Il quinto Comandamento: apprendi la gratitudine. La riconoscenza è essenziale (Prima parte)
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*
“Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni sopra la terra, che il Nome (Dio) ti dà” (Quinto Comandamento)
Car* amiche/ci a partire da questo mese inizieremo a commentare il Quinto Comandamento: “Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni sopra la terra, che il Nome (Dio) ti dà”. Apprendere la gratitudine è essenziale soprattutto in questo momento storico che tutto il genere umano sta vivendo.
Un microorganismo, il virus corona, indirettamente ci invita a riflettere sulla fragilità umana delirante e smaniante di onnipotenza. Il mio vuole essere un discorso d’esortazione morale? Sì lo è, ma lo rivolgo soprattutto a me medesimo. L’uomo contemporaneo è diventato allergico a qualsiasi genere di ammonimento, tanto che l’irresponsabilità che stiamo vedendo durante questi giorni è un chiaro segnale dell’immaturità di molti esseri umani. Don Milani ci esortava a essere cittadini sovrani.
Da ora in poi dovremmo esserlo ulteriormente. Ma come possiamo? Forse, questo comandamento potrebbe, se siamo adusi alla riflessione, essere un prezioso ausilio per la vita quotidiana. Si apre con un’ingiunzione: “Onora tuo padre e tua madre…”. Avrebbe potuto fermarsi qui, come del resto i precedenti: “Io sono l’Eterno, tuo Dio…”. “Non avrai altro Dio di fronte a me…”. “Ricordati del giorno di shabbat…”.
Ora – questa è l’originalità rispetto agli altri – ecco che una ricompensa è direttamente legata al comandamento d’onorare il padre e la madre… “perché si prolunghino i tuoi giorni sopra la terra che Dio ti dà”. Il testo differisce appena da quello del capitolo 19 del Levitico, versetto 3: “Ognuno rispetti sua madre e suo padre e osservi i miei shabbat. Io sono il Nome, vostro Dio”.
Il versetto comincia con la madre e dopo viene l’osservanza dello shabbat. Per tutti i commentari talmudici, il comandamento di onorare il padre e la madre rientra nella categoria dei comandamenti, quelli che concernono la relazione tra l’uomo e Dio. Onorare i genitori, è un modo di onorare Dio. Non farlo, significa disprezzarlo. Come intendere quest’ingiunzione? Innanzitutto, che cosa significano i termini “ rispetto ” e “ onorare ”?
Per il Talmud, in via preliminare, si tratta di un’attitudine molto concreta: si tratta di fornire ai genitori, gli alimenti, viveri e bevande, abiti e alloggio, aiutarli a uscire ed entrare di casa. Qual è il timore? “ Non prendere il posto del padre, non occupare la sua sedia, non contraddire i genitori e, pertanto, non attaccarli pubblicamente”.
Il libro delle Leggi, che precisa questi comportamenti, ne fornisce una lunga lista pratica, come quella relativa al rispetto: “non chiamarli per nome, andare loro incontro per accoglierli, non separarsi da essi senza avvisarli, scrivere loro se abitano in una città diversa, ascoltare i loro consigli, cercare la loro benedizione, circondarli di attenzione quando diventano anziani, evitare quei comportamenti che potrebbero farli vergognare, gli atti che potrebbero causare un dispiacere (come una lite tra fratelli e sorelle), attribuire la che considerazione che spetta ai vostri genitori…”.
Il rispetto deve venire dal cuore ed esprimersi con parole e atti. Bisogna continuare a onorare i genitori anche se hanno subito un affronto o sono vittime di un pregiudizio per un errore che possono avere commesso. Bisogna, anche, manifestare zelo nei confronti di questi obblighi e compiere direttamente il proprio dovere piuttosto che affidarsi a un intermediario.
Alla loro morte, bisogna osservare il lutto per un anno (mentre per tutti gli altri membri della famiglia è di soli trenta giorni). Ecco alcuni comportamenti concretissimi, molto semplici, di cui bisogna comprendere lo spirito. Bisogna tuttavia notare che più che entrambi i genitori, i sapienti onorano la madre. Innanzitutto l’onore reso ai genitori non è altro che la riconoscenza per il bene ricevuto da loro e in primo luogo per la vita che ci hanno donato e la cura con cui ci hanno fatto crescere. Il concetto di riconoscenza è al centro della tradizione biblica e dell’etica ebraica.
Tutti conoscono la storia di Giuseppe venduto dai fratelli e condotto in Egitto (Gn 37 e 39-40). Giuseppe, che è “formoso e di bell’aspetto”, come dice il testo (Gn 39,6), giunge nella casa di Putifar, un eunuco che comanda le guardie del faraone. La moglie di Putifar sta facendo baldoria con un’amica ed è talmente colpita dalla bellezza di Giuseppe da mordersi la lingua. Secondo la tradizione, la moglie di Putifar, per tutta la vità sarà affetta da blesità a causa dell’abbagliamento provato alla vista di Giuseppe che successivamente ha provato a sedurre con tutta la passione e l’ardore. Ogni giorno gli diceva: “Shikvah imi”, letteralmente: “Giaci con me”. Segnalo che Thomas Mann ha proposto in Giuseppe e i suoi fratelli una versione umoristica dei fatti, rivista e corretta da Milan Kundera in Il testamento tradito.
Perciò vi lascio con una riflessione: trovate umano il modello strategico di gestione della pandemia da parte di alcuni paesi europei, la cui quota di popolazione che viene pre-condannata a morte è in larga misura composta da persone anziane e/o malate?
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità Charles de Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.