«Che io riabbia la vista!» (Marco 10:46-52). La misericordia attraverso gli occhi delle persone LGBT
Riflessioni bibliche* pubblicate sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 22 marzo 2020, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Nel tempo quaresimale siamo invitati a prestare maggiore attenzione ai doni dell’amore, della misericordia e del perdono, doni che Dio offre a tutti noi, tutto l’anno. Le persone LGBTQ cattoliche e i loro alleati sperimentano l’amore e la misericordia in modi unici e attraverso esperienze molto forti. Abbiamo chiesto ai nostri lettori di scrivere delle brevi riflessioni su alcuni temi quaresimali, per ognuna delle sei domeniche di questo tempo.
In questo articolo vi proponiamo le riflessioni scritte per la quarta settimana.
E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada. (Marco 10:46-52)
Riflessioni bibliche* di suor Betsy Linehan RSM (Philadelphia, Pennsylvania, USA)
“Cosa vuoi che faccia per te?” “Perché me lo chiedi, Gesù? Non è forse ovvio? Voglio vedere.”
Alcuni anni fa il mio amico Bill vide questa domanda come cruciale in un punto di svolta della sua vita: la decisione di abbandonare il suo ordine religioso per sposarsi. Ascoltò la domanda come se fosse la prima volta, e rispose in maniera profonda e libera, come se stesso, e non come avrebbe dovuto secondo il giudizio degli altri, e nemmeno secondo il suo concetto di quello che Gesù avrebbe voluto da lui. Gesù non ha sottoposto a un test né il mendicante cieco, né il mio amico.
In quel momento privilegiato Bill, prezioso e unico figlio di Dio, disse quello che voleva veramente e seguì il suo nuovo cammino, con il suo compagno, fino a che la morte non li ha separati.
Notate però cosa viene riferito prima del dialogo di Gesù con Bartimeo: la gente rimprovera il cieco e cerca di zittirlo, ma lui, forse per la prima volta, rifiuta di stare in silenzio. Gesù lo sente, e chiama proprio lui. Bartimeo salta in piedi e si sbarazza del suo mantello.
Le persone LGBTQ+ e i loro alleati conoscono bene tutte le parti di questo racconto, non solo la fine. Siamo stati zittiti, rimproverati, giudicati indegni. Ci siamo avvolti nei nostri mantelli per proteggerci. Possa venire il giorno, e possa venire ogni giorno, in cui sentiamo Gesù che si rivolge a noi, in cui gettiamo il nostro mantello e balziamo in piedi per rispondere con fede e gioia a Colui che ci ama incondizionatamente.
Riflessione di Cristina Traina, Skokie, Illinois
Fino al momento in cui Gesù gli ha ridato la vista, Bartimeo era prigioniero. So da amici che la cecità fisica ha in sé dei vantaggi: chi è impossibilitato a vedere coltiva altri “occhi” che lo aiutano a navigare nel mondo: l’udito, il tatto, l’olfatto, la capacità di usare il bastone e il cane. Bartimeo aveva davvero bisogno della vista per alzarsi in piedi e seguire il cammino che Gesù stava tracciando, o aveva solo bisogno di comprendere se stesso in maniera diversa?
C’è un’intuizione nascosta nel Vangelo di oggi: essere guariti da Gesù significa vedere rimosso tutto ciò che ci impedisce di muoverci, che ci tiene incollati lì dove siamo mentre lui e i suoi seguaci ci passano accanto. Per tutte quelle persone LGBTQ che hanno pregato per “non essere così”, il momento in cui hanno visto la marcia, a cui anche loro sono libere di unirsi, ha significato capire che Dio ci ama così come siamo, non a dispetto di come siamo. Per altri, invece, è stata l’occasione di comprendere che l’ambivalenza, o anche l’ostilità diretta della Chiesa, non cancellano il fervente amore che Dio ha per noi.
Alla chiesa battista di Evanston, nell’Illinois, il pastore Michael Nabors ha di recente ricordato alla sua congregazione che, quando Dio ha detto ad Abramo di alzarsi e andare, Abramo, una persona del tutto normale, ha ascoltato, si è alzato ed è andato, ed è diventato Abraamo.
Gesù chiama anche noi, persone del tutto normali, perché lo seguiamo e diventiamo santi, proprio in virtù della nostra normalità, della nostra cecità, del nostro essere LGBTQ. Forse la guarigione di cui abbiamo bisogno per unirci ai suoi seguaci non consiste in altro che nel comprendere che Dio già ci ama e ci invita a seguirlo con gli strumenti che abbiamo, e invitando altri a nostra volta.
Riflessione di Michaelangelo Allocca, Brooklyn, New York
“Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?»”. Questa parte del racconto della guarigione di Bartimeo mi incanta, per molti motivi. Se letto superficialmente, sembra un dialogo assurdo: una parte di me vorrebbe dire a Gesù “Un cieco ti chiede di avere pietà di lui: cosa pensi che voglia da te, un nuovo look?”. Ma è proprio questo il punto, come hanno capito bene papa Francesco e altri: Gesù fa la cortesia di trattare quell’uomo come una persona, non come un problema; non presume di sapere già cosa voglia Bartimeo, piuttosto lo ascolta e gli offre l’opportunità di parlare e di essere ascoltato.
Ma la domanda “Cosa voglio che Gesù faccia per me?” non è così scontata come sembra. Le persone LGBT+ si identificano spesso con questo brano delle Scritture, in quanto, proprio come i non vedenti e altre persone “disabili”, anche noi veniamo etichettati, emarginati, considerati “altri”, difettosi, intrinsecamente disordinati. Penso, per esempio, agli adolescenti omosessuali le cui scuole dicono di sostenerli e accettarli in quanto figli di Dio alla stregua degli altri, però poi forniscono loro un libro di testo di “etica cattolica” che equipara l’omosessualità alla pedofilia. Ecco quindi la tentazione di rispondere a Gesù “per favore, rendimi eterosessuale, il mio essere queer è un fardello troppo pesante”.
La sfida è avere fede che, a dispetto dei momenti difficili e delle cocenti delusioni, le nostre identità non sono disordinate, bensì parte integrante di ciò che siamo, “fatti in modo stupendo, un prodigio” (Salmo 139: 14), a maggior gloria di Dio.
* Il passo biblico è tratto dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI.
Testo originale: Having Our Eyes Opened to Encounter Jesus