La Buona Novella rivelata nell’Apocalisse
Riflessioni bibliche* di Patrice Rolin** pubblicate sul sito Protestants dans la Ville (Francia) il 19 febbraio 2020, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Il libro dell’Apocalisse spesso viene considerato il programma di Dio per gli ultimi tempi caotici e violenti della storia del mondo. Nel linguaggio corrente l’aggettivo “apocalittico” è spesso usato per descrivere distruzioni catastrofiche e situazioni ansiogene, ma né l’uno né l’altro di questi significati fanno giustizia all’ultimo libro della Bibbia.
Infatti, il senso della parola greca traslitterata con “Apocalisse” è “svelamento, rivelazione”, ed è proprio di questo che si tratta nel libro: Giovanni, il visionario di Patmos, solleva il velo sugli snodi della storia presente, svela e analizza con finezza l’ideologia dell’Impero romano alla fine del I secolo, e cosa significa testimoniare l’Evangelo nel suo ambito. Il lettore viene posto di fronte alla scelta radicale tra il rischio della testimonianza, e l’adesione (o la sottomissione) ai valori dominanti dell’Impero. Molti lettori, tuttavia, senza dubbio scossi dai suoi racconti fantastici e terrificanti, non ricordano altro di questo libro se non una collezione di profezie di sciagura per l’umanità.
Le beatitudini e gli appelli alla gioia
Al contrario di quello che molti credono, numerosi passi danno al libro dell’Apocalisse un tono da “buona novella”; dal principio alla fine il testo è ritmato dalle beatitudini, sette beatitudini indirizzate ai suoi lettori fedeli (1:3; 14:13; 16:15; 19:9; 20:6; 22:7; 22:14).
In due punti troviamo degli inviti a gioire, che risuonano dopo la vittoria su Satana grazie al “sangue dell’Agnello” e alla testimonianza dei fedeli (12:11-12), e dopo il racconto della caduta di Babilonia (18:20). Nel capitolo 19 troviamo una folla immensa che esulta per la vittoria dell’Agnello, e infine i capitoli 21 e 22 fanno da corona con la visione dei nuovi cieli, di una nuova terra e di una nuova Gerusalemme, in cui “ogni lacrima sarà stata asciugata”.
Certo, tutto questo può sembrare ben poco a confronto dei lunghi capitoli che descrivono, con abbondanza di dettagli, sciagure e catastrofi; se facciamo un raffronto statistico, prevale la distruzione. Ma guardiamo più da vicino a chi sono indirizzati gli appelli alla gioia, e cosa è destinato alla distruzione.
È caduta Babilonia la Grande!
Prendiamo per esempio il racconto del crollo di Babilonia, nel capitolo 18, al centro di un trittico il cui primo pannello (capitolo 17) racconta il giudizio e l’abbattimento della grande meretrice Babilonia (che prefigura Roma), abbandonata e divorata dai suoi amanti (che prefigurano i re e i regni vassalli dell’Impero). Il pannello centrale (capitolo 18) descrive dettagliatamente la caduta brutale del commercio internazionale che converge verso la capitale dell’Impero. Il terzo pannello (capitolo 19:1-10) ci fa contemplare una liturgia celeste a gloria dell’Agnello, che celebra la sua vittoria a immagine dei trionfi imperiali.
Al centro del trittico, il capitolo 18 racconta il crollo del sistema economico “mondiale” dell’epoca, del quale il visionario di Patmos ha avuto la rivelazione, proprio quando, alla fine del I secolo, questo sistema è al culmine della sua potenza; storicamente il crollo non avverrà prima del V secolo, e in tutt’altra maniera. In tale contesto, tra il successo storico effettivo (instaurazione della Pax Romana e crescita economica) e visioni di distruzione, ecco che, per i destinatari del libro, risuona una esortazione alla gioia, nel bel mezzo della spettacolare e catastrofica caduta del commercio marittimo e “globalizzato” dell’Impero! L’appello alla gioia le disperate e reiterate lamentazioni dei potenti e dei mercanti, che profittavano dello splendore e della ricchezza dell’Impero: “Rallègrati, o cielo, per la sua rovina! E voi, santi, apostoli e profeti, rallegratevi perché Dio, giudicandola, vi ha reso giustizia” (18:20).
In altri termini, i destinatari dell’Apocalisse, nei quali si identificano i fedeli della comunità e i suoi responsabili (come anche il lettore che in loro si riconosce), sono invitati a gioire della caduta del sistema economico “mondiale”, denunciato come empio dal visionario: ma non è perché i potenti si lamentano del prosciugamento della fonte della loro ricchezza (vv. 10.15.19) e della fine della loro vita confortevole (vv. 22-23) che coloro che non vi partecipavano (e che erano probabilmente le vittime del sistema; v. 24) devono unirsi alle loro lamentazioni! La gioia dell’oppresso al cambiamento della situazione dei potenti è l’eco di molti altri passi biblici (Deuteronomio 32:43; Isaia 14:4-8) e, ovviamente, del Magnificat (Luca 1:46-55).
Appello alla dissidenza
L’appello a gioire non è la sola consegna affidata a Giovanni di Patmos nel capitolo 18: nel versetto 4 troviamo un’ingiunzione rivolta al lettore: “Uscite da essa, o popolo mio, affinché non siate complici dei suoi peccati e non siate coinvolti nei suoi castighi”. Si tratta di sfuggire alla collera divina, di risparmiare i giusti per evitare che periscano con gli empi, e a causa degli empi; ma si tratta soprattutto di “non essere complici dei suoi peccati”, vale a dire di ritirare la propria solidarietà e sganciarsi dal sistema economico e dall’ideologia imperiale. Questa prima ingiunzione è quindi un appello alla dissidenza attiva e spirituale. Ricordiamo che all’inizio dell’Apocalisse alcune delle sette lettere alle Chiese dell’Asia Minore stigmatizzavano già la tendenza al compromesso con i valori dell’Impero (2:14.20; 3:15), e che al capitolo 13 “non avere il marchio della bestia” comprendeva l’emarginazione economica (13:16-17).
Se nel capitolo 18, e anche altrove nell’Apocalisse, la dimensione economica è molto presente, coloro che sono designati come le vittime del sistema imperiale non solo sono tanto da un punto di vista economico, quanto ideologico: sono prima di tutto dei testimoni confessanti, e la gioia alla quale sono invitati non è la semplice allegria dopo una vittoria che si sperava contro ogni pronostico, né la gioia della rivincita di fronte a un nemico a terra. Se essi possono e devono gioire, è perché è stato loro rivelato che il sistema fondamentalmente idolatra ed empio nel quale vivono, e che subiscono, non costituisce la totalità della realtà del mondo. La testimonianza rischiosa di chi trova nella sua speranza la forza di testimoniare è prima di tutto una lotta, una resistenza spirituale, più che un’azione politica nel senso contemporaneo del termine; rimane comunque il fatto che tale atteggiamento dissidente possiede una valenza politica, come ha ben compreso l’apparato coercitivo dell’Impero.
Rileggere il crollo
Rileggere oggi l’Apocalisse come una buona novella, anche se in una situazione storica certo molto diversa, può offrire delle risorse spirituali per resistere alle ideologie dominanti, per evitare di farci alienare e “dis-integrare”.
Qui, beninteso, non si tratta di promuovere un catastrofismo entusiasta, che sarebbe non solamente irresponsabile, ma anche illusorio; infatti, l’etica della dissidenza è altra cosa dal pessimismo che sa prevedere il futuro catastrofico del mondo. Al contrario, la prospettiva dell’Apocalisse di Giovanni fa capo alla speranza basata sulla fiducia. Contro quei determinismi nei quali sovente pensiamo di dover rimanere ingabbiati, questo libro ci offre una diversa lettura, liberatrice, della Storia del mondo e dei suoi orizzonti.
Pur essendo minoritari, gli appelli alla gioia, come le sette benedizioni che la scandiscono, fanno dell’Apocalisse un manifesto di resistenza spirituale, di dissidenza e di speranza: una buona novella, insomma.
“Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino!” (1:3)
* I passi biblici sono tratti dalla versione Nuova Riveduta.
** Patrice Rolin è animatore teologico all’Atelier Protestante di Parigi.