Omosessualità e morale cristiana oggi: “Chi sono io per giudicare?”
Articolo di Nathalie Sarthou-Lajus e François Euvé pubblicato sul mensile dei gesuiti francesi ETUDES (Francia) dell’Ottobre 2014, liberamente tradotto da Gianluca Caselunghe
“Se una persona è gay e cerca il Signore con buona volontà, chi sono io per giudicare?”. Queste parole del Papa, pronunciate al ritorno dalla GMG di Rio de Janeiro per rispondere ad una giornalista che lo incalzava sull’esistenza di una lobby gay in Vaticano, hanno lasciato il segno. Papa Francesco comprende ciò che conta ovvero l’essere fratelli delle persone omosessuali. Un’ aria evangelica nuova circola nella chiesa, echeggiando le parole di Gesù nel “Discorso della Montagna”: “Non giudicate per non essere giudicati” (Mt. 7,1)
Si tratta anche di un avvertimento rivolto agli scribi e ai farisei delle nostre chiese: diffidiamo non della morale ma di un certo moralismo che s’affretta a giudicare e a condannare una persona a seconda del suo orientamento sessuale. Di fatto, nel dibattito francese sul “mariage pour tous” [il Matrimonio per le persone omosessuali] un vocabolario omofobo è riemerso anche in seno alle comunità cristiane.
Stiamo vivendo un periodo di cambiamenti profondi nella nostra visione dell’umano. L’evoluzione dei costumi così come lo sviluppo delle scienze umane, delle tecniche e delle conoscenze sull’evoluzione della vita, comporta un vacillare delle rappresentazioni familiariconsuete.
Quelle che sembravano fondamenta immutabili si ritrovano scosse. L’emergere di una qualsiasi novità “moderna” non è necessariamente positiva e necessita un discernimento su ciò che è veramente portatore di vita e fecondità.
L’omosessualità è difficile da trattare perché tocca nel profondo l’esperienza umana e ha effetti socio-politici. Noi ci siamo lasciati provocare dal quesito del Papa nel riaprire la riflessione sull’omosessualità, aldilà dei pregiudizi.
Due articoli di questo numero (del mensile ETUDES) contribuiranno sul tema, uno centrato su un approccio pastorale ( “quale posto per le persone omosessuali nelle nostre comunità cristiane?” di Claude Besson) mentre l’altro sul tema della teologia morale ( “Omosessualità e morale cristiana oggi” di Laurent Lemoine), un cantiere rimasto ancora aperto nonostante la pubblicazione dei lavori pionieristici di Xavier Thévenot.
Come si può essere omosessuali e cristiani? Esiste un modo cristiano di vivere la propria omosessualità e quella del prossimo? Ciò che le persone e le coppie omosessuali vivono e sperimentano merita di essere compreso. A dir la verità, queste questioni escono dal recinto strictu senso dell’omosessualità. Ma mettono in discussione i modi in cui il cristianesimo si mette in dialogo con i suoi tempi, tenendo conto dell’evoluzione dei costumi e del contributo delle scienze umane riguardo la costruzione dell’identità sessuale.
Bisogna innanzitutto riconoscere un certo divario tra la discrezione del Vangelo che esisteva già all’epoca , non soltanto sull’omosessualità, ma anche sulla sessualità e le relazioni amorose in generale e le prescrizioni puntuali, spesso severe, del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Questo divario lascia la possibilità di differenti interpretazioni. L’intervento di Papa Francesco distingue il comportamento del singolo da talune rivendicazioni sociali. Non mette in contrapposizione il fatto di accettare la propria omosessualità e di ricercare il Signore.
Ha anzi il merito di volgere l’approccio della morale della vita sessuale ed affettiva verso un’attenzione alle persone, d’una fiducia nella loro fede in Cristo e lascia sperare in un rilassamento della “dottrina ecclesiale”.
L’obiettivo non è formulare un giudizio sulle persone, né su ciò che vivono, ma è nell’annuncio di una Buona Novella, quella dell’amore misericordioso di Cristo a cui ciascuno può prendere parte. Ciò che ci unisce in quanto cristiani è il riconoscimento della partecipazione di ciascuno alla stessa filiazione divina.
Ogni persona è uguale in dignità, a prescindere dal sesso e dal suo orientamento sessuale. Pertanto, come ci si può limitare a identificare i pochi passaggi biblici, che sono pochi e non chiari come si vorrebbe dire, che “condannano” l’omosessualità, senza metterli sotto la luce di questa Buona Novella?
Come ci si può accontentare di una pastorale dell’accoglimento che scinde in maniera quasi insostenibile la persona omosessuale, distinguendo tra il rispetto della sua identità e il rifiuto di un comportamento sessuale considerato “disordinato” poiché contrario alla legge della differenza dei sessi?
Come se il desiderio sessuale, la cui origine è complessa ed enigmatica, non facesse parte dell’identità di una persona? Come se si possa ordinare ad un individuo di non praticare la propria sessualità se questa risponde ai requisiti morali del consenso e non danneggia gli altri?
Il passaggio biblico “maschio e femmina li creò” (Gen. 1,27) valorizza la differenza dei sessi. È nella relazione con l’altro sesso che noi possiamo fare l’esperienza dell’alterità e della fecondità della vita donata. Ma l’esegesi biblica così come le scienze umane ci hanno insegnato che l’attenzione a queste differenze si inscrive essa stessa in una storia culturale e non può ridursi solamente ad un’attenzione alle differenze anatomiche.
Il riconoscimento dell’alterità è il frutto di un apprendimento lungo e difficile che vale per tutte le coppie e tutte le relazioni viventi. Essere dello stesso sesso non impedisce di riconoscere l’alterità e di sperimentare la propria differenza.
Essere dello stesso sesso non rende questo riconoscimento più semplice, come possono dimostrare le testimonianze delle numerose forme di violenza coniugale. Se il modello sociale dominante della fecondità di una vita e di una relazione di coppia è comprovata dalla nascita di un bambino, ciò non è tuttavia la sola fecondità capace di nutrire una persona e di permettergli di realizzarsi.
Alcune relazioni “aprono ad un altro tipo di fecondità , una fecondità sociale”, che “non è meno importante agli occhi della Chiesa”.
Testo originale: “Qui suis-je pour juger?”
https://www.revue-etudes.com/article/qui-suis-je-pour-juger-16391