportunità di fare qualcosa a riguardo. A quel tempo il Dr. Spitzer era un giovane membro di una commissione dell’Associazione Psichiatrica Americana che contribuiva a riscrivere il campo del manuale diagnostico, e immediatamente organizzò un simposio per discutere il ruolo dell’omosessualità.
Questo ha dato vita ad una serie di aspri dibattiti, mettendo il Dr. Spitzer in antagonismo con un paio di influenti psichiatri anziani che non volevano cambiare opinone.
Alla fine, nel 1973 l’associazione psichiatrica si schierò con il Dr. Spitzer, decidendo di omettere l’omosessualità dal suo manuale e di sostituirla con la sua alternativa, “disturbo dell’orientamento sessuale”, che identifica le persone, omosessuali o eterosessuali, il cui orientamento è causa di sofferenza.
Nonostante il linguaggio arcano, l’omosessualità non era più un “disordine”. Il Dr. Spitzer aveva raggiunto un importante passo avanti verso i diritti civili, in tempo record.
“Non intendo dire che Robert Spitzer è divenuto un nome familiare tra i maggiori movimenti omosessuali, ma la declassificazione dell’omosessualità venne ampiamente celebrata come una vittoria”, dice Ronald Bayer del Centro per la Storia e l’Etica della Sanità Pubblica di Columbia“.
‘Non più malati’ fu il titolo cubitale che apparve su alcune riviste omosessuali”. Parte di questo risultato, fu che il Dr. Spitzer ottenne il compito di aggiornamento del manuale diagnostico. Si mise dunque al lavoro con una collega, la Dr.ssa Janet Williams, ora sua moglie.
Per l’ampliamento, che non è ancora totalmente apprezzato, il suo pensiero su questo unico problema (l’omosessualità) fu da guida ad una considerazione estesa di ciò che è la malattia mentale, principalmente sul dove tracciare il confine tra il normale e quello che non lo è.
Il nuovo manuale, un malloppo di 567 pagine pubblicato nel 1980, divenne un inviso best seller, sia nel nostro paese che all’estero. Questò fissò lo standard dei futuri manuali di psichiatria ed elevò il suo principale artefice, ormai vicino alla cinquantina, ad essere una punta di diamante nel suo campo.
Era il guardiano del libro, in parte direttore responsabile, in parte ambasciatore, e in parte chierico irascibile, spesso ringhiava al telefono a scienziati, giornalisti o parlamentari se pensava fossero ingiusti.
Ha assunto il compito come se fosse nato per farlo, dicono i colleghi, aiutando a portare ordine in uno storico angolo della scienza che era nel caos. Ma il potere è stato anche la sua stessa reclusione. Il Dr. Spitzer poteva ancora disturbare la quiete, va bene, ma non era più tanto ribelle da minarne i fianchi.
Ora è una istituzione. E alla fine degli anni ’90, dicono gli amici, rimase inquieto come sempre, ansioso di sfidare le ipotesi più comuni. Questo è proprio quello che è successo quando incontrò un altro gruppo di protestanti, al meeting annuale dell’Associazione psichiatrica nel 1999: si autodescrivevano come ex-omosessuali.
Come i protestanti omosessuali del 1973, anche loro erano indignati dal fatto che la psichiatria negava la loro esperienza, e di qualsiasi terapia che li potesse aiutare.
La teoria riparativa
La terapia riparativa, talvolta chiamata “riorientamento sessuale” o terapia di “conversione”, affonda le sue radici nell’idea di Freud che le persone nascono bisessuali e possono muoversi lungo un continuum da un estremo all’altro.
Alcuni terapeuti non hanno mai rinnegato questa teoria; uno dei principali rivali del Dr. Spitzer nel dibattito del 1973, il Dr. Charles W. Socarides, fondò in California una organizzazione chiamata Associazione Nazionale per la ricerca e la terapia dell’omosessualità, NARTH, per promuovere la sua contro-teoria.
Sin dal 1998, il NARTH ha promosso alleanze con i gruppi di difesa socialmente conservatori e insieme iniziarono una campagna aggressiva, pubblicando annunci a tutta pagina sui principali giornali e sbandierando storie di successo.
“Le persone che condividevano la stessa visione del mondo, sostanzialmente si sono riunite ed hanno creato un proprio gruppo di esperti per offrire vedute politiche alternative”, dice il Dr. Jack Drescher, uno psichiatra di New York e co-autore di “Ricerca sugli ex-omosessuali: un’analisi dello studio di Spitzer e la sua relazione con la scienza, la religione, la politica e la cultura”.
Per il Dr. Spitzer, la questione scientifica doveva almeno portare ad un interrogativo: Qual è stato l’effetto della terapia, se c’è stato? Gli studi precedenti erano stati parziali e inconcludenti.
“La gente a quell’epoca mi diceva ‘Bob, stai scherzando con la tua carriera, non farlo’ ”, riferisce il Dr. Spitzer “Ma io non mi sentivo affatto vulnerabile.”
Egli reclutò 200 persone di entrambi i sessi, dai centri che stavano effettuando la terapia, inclusi Exodus International, in Florida, e il Narth. Ebbe con loro dei profondi colloqui telefonici, interrogandoli sulle loro pulsioni sessuali, sui sentimenti e sui comportamenti tenuti prima e dopo la terapia, valutandone le risposte in punti.
Proseguì poi confrontando i punteggi dei questionari, prima e dopo la terapia.
“La maggioranza dei partecipanti mi diede un rapporto di cambiamento da un orientamento prevalentemente o esclusivamente omosessuale prima della terapia, ad un orientamento prevalentemente o esclusivamente eterosessuale nel corso dell’anno precedente”, conclude la lettera.
Lo studio (presentato in un incontro psichiatrico del 2001, prima della sua pubblicazione) ebbe immediatamente una vasto interesse, e i gruppi degli ex-omosessuali putarono su di questo come una solida conferma per la loro campagna.
D’altronde era il Dr. Spitzer, l’uomo che da solo aveva eliminato l’omosessualità dal manuale dei disordini mentali. Nessuno poteva accusarlo di parzialità.
Ma molti capi dei gruppi omosessuali lo accusarono di tradimento, e avevano le loro buone ragioni. Il rapporto ha avuto gravi problemi. Esso si basa su quello che la gente ricordava di aver provato anni prima, un ricordo spesso confuso. Includeva anche dei sostenitori della lega ex-omosessuale, che erano attivi politicamente.
Inoltre, non si basava su alcun tipo di terapia particolare; solo la metà dei partecipanti erano impegnati con un terapeuta mentre gli altri stavano lavorando con consiglieri pastorali o in studi biblici indipendenti. Diversi colleghi cercarono di interrompere lo studio delle sue ricerche, confessa il Dr. Spitzer, e lo esortarono a non pubblicarlo.
Dunque, dopo aver pesantemente investito su tutto questo lavoro, egli si rivolse ad un amico che aveva precedentemente collaborato con lui, il Dr. Kenneth J. Zucker, psicologo a capo del Centro di Salute Mentale e Anti-dipendenze di Toronto ed editore dei “Registri del comportamento sessuale”, un’altra rivista molto influente.
“Conoscevo Bob e la qualità dei suoi lavori, ed ero d’accordo a pubblicarlo”, dice il Dr. Zucker in una intervista della scorsa settimana. Il rapporto non passò attraverso il solito processo di valutazione scientifica da parte degli addetti ai lavori, nel quale esperti anonimi criticano un manoscritto prima della sua pubblicazione.
“Io però gli dissi che l’avrei pubblicato solo se avessi anche potuto pubblicare tutti i commenti postumi che sarebbero pervenuti” dice il Dr. Zucker, cioè i commenti di tutti gli altri scienziati che sarebbero giunti in risposta alla pubblicazione.
Questi commenti, salvo poche eccezioni, furono spietati. Qualcuno ha citato il codice etico di Norimberga per denunciare lo studio non solo come difettoso ma moralmente sbagliato.
“Temiamo le ripercussioni che questo studio possiano suscitare, incluso l’aumento della sofferenza, del pregiudizio e della discriminazione”, fu la risposta di un gruppo di 15 ricercatori del New York State Psychiatric Institute, dove il Dr. Spitzer era affiliato. Il Dr. Spitzer nel suo rapporto non aveva mai sostenuto che essere omosessuale potesse essere una scelta, o che al contrario fosse possible cambiare questa situazione con la terapia qualora l’interessato lo avesse voluto.
Questo però non ha fermato i gruppi socialmente conservatori nel citare il rapporto a sostegno proprio di quei punti, come puntualizza Wayne Besen direttore esecutivo di Truth Wins Out, un gruppo nonprofit che combatte i pregiudizi anti-gay.
Secondo quanto riportato dal Dr. Drecher, in una occasione, un politico Finlandese ha portato lo studio in Parlamento per argomentare contro le unioni civili.
“Va detto che quando questo studio è stato usato impropriamente a fini politici per dire che gli omosessuali andrebbero curati (come è stato fatto molte volte), Bob ha risposto immediatamente per correggere gli errori di interpretazione” continua il Dr. Drecher che è omosessuale.
Ma il Dr. Spitzer non era in grado di controllare come venisse interpretato il suo studio dagli altri, e non poteva più cancellare il grande errore di vizio scientifico, che veniva duramente attaccato in molti commenti: Chiedere semplicemente alla gente se sono cambiati, non implica effettivamente il loro reale cambiamento.
La gente mente, a se stessi e agli altri. Si cambia continuamente il proprio racconto per soddisfare le proprie esigenze e gli stati d’animo. In breve, in quasi tutti gli aspetti, lo studio aveva fallito i rigorosi test scientifici che lo stesso Dr. Spitzer era stato così determinante a far rispettare per tanti anni.
“Mentre leggevo questi commenti, sapevo che questo era un problema, un grosso problema al quale non avrei potuto controbattere”, confessa il Dr. Spitzer “Come fai ad avere la certezza che qualcuno sia realmente cambiato?”.
Lasciarsi andare
Ci sono voluti 11 anni perchè lo ammettesse pubblicamente. In un primo momento si aggrappò all’idea che lo studio era esplorativo, un tentativo di indurre gli scienziati a pensarci due volte prima di scartare la terapia vera e propria.
Successivamente si rifugiò nella posizione che il rapporto si era concentrato meno sull’efficacia della terapia e più su come le persone, coinvolte in essa, descrivevano i cambiamenti dell’orientamento sessuale.
“Non è una questione molto interessante” disse “Ma per lungo tempo ho pensato che forse avrei dovuto affrontare il problema più importante, quello di valutare i cambiamenti”.
Dopo il suo ritiro professionale nel 2003, egli rimase attivo su molti fronti, ma lo studio riparativo è rimasto un argomento dei dibattiti culturali e un suo rammarico personale che non l’avrebbe mai abbandonato.
I sintomi del morbo di Parkinson si sono aggravati l’anno scorso, lasciandolo esausto mentalmente e fisicamente, rendendo ancora più difficile la sua lotta contro i rimorsi. Un giorno di marzo, il Dr. Spitzer ricevette una visita.
Gabriel Arana, un giornalista della rivista “The American Prospect”, il quale intervistò il Dr. Spitzer sulla terapia riparativa. Non fu solamente un’intervista; il Sig. Arana stesso, aveva subito la terapia riparativa da adolescente, e il suo terapista reclutò il giovane in base al rapporto del Dr. Spitzer (al quale il Sig. Arana, peraltro, non aveva partecipato).
“Gli chiesi di tutte le critiche ricevute sul suo lavoro, e lui semplicemente ammise: ‘Credo che siano in gran parte corrette’ ” racconta il Sig. Arana, che ha scritto un articolo il mese scorso, raccontando la sua esperienza. Arana dice che la terapia riparativa aveva ritardato la sua accettazione di sè come uomo omosessuale e che lo induceva a pensieri suicidi.
“Ma a quell’epoca ero stato reclutato per il rapporto di Spitzer, e venivo indicato come un testimonianza di successo. Il mio compito era quello di dire che facevo progressi”. Questo è quanto accaduto. Lo studio che era partito come una mera annotazione e che era durato una vita stava arrivando al suo capitolo finale.
E aveva bisogno di un vero e proprio finale; una forte correzione, direttamente dal suo stesso autore, non da un giornalista o da un collega. Una bozza della lettera è già stata diffusa on-line ed è stata segnalata.
“Sai, è l’unico rimpianto che ho; il solo, a livello professionale”, mi dice il Dr. Spitzer, parlando del suo rapporto, alla fine della lunga intervista. “Ritengo di non aver mai sentito, nella storia della psichiatria, di qualche scienziato che abbia scritto una lettera dicendo che i dati sono stati dovutamente raccolti ma che sono stati completamente fraintesi. Non ho mai visto nessuno che abbia ammesso una cosa di questo tipo e che si sia scusato con i propri lettori”.
Distoglie lo sguardo e poi mi guarda nuovamente, i suoi grandi occhi azzurri offuscano un’emozione. “E’ già qualcosa, non credi?”.
Testo originale: Psichiatria Giant Mi dispiace per il backup Gay ‘Cure’