Da Michelangelo al sogno di don Esposito per i cristiani, LGBT e non
Riflessioni di Massimo Battaglio
Michelangelo era con tutta probabilità omosessuale. Ed era un fervente cattolico, un militante cristiano, diremmo oggi. Da genio qual era, se avesse voluto, avrebbe potuto anticipare di cinque secoli il dibattito fede-omosessualità. Ma non lo fece.
Servì l’arte – e la Chiesa – attraverso la pratica della scultura, dell’architettura e della pittura. Visse calato nel suo mondo, suggerendo di tanto in tanto un “di più”, per esempio nei fasci muscolari delle sibille della Cappella Sistina, ma non andò oltre.
Come Michelangelo, sono stati omosessuali Antonio Bazzi il Sodoma, Leonardo da Vinci, Giulio Romano, Robert Mapplethorp, Andy Warhol e una lunga schiera di altri artisti e intellettuali. Alcuni erano uomini di fede, altri no. Nessuno parlò mai di omosessualità esplicitamente, o meglio, non ne fece il proprio chiodo fisso. Qualcuno perché i tempi non erano favorevoli, qualcun altro perché la propria creatività portava in altre direzioni.
Oscar Whilde ne parlò molto. Non si può proprio dire che non fosse un attivista. Ma tra la sua attività “politica” e quella letteraria non c’è un rapporto banale. Si influenzano scambievolmente, in due direzioni. E in particolare, la sua letteratura è rivolta a tutti.
Così come rivolta a tutti è l’opera di Keith Haring, stupefacente e socialmente impegnatissima ma non monocorde. Raramente i grandi artisti omosessuali hanno comunicato il loro orientamento sessuale come un’ossessione. Forse, se sono passati alla storia, è proprio perché hanno avuto la forza di calarsi nel mondo di tutti.
Credo che sia importante, per noi cristiani omosessuali di oggi, tenere a mente queste storie. E’ importante, come per Michelangelo, imparare a dare il nostro contributo alla Chiesa e alla società di tutti, evitando di costruire una piccola chiesetta parallela fondata sul principio di “stare bene tra di noi”. E’ essenziale, come per Keith Haring o per Pasolini, coltivare un pensiero a tutto tondo e professarlo nel mondo di tutti e nella Chiesa universale, portando dentro di sè le proprie specificità, come auspicava David Esposito. Esagero: è indispensabile che, dai gruppi di cristiani lgbt di oggi, possano uscire persone della levatura di Paolo VI, anzi, con qualcosa di più: la consapevolezza e la fierezza di sè.
Anche perché, se stiamo tra di noi a consolarsi, la Chiesa, che vorremmo aggiornare, non si aggiornerà mai perché non potrà conoscerci. E se ci conoscesse, ci guarderebbe con sospetto.
Mi piacerebbe che approfittassimo di queste settimane di isolamento, in cui è impossibile incontrarsi se non in rete, per sperimentare queste cose. Sono belli gli incontri on-line che noi cristiani LGBT stiamo organizzando. Di più: sono una rarità, nel senso che le iniziative di preghiera, formazione, discussione online su temi religiosi sono ancora pochissime.
Noi abbiamo precorso i tempi. E tanti, anche fuori dai nostri “giri”, si stanno aggregando. “La salvezza viene dalla Galilea“, mi ricorda in questo momento Gianni Geraci via messanger. E’ proprio vero.
Ma non vorrei che i nostri momenti fossero i soli a cui partecipiamo. Ho la certezza che non è così. So che tutti noi si stanno informando molto sui fatti del mondo e che stiamo intervenendo a dibattiti di ogni genere, anche portando il nostro particolare vissuto. Facciamolo anche con la Chiesa!
Prendiamo parte alle iniziative delle nostre parrocchie, delle nostre diocesi. E se non ce ne sono, pretendiamole. Perché mai come in questo momento, si sta verificando la possibilità di ricostruire qualche forma di unità tra i cristiani, demolendo gli steccati, azzerando i pregiudizi, annullando sovrasrutture escludenti.
Mai come ora c’è stato posto, come ai tempi di Michelangelo, per un’espressività anticonformista eppure destinata a cambiare la storia.