Le vite nascoste degli omosessuali e dei trans in Spagna sotto la dittatura di Franco
Articolo pubblicato sul blog L’armari obert (Spagna) il 18 luglio 2016, liberamente tradotto da Stefano M.
Il 18 luglio del 1936 un gruppo di militari dava il via ad un colpo di stato di carattere fascista, che portò la Spagna ad una terribile Guerra Civile e ad un interminabile dopoguerra, di cui 80 anni dopo, sicuramente, ancora paghiamo le conseguenze.
Sotto la dittatura del Generale Franco cominciò una dura repressione contro qualsiasi tipo di dissidenza; il machismo e il cattolicesimo nazionalista costituivano il DNA di questo regime, che non nascondeva la sua adesione ai movimenti europei di stampo fascista. La lista di coloro che furono sottoposti a rappresaglia fu enorme. La popolazione LGBT dovette nascondersi, nonostante fino al 1954 l’omosessualità non fosse considerata un reato. I maltrattamenti dei falangisti e della polizia furono terribili; si salvarono alcuni personaggi famosi che diedero il loro sostegno alla fazione vincitrice, come Jacinto Benavente. Altri si videro obbligati all’esilio, come Antonio de Molina.
L’omosessualità era ritenuta una malattia, e l’omosessuale un pervertito. Il regime franchista si basava sulla morale cattolica ultraconservatrice, che la giudicava aberrante e contraria alla legge naturale. L’omosessuale era considerato una minaccia per il prototipo del “maschio machista e falangista”.
L’omosessuale era trattato come un delinquente malato, come gli stupratori o gli infanticidi. Lo psichiatra Antonio Vallejo Najera ne credeva necessaria la sterilizzazione. Diceva: “Acquisiscono, questi postencefalitici, tutte le caratteristiche proprie delle personalità psicopatiche: indolenza, molestia, tendenze cleptomani, aggressività, vagabondaggio, ecc. Ciò che è caratteristico è la loro abilità cinetica e la tendenza all’azione, con finalità o scopi perversi”.
Il generale Gonzalo Queipo del Llano una volta affermò che “qualunque effeminato o deviato che insulti il movimento, sarà ucciso come un cane”.
Nessuno come le persone transessuali subirono la terribile repressione del franchismo. Si crede che la maggior parte dei 5.000 sottoposti a rappresaglia lo fossero, per il semplice fatto di essere visibili, dato che essere transessuali era un crimine. Il franchismo non distingueva l’omosessualità dalla transessualità, una persona trans rappresentava ciò che il fascismo regnante temeva maggiormente, “la femminilizzazione della specie”.
La Guerra Civile significò la chiusura di tutti i locali in cui potevano palesarsi. Uscire vestiti con abiti del “sesso opposto” per la strada poteva significare bastonate, arresto, e ogni tipo di umiliazione pubblica, e a partire dal 1954, il carcere.
In quelle città in cui ancora esisteva una certa tradizione (Cadice, Valencia o Barcellona), poco a poco e con discrezione, poterono palesarsi. Il porto di Santa Maria o Sanlucar, i quartieri portuali di Valencia o il Quartiere Cinese di Barcellona erano i luoghi in cui, con difficoltà, potevano farsi vedere.
Nella Spagna profonda il futuro di una persona trans era l’emigrazione, perché per il semplice fatto di essere trans poteva essere arrestata e obbligata a subire terribili terapie, le stesse eseguite nei confronti degli omosessuali. Il loro futuro non era roseo: il mondo dello spettacolo, i lavori domestici, se avevano la fortuna di avere un partner, fare la domestica o diventare lavoratrici del sesso.
Verso la fine della dittatura, uno dei principali istigatori di questo odio verso le persone trans e omosessuali fu il presidente del governo Carrero Blanco. Per lui, il solo fatto che un giovane si lasciasse crescere i capelli era già un sintomo di “femminilizzazione”; per questo politico i Beatles erano dei “finocchi capelloni”. Egli fu il promotore della Legge di Pericolosità Sociale che non condannava le pratiche, bensì il semplice fatto di essere omosessuali, e non distingueva, tutti erano invertiti, finocchi. Enrique Rubio, eccelsa penna a difesa dei patri valori, si riferiva alle persone trans come “finocchi camuffati da donne”.
La funzione della donna sotto il franchismo era quella di dare piacere e figli all’uomo (al maschio), di essere la padrona di casa e una buona madre di famiglia. Non aveva sessualità, né se ne poteva parlare. L’idea che due donne potessero soddisfarsi sessualmente a vicenda era inammissibile. La donna doveva essere sottomessa e mantenere un ruolo passivo nel sesso, evitando di mostrare piacere.
Questo succedeva in un regime che aveva come guardiane della morale e dei buoni costumi una divisione di donne sole, in divisa, la “Sezione Femminile”, covo di lesbiche in potenza secondo Fernando Olmeda. Un gruppo marziale di donne che insegnavano alle giovani ciò che esse stesse non praticavano: a essere femminili, a cucire e cantare, a compiere i lavori domestici e ad essere sottomesse al maschio.
In questo stato di cose le lesbiche non avevano modelli, le ultime conosciute avevano abbandonato la Spagna alla fine della guerra civile. Molte non arrivarono a comprendere la natura dei loro desideri e sentimenti, e arrivarono ad una situazione di disperazione causata dalla vergogna, dall’ignoranza e dal senso di colpa. Si credevano diverse, ma vivevano nelle catacombe, nella solitudine più assoluta.
Paulina Blanco della Fundaciò Enllaç ci racconta la sua esperienza: “Scoprii la mia omosessualità durante l’adolescenza, e comportò per me un altissimo livello di solitudine, di tristezza, di non sapere cosa fare, di non dare un nome a quello che sentivo, perché non sapevo cosa fosse, di non avere modelli, di non poter comunicarlo a nessuno. Mi rifugiai negli studi e furono la mia salvezza, finché non conobbi, nel paese di Caceres, Encarnita, con cui divido la mia esistenza dal 1972″.
Testo originale: HOMOSEXUALES Y TRANSEXUALES BAJO EL FRANQUISMO. (I PARTE)