Una chiesa a luci spente. Nella Chiesa battista di Grosseto abbiamo vegliato contro l’omofobia
Articolo di Claudia Angeletti tratto dal settimanale Riforma n.22, 1 giugno 2012, pag.9
Una chiesa a luci spente, con solo alcune candele accese, ha accolto chi ha deciso in ritardo, forse dopo esitazioni e incertezze, di partecipare alla veglia di preghiera in ricordo delle vittime dell’omofobia, a Grosseto, nella chiesa battista di via Piave.
Era il momento della confessione di peccato, in cui di fronte a Dio abbiamo chiesto perdono della nostra difficoltà ad accettare come sorella o fratello alla pari di tutte gli altri e le altre, le persone di orientamento omoaffettivo.
«Chi odia suo fratello è nelle tenebre» (I Giovanni 2, 11): il testo è stato così ben reso evidente da questo gesto simbolico, cui ha fatto seguito l’invito della pastora Elizabeth Green a venire avanti anche solo per accendere un lumino e testimoniare la propria volontà di camminare nella luce, amando invece la propria sorella lesbica o il proprio fratello gay.
Alcuni di coloro che hanno accettato l’invito hanno anche parlato, portando testimonianze di discriminazioni, di sofferenze, di difficoltà, ma esprimendo anche la gioia di trovarsi in un luogo, una chiesa, da molti so- litamente poco frequentato a motivo delle posizioni di condanna morale dell’omoses- sualità spesso tuonanti dai pulpiti.
Erano amiche e amici dell’Arcigay di Grosseto, che per la prima volta da quando la chiesa organizza la veglia hanno partecipato alla nostra riunione, rimanendo piacevolmente sorpresi del clima di accoglienza e manifestando l’intenzione di coltivare questo contatto con noi.
L’associazione «Rosa Parks», organizzatrice dell’evento, ha avuto l’opportunità di offrire una testimonianza di fede in quell’amore sconfinato di Dio che abbatte tutte le barriere tra gli esseri umani, affermando così il diritto di chiunque ad amare ed essere amato.
Un diritto che molti paesi nel mondo ancora violano apertamente, come è stato ricordato all’inizio dell’incontro, leggendo le vicende sciagurate occorse a Daniel Zamudio, ucciso dopo sei ore di tortura a opera di quattro teppisti in Cile; a Yildiz, un ventiseienne turco ucciso dal suo stesso padre perchè avrebbe disonorato la famiglia dichiarando la sua omosessualità; a tre giovani studenti francesi di una scuola cattolica privata fatti oggetto di sputi, spintoni ed epiteti dispregiativi da parte di coetanei, in quanto gay veri o presunti; a Jessica, che a Boston vive la sua attrazione per le ragazze come una diversità angosciosa che la fa sentire cittadina di seconda classe e le impedisce di trovare conforto persino nei suoi genitori quando le capita di essere apostrofata dispregiativamente come lesbica in pubblico.
Un piccolo catalogo della grande galleria degli orrori prodotti dall’omofobia, quella paura del «diverso» che spinge i «normali» a volerlo possibilmente eliminare, o reprimendo in lui o lei le manifestazioni affettive (da piccoli), o impedendone la visibilità, o infine tramite la violenza fisica fino alla morte, an- che legalizzata in ancora sette Stati del mondo.
Altri Stati inoltre favoriscono indirettamente i comportamenti omofobi, non approvando una legislazione che riconosca i diritti delle coppie omosessuali o che preveda un aggravio di pena per le aggressioni a sfondo omofobo. Tra questi l’Italia, agli ultimi posti in Europa (insieme a Città del Vaticano, Moldavia, Bielorussia) nella classifica dei diritti e delle tutele degli omosessuali.
Alla fine della veglia tanti lumini erano stati accesi sulla tavola della chiesa e una luce di speranza è emersa anche dalla proiezione di un video di «Nuova proposta», associazione romana di omosessuali cattolici, video in cui alcuni credenti hanno raccontato l’esito positivo del loro spesso difficile percorso di riconoscimento e accettazione della propria omosessualità, verificatosi grazie all’affetto della loro famiglia e dei loro amici, ma anche e soprattutto grazie all’approfondimento del loro rapporto con Dio.