Una ex suora lesbica e sposata si racconta
Intervista di Xorje Olivares* a Vania Christian Dos Passos pubblicata sul sito them. (Stati Uniti) il 22 marzo 2018, liberamente tradotta da Fabiana Ceccarelli
Vania Christian Dos Passos dice che al momento la sua vita non potrebbe essere più esaltante. Non solo questa insegnante della contea di Baltimora è sposata con l’amore della sua vita, Rachel Christian Dos Passos, ma le due donne sono anche madri di una bimba di un mese, che fa parte adesso della loro “avventura“, come la chiama lei.
E sinora è stata davvero un’avventura quella di Dos Passos, immigrata negli Stati Uniti nel 2011 per imparare l’inglese e per laurearsi, dopo aver vissuto la maggior parte della sua vita in America Latina. È cresciuta in una zona rurale nel nord del Brasile, e racconta che la sua famiglia era profondamente cattolica, e che andare a Messa non era una scelta bensì un obbligo. Infatti, siccome nella zona c’era carenza di sacerdoti, era suo padre che predicava regolarmente per la congregazione locale. Come per la maggior parte dei latinoamericani, anche per Dos Passos il cattolicesimo era tanto un modello culturale quanto un vero e proprio modo di pensare, dal momento che – per usare le sue parole – “il Cattolicesimo lo sperimenti in tutte le cose”.
E caspita… Dos Passos il cattolicesimo lo ha sperimentato concretamente. A quanto pare ha sentito “la chiamata” quando aveva 15 anni, dopo aver lavorato con le suore del posto; quell’esperienza era stata una maniera per iniziare ad interessarsi alle questioni di giustizia sociale. A 19 anni era una postulante (un’aspirante candidata che desidera entrare in convento e diventare anch’essa suora). Tre anni dopo è diventata una novizia, col compito di stabilire se la vita religiosa fosse la cosa giusta per lei. Poi, a 25 anni, è diventata una sorella minore a tutti gli effetti.
Questo viaggio spirituale lungo otto anni ha però portato anche ad una presa di coscienza sul piano sessuale. Dos Passos ha dovuto ammettere a se stessa che oltre ad amare Dio, amava anche le donne. Perciò, per rimanere fedele a se stessa e alle sue pulsioni omosessuali, ha deciso di lasciare il convento nel dicembre 2013, due anni dopo il suo arrivo negli Stati Uniti. Nei cinque anni successivi, Dos Passos e la futura moglie hanno fatto parte del LEAD, la classe dirigente della comunità LGBTQ+, nell’ambito della parrocchia cattolica di San Matteo di Baltimora, comparendo tra l’altro in una breve serie di documentari sul tema, intitolata The Lost Flock (La pecorella smarrita), per poi staccarsi definitivamente dall’istituzione della Chiesa e dalle sue politiche di esclusione, poco prima che le due si sposassero.
Ho interrogato Dos Passos su come si era rapportata alla sacralità della vita religiosa da omosessuale non dichiarata, su come avrebbe introdotto la figlia a quella sua religione di un tempo, e su quali consigli darebbe ad altre persone LGBTQ+ che si trovano a mettere in dubbio la forza della loro devozione.
Che percezione avevi della realtà “queer” da giovane donna brasiliana?
Non ho mai pensato che nel mio Paese le due cose potessero coesistere: non potevi essere cattolica e omosessuale. Io non ho mai avuto la facoltà di scegliere. E non se ne parlava molto in famiglia (anche se ho un cugino gay), né la questione veniva menzionata in chiesa. Sapevamo dell’esistenza della comunità LGBTQ+, ma questa non figurava nella nostra fede. Ho sempre saputo che in me c’era qualcosa di diverso, ma non riuscivo a capire bene cosa fosse. Sapevo soltanto che le mie uscite coi ragazzi non erano dei gran successi. Per cui pensavo “Forse sono io, forse c’è qualcosa di sbagliato in me. Forse sono fatta per essere suora”.
Entrare in convento era forse un modo per reprimere la tua sessualità?
No, non era questo il motivo. Io volevo far parte di una sorellanza; desideravo fare quella vita di comunità per un senso di gratitudine. Sono cresciuta in una famiglia che aveva molti problemi: i miei genitori erano poveri, e ho dovuto affrontare molte avversità. Ma ho sempre avuto la sensazione che Dio fosse lì. Per cui servire Dio scegliendo la vita religiosa era il mio modo di dire “grazie”, sapendo che le cose avrebbero potuto essere ben peggiori di quello che erano.
Hai fatto coming out con te stessa alcuni anni dopo aver preso i voti religiosi ‘solenni’, giusto?
Esatto, ero una novizia quando ho fatto coming out. Non avevo mai detto a nessuno che ero omosessuale, perché ovviamente era una cosa inaccettabile per la mia comunità. Ma mi sentivo felice sapendo che quella era la mia verità. Ho però cominciato a sentirmi persa, e la mia propensione per la vita religiosa stava venendo meno. E ho iniziato ad essere gelosa osservando le persone che potevano condurre la loro vita in maniera autentica. Così ho deciso di andarmene, e sono fiera di questo. Però mi sento contenta anche della mia passata esperienza come suora.
Che cosa ti è rimasto, oggi, di quell’esperienza di vita religiosa?
Direi il valore dell’altruismo e del prendersi cura degli altri. Cerco di ricordare sempre a me e alla mia compagna che, oltre a concentrarci su noi stesse, è importante entrare in contatto con la comunità che ci circonda, interessarci a coloro che incontriamo, cercando di essere sempre emotivamente partecipi. Anche se non sono più una suora, aiutare gli altri a sperimentare l’amore di Dio attraverso i propri gesti è una cosa che non voglio perdere. A volte sono molto presa dal mio ruolo di moglie, oppure di insegnante d’inglese o di madre; è facile farsi inghiottire dai problemi, e dimenticare che c’è sempre qualcuno che ci aiuta.
Cosa ti è piaciuto di più del cattolicesimo prima di fare coming out?
Mi piaceva andare a Messa e vivere quell’esperienza condivisa di adorare Dio in un luogo comune. Ci riunivamo in chiesa per vivere quel momento speciale tutti insieme; era fondamentale. Inoltre, la comunione rappresentava una fonte di forza per me e, crescendo, la chiesa è diventata il posto dove potevo rifugiarmi per cercare quell’intimità con Dio.
Da allora hai lasciato la Chiesa Cattolica. Descrivi quel processo e cosa hai pagato a livello emotivo considerando il tuo rapporto profondo con la fede.
È stato davvero molto doloroso. Dopo che ho conosciuto la mia compagna, e che abbiamo deciso di creare una famiglia, abbiamo dovuto pensare all’ambiente in cui volevamo far crescere i nostri figli. Effettivamente in passato c’eravamo trovate in una comunità cattolica molto aperta e accogliente, dove ci eravamo sentite a nostro agio. Ma eravamo consapevoli che i cambiamenti che volevamo vedere nella Chiesa avremmo potuto non vederli realizzati nel corso della nostra vita. Siamo così giunte alla conclusione che dovevamo andarcene. Io mi considero tuttavia ancora cattolica. Il cattolicesimo è nel mio DNA. Mi faccio ancora il segno della croce prima dei pasti, e recito l’Ave Maria. Adesso però frequentiamo una parrocchia della Chiesa Unita di Cristo [United Church of Christ], che sostiene le persone LGBTQ+.
C’è l’intenzione di condividere in futuro i principi del cattolicesimo con la piccola appena nata?
Vorrei che provasse quello che ho vissuto io da bambina; in realtà desideriamo che venga presto battezzata. Voglio che capisca che in tutte le cose si possono trovare delle pecche, e che anche la Chiesa Cattolica non è perfetta. È talmente imperfetta che noi in questo momento non possiamo nemmeno farne parte. Voglio comunque che lei viva l’esperienza della fede e che un giorno mi dica: “Voglio frequentare la Chiesa Cattolica” e io le direi ”Vai pure!”. Il fatto che noi adesso non possiamo frequentarla è triste, visto che la Chiesa ha tante cose belle che possono riunire le persone, ma al tempo stesso impedisce a me e alla mia famiglia di farne parte.
Quale delle tue identità – sessuale e spirituale – viene prima?
Se penso alla mia vita in questo momento, direi che mi sento prima di tutto lesbica. Se me lo avessi chiesto un paio di anni fa, avrei detto cattolica. Sono riuscita a staccarmi dalla religione, e ora la vedo come un mezzo per approcciarmi a Dio.
Che consiglio daresti ad una persona ‘ricettiva’ che dovesse decidere di abbandonare la Chiesa Cattolica?
Le direi, prima di tutto, di cercare di capire chi è, dove vuole arrivare, e dove pensa di poter coltivare la sua fede e dare il meglio di sé. Io ho sentito il bisogno di sedermi e di pensare: come sarà la mia vita di fede tra cinque anni? Se fossi single, penso che starei ancora lottando per i cambiamenti all’interno della Chiesa. Non direi a nessuno cosa fare, se andarsene o restare a lottare. È una decisione estremamente personale, per la quale bisogna pregare molto.
Ritieni di dare il meglio di te stessa in questo momento?
Direi di no, però sono molto meglio di prima. Sono riuscita a liberarmi da quelle convinzioni che la fede e l’educazione mi avevano inculcato. Ora si tratta di capire Dio al di là del cattolicesimo e del cristianesimo, con la consapevolezza che Egli mi ha creato così come sono.
* Xorje Olivares è un conduttore queer latino. Scrive su VICE, Playboy, Rolling Stone, Vox e altri media. I suoi contenuti originali li trovate su HeyXorje.com
Testo originale: How This Queer Former Nun Found Life After the Catholic Church