“Essere figli amati che amano”. Noi cristiani davanti all’amore senza condizioni di Dio
Omelia* del diacono Ray Ortman pubblicata sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 16 gennaio 2020, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Sono necessarie alcune informazioni per porre l’omelia (del diacono cattolico Ray Ortman) nel suo contesto. Nel settembre 2014 l’arcivescovo [di St. Paul e Minneapolis, Stati Uniti] John Nienstedt (ora emerito) pretese le dimissioni di Jamie Moore, direttore musicale della parrocchia, per via delle sue imminenti nozze gay con il suo fidanzato.
Molti parrocchiani, così come molti membri del consiglio parrocchiale, rimasero basiti alla notizia. Il diacono Ortman, che è anche l’economo della parrocchia, era lì quell’anno; la sua omelia ci fornisce alcune notizie sulla parrocchia.
Abbracci, lacrime, email, applausi e altre manifestazioni di sostegno sono stati la risposta al semplice messaggio che tutti noi siamo amati e accolti da Dio senza condizioni. Molti parrocchiani hanno perfino assistito alla seconda Messa della giornata per ascoltare di nuovo il suo messaggio, portando con sé le persone care o i loro figli, perché ritenevano che avrebbe fatto loro bene ascoltare quel messaggio semplice e sempre attuale, che sta al cuore del Vangelo.
“Questo è il mio amato Figlio”
“Questo è il mio amato Figlio”. Il mio amato. Che gioia sentire tali parole! Quale bambino non vorrebbe sentirle, e sapere che è amato? Anche Gesù era felice di sentirlo da Suo Padre: una dichiarazione di amore incondizionato. Nel giorno del Battesimo di nostro Signore, prima dell’inizio del Suo ministero, queste parole di trasmettono la verità che l’amore di Dio non dipendeva da nulla di ciò che Gesù aveva fatto: non aveva ancora fatto nulla! Dio amava piuttosto Suo Figlio per quello che era: Suo Figlio, il suo amato. Più semplice di così!
In questi anni ho avuto la benedizione di aver battezzato centinaia di bambini, e ogni volta vedo l’amore dei loro genitori, colmo di amore e gioia. Nemmeno i loro bambini hanno ancora fatto nulla nella vita, a parte forse deliziosi sorrisini e smorfiette. Ma questo non ha importanza! Amano i loro bambini senza condizioni, e farebbero qualsiasi cosa per loro, perché sappiano che sono amati. Del loro amore, dell’amore di Dio. È per questo che vengono alla Chiesa. Non è lo stesso per noi? Non veniamo forse alla Chiesa per sperimentare e ricevere l’amore di Dio e il calore della Sua famiglia? Per amare Dio, e per ricambiare il Suo amore amandoci l’un l’altro? Siamo tutti figli e figlie di Dio! Siamo immensamente amabili, e amati. Penso che lo sappiamo tutti e tutte, ma a volte lo dimentichiamo. Lo so, perché anche per me è così.
A volte penso di dovermi guadagnare l’amore di Dio, di non esserne mai abbastanza degno, degno di un amore così sorprendente, penso che mi venga concesso tra mille condizioni e precisazioni. E invece non è vero! Noi sappiamo che Dio ci ama senza alcuna eccezione, perché “mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8).
Penso che a volte dimentichiamo anche che Dio ama gli altri, tutti gli altri, che siamo invitati ad amare tutti e tutte con quello stesso amore di cui ci ama Dio: senza condizioni, indipendentemente da ciò che abbiamo o non abbiamo fatto, di ciò che siamo o non siamo.
Spesso ci soffermiamo su cose e fatti accidentali che tendono a separarci dagli altri. Giudichiamo, temiamo, non comprendiamo ciò che ci rende diversi, che molto spesso è proprio ciò che ci rende speciali, unici e preziosi, che fa di noi ciò che siamo. Vorremmo rifare i nostri fratelli e le nostre sorelle a nostra immagine, invece che a immagine di Dio, quel Dio che chiama tutti e tutte noi “amati figli”. A volte le cose che ci dividono sono facili da individuare: bianco/nero, magro/grasso, anglofono/ispanofono. A volte invece non sono così ovvie: le cicatrici e le ferite che ci portiamo dietro dal cammino della vita, le lotte che troppo spesso danno una definizione precisa di noi, ma che non sono noi: la povertà, la malattia, la dipendenza da alcool o droghe, i guai con la giustizia.
La Chiesa spalanca le sue porte a tutte queste persone; anzi, è costretta dalla sua missione ad andarle a cercare, nel nome di Gesù. La nostra è e deve essere una missione di accoglienza, compassione, guarigione e amore, perché la nostra è la missione di Gesù, quel Gesù che ci ha dato un solo comandamento in Giovanni 13: “Amatevi gli uni gli altri!”.
Qui, nella nostra parrocchia, abbiamo molti ottimi ministeri per i poveri, i malati, i senzatetto e i carcerati. Questo è l’amore di Cristo messo in pratica! Ed è bello, perché sta già cambiando in meglio le vite dei figli e delle figlie di Dio, e anche le nostre: ho visto più di un donatore gioioso dal volto illuminato dal sorriso.
Lo scorso autunno abbiamo condotto un sondaggio nella nostra parrocchia, e così sappiamo che volete fare ancora di più per accogliere e amare senza condizioni chi non si sente accettato dalla Chiesa, oppure si sente alienato dall’amore divino o anche dal nostro, in particolare i nostri fratelli gay, le nostre sorelle lesbiche, il nostro prossimo bisessuale e i nostri cari transgender, e chiunque si identifichi come persona LGBTQ. Se non riusciamo a guardare queste persone negli occhi e dire loro “Ti voglio bene”, senza condizioni, senza se e senza ma, allora abbiamo ancora del lavoro da fare.
Se non riusciamo a credere e a proclamare che Dio chiama per nome ciascuno e ciascuna dei suoi figli “amati”, senza se e senza ma, allora abbiamo ancora del lavoro da fare, ma è una fatica gioiosa, un lavoro d’amore, e se al centro di un lavoro c’è amore, non è certo una fatica, è una gioia!
Ciascuna e ciascuno di noi è prezioso e unico, degno di essere compreso e amato. Siamo tutti Figli Amati, ma quando non condividiamo tale amore, o facciamo anche di peggio, allora facciamo del male, infliggiamo dolore e seminiamo alienazione. Da molti anni abbiamo un cartello fuori dalla nostra chiesa che recita “Tutti sono i benvenuti”, ma fino ad ora quel messaggio è stato perlopiù un’aspirare a quell’accoglienza che le persone LGBTQ si meritano, e conosciamo fin troppo bene il dolore di non essere all’altezza delle aspettative.
Perciò, impegniamoci a mettercela tutta. Già abbiamo imparato molto sull’amore, e molto altro abbiamo da imparare, e non c’è modo migliore e più profondo di imparare l’amore che distribuirlo. Cominciamo con l’avere una priorità: offrire amore incondizionato a tutti coloro che si sentono emarginati nella nostra Chiesa, e in particolare ai nostri fratelli e sorelle LGBTQ. Alcuni e alcune di noi sicuramente già lo fanno, ma per altri può essere difficoltoso. Va bene così. Aprire la mente e cercare in profondità con un cuore amorevole è un buon inizio.
Secondo le risposte al sondaggio, il medesimo invito amorevole e accogliente dovrebbe essere esteso in modo più efficace alle persone divorziate. Come si può negare l’accesso all’amore di Dio a chi si sente così palesemente non amato? Non è necessariamente una cosa complicata, al contrario, è semplice come dire “Ti voglio bene”. Questo non vuol dire che sia facile: la famiglia non è mai facile, vero? Ma ne vale la pena.
Ecco la ragione principale per cui Gesù è venuto nella carne: inaugurare una grande Riunione Famigliare! Non è stato facile, e Lui ha fatto la parte più difficile, non con grida e fanfare (come ci ricorda Isaia), senza rabbia, senza imporre a nessuno di cambiare, ma con gentilezza e pazienza. Dio ci ha tenuti per mano, facendo gentilmente attenzione che tutte e tutti noi fossimo accolti e amati.
* Il passo biblico è tratto dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI.
Testo originale: ‘This Is My Beloved’: A Deacon Preaches on the Meaning of Unconditional Love