I cattolici LGBT australiani e i loro pastori s’interrogano su quale pastorale per loro nella chiesa
Articolo di Catherine Buck* pubblicato sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 12 febbraio 2020, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Per la prima volta dopo trent’anni i cattolici australiani hanno organizzato un seminario a livello nazionale per discutere sulla cura pastorale rivolta alle persone LGBTQ+.
In una dichiarazione riportata sul sito del Global Network of Rainbow Catholics (Rete Globale dei Cattolici Arcobaleno) gli organizzatori parlano dei loro obiettivi per questo storico weekend, come la speranza di “un momento favorevole per un ministero migliore, che sia efficace per il benessere e la salute spirituali delle persone LGBTQIA+ cattoliche, le loro famiglie e le loro comunità”.
Il tema che ha guidato i partecipanti è stato “Sto per fare una cosa nuova”, che attinge alla saggezza delle Scritture e dal messaggio pontificio contro la discriminazione. Il comunicato stampa riporta alcune parole di papa Francesco: “La bontà di Dio non ha limiti, e non discrimina nessuno. Per questo il banchetto dei doni di Dio è universale, per tutti”.
Il summit si è svolto a Sydney dal 31 gennaio [2020] al 1 febbraio, e i responsabili della pastorale hanno discusso di come raggiungere le “periferie esistenziali” del loro ministero, “lì dove si trovano il dolore, la sofferenza [e] la guarigione, accoppiate a una grande fede e a nuovi modi di crescere”.
Ospiti dell’associazione Rainbow Catholics InterAgency for Ministry (Agenzia di Collaborazione per i Ministeri Cattolici Arcobaleno), tra i gruppi presenti ricordiamo Acceptance Sydney (Accettazione a Sydney), Inclusive Parishes & Schools Working Group (Gruppo di Lavoro per Parrocchie e Scuole Inclusive), Supportive Catholics’ Parents (Genitori Cattolici che Sostengono [i loro Figli LGBT]), Families Network (Rete delle Famiglie) e Australian Catholics for Equality (Cattolici Australiani per l’Uguaglianza), e poi sacerdoti diocesani, suore, responsabili della pastorale e di gruppi giovanili.
Centrale l’intervento della nota attivista per la giustizia sociale suor Susan Connelly RSJ, “Il capro espiatorio. Additare il colpevole”, intervento ispirato dall’opera filosofica e antropologica di René Girard, le cui idee hanno aiutato i partecipanti “a parlare del modo in cui additare un capro espiatorio svia l’attenzione e anestetizza i gruppi sociali nei confronti della cancellazione, dell’invisibilità e della discriminazione portati avanti dal sistema”.
L’ultima volta in cui un tale seminario è stato svolto in Australia è stato nel 1990. Joey (nel comunicato stampa sono stati riportati solamente i nomi di battesimo), membro di Acceptance Sydney, afferma che quel seminario “si svolse all’apice dell’epidemia di HIV/AIDS, e i gruppi pastorali come il nostro furono fondamentali nel rispondere adeguatamente all’emergenza”.
Le priorità di oggi sono notevolmente diverse. Secondo Benjamin, copresidente dell’associazione organizzatrice Rainbow Catholics InterAgency for Ministry, negli ultimi trent’anni “molto è cambiato a livello di comprensione e atteggiamenti tra i cattolici australiani, come si può vedere nel crescente numero di parrocchie che non solo accettano e accolgono le persone LGBTQIA+, ma anche le loro storie personali, le loro realtà, i loro doni ed esperienze”.
Il seminario prelude anche al Concilio Plenario della Chiesa Australiana previsto per l’ottobre 2020, il primo del periodo post-Vaticano II. I responsabili pastorali si preparano per le discussioni “sulla riforma e il rinnovamento” della Chiesa, spendendosi perché le tematiche LGBTQ+ rimangano sempre in primo piano.
Nel 2017 l’Australia ha votato a favore del matrimonio omosessuale, e anche un grande numero di cattolici si è espresso a favore della nuova legge. Francis dell’Inclusive Parishes and Schools Working Group nota come “i cattolici siano stati il singolo gruppo religioso più grande ad aver sostenuto il matrimonio omosessuale”, il che rivela una coerenza etica: “I cattolici australiani hanno votato Sì non a dispetto della loro fede e dei loro valori, ma proprio grazie ad essi. Anche noi, come la maggioranza degli Australiani, vogliamo vedere i nostri cari e amici LGBTI poter sposare la persona che amano”.
Se il matrimonio civile omosessuale è ormai legge, molte persone LGBTQ+ cattoliche hanno ancora ragione di temere per i loro diritti e il loro benessere nelle parrocchie. Padre Peter, un sacerdote diocesano, racconta come a una coppia lesbica sia stata negata la possibilità di battezzare il proprio bambino “perché le due donne erano sposate civilmente, e il fatto di avere un bambino era un abominio. Per fortuna, insistendo un po’ e attraverso uno dei nostri gruppi, hanno trovato una parrocchia con un parroco molto accogliente, si sono lasciate alle spalle quell’incontro così traumatico e hanno continuato a vivere la loro fede”.
Paul, membro di un consiglio pastorale diocesano e da molti anni insegnante, è preoccupato dalla possibilità di perdere il lavoro se si scoprisse il matrimonio che ha contratto con il suo compagno, con cui è insieme da vent’anni: “Sono stato insegnante di magnifici studenti che hanno finito la scuola, si sono sposati e ora lavorano a tempo pieno per la Chiesa, eppure rischio di venire licenziato perché amo un uomo”.
Le leggi civili sono certo un bel traguardo, che però non riflette i ritardi della Chiesa istituzionale, e in certi luoghi non vengono applicate. Sue, del Supportive Catholics’ Parents and Families Network, ci racconta il suo punto di vista: “Queste riforme legislative sono un segno che l’Australia riconosce le storiche ingiustizie contro la nostra comunità, e le nostre sfide di oggi, ma parte della Chiesa istituzionale non reagisce in maniera adeguata alle nuove scoperte scientifiche e alle esigenze pastorali delle persone LGBTQIA cattoliche e delle loro famiglie”.
A livello locale, i giovani riconoscono sempre più l’esigenza di un sostegno a tutto tondo nelle loro parrocchie, come dice Jas, attivo in un gruppo giovanile: “Il messaggio di papa Francesco sulla giustizia sociale e sull’emergenza climatica, e la sensibilità pastorale che a volte ha dimostrato nei confronti delle persone LGBT mi scaldano il cuore, ma questo messaggio non viene preso sul serio né dal mio vescovo, né dalla mia parrocchia. Continuano a demonizzarmi perché sono un giovane cattolico queer, e sono spaventato di cosa potrebbe accadere se uscissi allo scoperto come transgender e bisessuale”.
Jas non è l’unico a essere preoccupato; Mary, organizzatrice della pastorale nell’Australia Occidentale, racconta: “Lavoro nella pastorale giovanile, e mi preoccupo molto della salute mentale e spirituale dei giovani cattolici LGBTQIA+ con cui lavoro. Alcuni di loro mi raccontano di come i messaggi anti-LGBTQIA+ di alcuni vescovi vengano ripetuti dai loro genitori e parenti, e di come questa situazione sia dolorosa per loro”.
Mentre i vescovi australiani si preparano per il Concilio Plenario dell’ottobre 2020, noi speriamo che l’impegno di tutti i partecipanti a questo seminario possa contribuire a porre le esigenze delle persone LGBTQ+ cattoliche in primo piano nel panorama delle iniziative pastorali. Al di là di questo, l’unità di cui hanno dato dimostrazione moltissimi cattolici australiani durante questo weekend è un auspicio luminoso per il futuro dell’attivismo LGBTQ+ in questo Paese.
* Catherine Buck viene da Burlington, nel New Jersey, ed è autrice ed educatrice. È diplomata in scrittura creativa all’Università Rutgers, dove insegna composizione. Si è laureata all’Università La Salle e ha lavorato in varie comunità lassalliane in tutto il mondo, tra cui quella di El Paso, in Texas. Il suo lavoro non-profit l’ha portata anche in Nicaragua, dove ha cominciato a interessarsi delle prassi della teologia della liberazione.
Testo originale: Australian Catholics Host First LGBTQ National Symposium in 30 Years