Uomini di Dio. La crisi dell’ideale sacerdotale nella chiesa cattolica
Articolo di Josselin Tricou pubblicato sul sito della Encyclopédie d’histoire numérique de l’Europe (Francia), liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
L’ideale sacerdotale (dal latino sacer: sacro, separato), fondato sulla separazione tra chierici e laici, ha modellato e legittimato la mascolinità atipica del clero cattolico di rito latino. Un ideale che la Chiesa Cattolica Romana ha saputo imporre come modello clericale egemonico nell’Europa del XIX e del XX secolo.
Dopo la “crisi” che ha fatto seguito al Concilio Vaticano II (1962-1965), tale ideale è stato parzialmente rimesso in discussione, mentre diminuisce drasticamente il numero di sacerdoti nei Paesi tradizionalmente cattolici. Ecco quindi che la mascolinità del prete appare più che mai sospetta, per non dire di peggio, agli occhi dei popoli europei.
L’imposizione, nei riguardi dei preti, dell’ideale sacerdotale (processo di sacerdotalizzazione), ha inizio con la riforma gregoriana (XI-XII secolo), che riesce a imporre al clero secolare il celibato e la proibizione a portare armi (alla stregua dei monaci), con l’obiettivo di operare una separazione radicale tra clero e laici.
Tale separazione si rafforza nel XVI secolo di fronte alla minaccia della figura del pastore protestante: il Concilio di Trento fa del prete prima di tutto l’uomo dell’Eucarestia. La separazione infine si diffonde “democraticamente”, dal basso, nel XIX secolo, quando il reclutamento attinge in massima parte dal popolo e le classi superiori che, invece, disertano il sacerdozio, a parte quello negli ordini più prestigiosi: i gesuiti e domenicani.
È l’epoca dei “contadini mitrati”, che nel 1850 rappresentano un quinto dei vescovi francesi. Viene esaltato il “semplice sacerdote”, come Jean-Marie Vianney (1786-1859), curato del villaggio di Ars (presso Lione), beatificato nel 1905 e dichiarato “patrono dei sacerdoti di Francia”, e nel 1929 “patrono celeste di tutti i curati del mondo cattolico”.
La diffusione dell’ideale sacerdotale
Per inculcare questo ideale, in tutta Europa si sviluppa una vasta rete di seminari ecclesiastici, diffusi capillarmente, che accolgono nei convitti i bambini candidati al sacerdozio offrendo loro una formazione di lunga durata, totalmente integrata e separata dalla società. Le famiglie degli alunni si attendono che questi vengano riconosciuti in società, e che la Chiesa riconosca lo sforzo delle famiglie stesse.
Qui l’ideale sacerdotale si cristallizza in un vero e proprio progetto di genere, costruito attorno alla differenza, se non all’opposizione, con i modelli di mascolinità promossi dalle società borghesi liberali del XIX secolo. Esplicitamente esclusi dal mercato sessuale come da quello matrimoniale, i candidati al sacerdozio sono esclusi anche dagli ambiti militare, politico ed economico, che sono per eccellenza gli spazi di costruzione e di legittimazione della mascolinità.
In virtù dell’ideale sacerdotale imparano fin da subito a mettere in pratica dei valori che, all’epoca, erano considerati femminili, come la cura degli altri o l’umiltà, senza scordare d’indossare la sottana, la divisa che la Chiesa impone ai suoi rappresentanti nel momento in cui la sottana diviene marchio esclusivo di femminilità, in opposizione ai pantaloni.
L’ideale sacerdotale non si diffonde senza resistenze. Gli anticlericali, soprattutto in Francia e in Italia, denunciano [i preti] come minaccia per lo Stato e gli altri uomini, come testimoniano il bestseller di Jules Michelet, Du prêtre, de la femme et de la famille (Il prete, la donna e la famiglia), pubblicato nel 1843, e i romanzi del pastore inglese Charles Kingsley (1819-1875).
I sacerdoti europei reagiscono in modi diversi, lacerati dalla tensione tra la vocazione a stare al di sopra del mondo e il desiderio di essere uomini del loro secolo.
Il XIX secolo conta infatti numerosi sacerdoti molto attivi nella società, eruditi, come l’abate Cochet (1812-1875), archeologo autodidatta nominato nel 1849 ispettore dei monumenti storici, o ancora uomini di Stato, come Vincenzo Gioberti (1801-1852), Primo Ministro del Regno di Sardegna tra il 1848 e il 1849. È soprattutto il grande movimento della “giustificazione per opere” ad ispirare tutta l’Europa urbana. Nato all’inizio del XIX secolo in Germania, dove la formazione dei preti in gran parte sfugge ai seminari, tale movimento promuove l’utilità sociale dei sacerdoti. Ne è un esempio padre Adolf Kolping (1813-1865), calzolaio di professione prima di abbracciare il sacerdozio, il quale crea delle associazioni di compagni [di mestiere] (Gesellenvereine).
L’ideale sacerdotale di fronte all’esperienza degli uomini di Chiesa
Se da un lato il Codice di Diritto Canonico del 1917 conferma l’ideale sacerdotale come si era cristallizzato nel corso del XIX secolo nei seminari, l’esperienza degli uomini di Chiesa, nel XX secolo, è soprattutto l’esperienza dell’inadeguatezza della loro missione evangelizzatrice. Nelle trincee della Grande Guerra sacerdoti e seminaristi (già scioccati, per quanto riguarda i francesi, dalla [recente] separazione tra Stato e Chiesa) scoprono un mondo maschile che sfugge loro completamente, la cui conquista richiede un impegno più diretto, prima di tutto sociale, poi politico.
Perciò, a fianco dell’affermazione del laicismo militante, emerge la figura del prete-missionario (o cappellano), opposto alla declinante routine della civiltà parrocchiale. La traiettoria del belga Joseph Cardijn (1882-1967) è un esempio tipico. Da semplice vicario parrocchiale fonda la Gioventù Operaia Cristiana (Jeunesse ouvrière chrétienne, JOC), diffusasi presto nel mondo intero.
Il confronto con i totalitarismi, con la Seconda Guerra Mondiale e la decolonizzazione crea in seguito le condizioni per un riposizionamento del clero, non senza tensioni, come testimonia la parabola del gesuita francese Pierre Chaillet (1900-1972), che partecipa alla Resistenza e fonda i Cahiers du témoignage chrétien (Quaderni della testimonianza cristiana), in cui prende posizione contro la tortura praticata dall’esercito francese in Indocina e in Algeria: ben presto gli viene ordinato di non continuare.
L’esperienza dei preti operai in Francia e Belgio è il tentativo più audace in questo senso, e conosce un’eco straordinaria. I suoi simboli sono il rifiuto della sottana a favore della tuta blu dell’operaio, e della casa parrocchiale per le case popolari; è un’esperienza che parla del viaggio verso gli spazi sociali e politici [della società], ma anche verso la mascolinità.
La battuta d’arresto di quest’esperienza da parte di papa Pio XII (1939-1958) nel 1954 rimanda brutalmente i preti operai al loro senso di inutilità sociale. L’esclusione dal mondo del lavoro e della militanza politica (due ambiti chiave nell’espressione della mascolinità durante i primi trent’anni del dopoguerra) scatena molte crisi personali e un numero significativo di abbandoni.
I cambiamenti culturali degli anni ‘60 e ‘70 rafforzano la crisi, con lo sgretolamento dell’autorità religiosa, ma soprattutto con la delegittimazione profonda della parola sacerdotale sulle questioni sessuali, in particolare tra le donne, e in particolare dopo la pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae (1968).
Mentre la sessualità diventa l’àmbito principe della realizzazione di sé, i sacerdoti ne rimangono esclusi, e in più scompare un luogo di potere fondamentale, da più di un secolo, per il sacerdote: il controllo del corpo delle donne.
In tale contesto, la rivendicazione, da parte di numerosi preti e religiosi negli anni ‘70, dell’abolizione dell’obbligo del celibato (quando non dell’ordinazione delle donne) appare come l’ultimo tentativo di desacerdotalizzazione del clero cattolico. L’istituzione però resiste, anzi, a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005) assistiamo a una nuova esaltazione del celibato sacerdotale, mentre la Chiesa Cattolica assume la posizione di alfiere della naturalità e della complementarietà dei sessi, e della vocazione umana universale all’eterosessualità, in un periodo in cui gli Stati europei abbandonano progressivamente le loro politiche di repressione dell’omosessualità.
Nel contesto di sempre crescente tolleranza verso le minoranze sessuali, il “nascondiglio” ecclesiastico entra in crisi: la percentuale di omosessuali nel clero, già strutturalmente più elevata che nel resto della società, aumenta negli anni ‘70 a causa dei molti eterosessuali che abbandonano il sacerdozio, e l’omofobia ostentata dall’istituzione camuffa meno bene che in passato la sua omofilia interna.
Infine, a partire dagli anni 2000, a seguito della rivelazione delle violenze sessuali e sessiste commesse dal clero, l’ideale sacerdotale e la sua peculiare mascolinità perdono ulteriormente credibilità, mentre l’istituzione fatica a rifondare il clero al di fuori di questo ideale, che essa stessa si è imposta e che è divenuto il suo marchio di fabbrica.
Testo originale: Hommes d’Église, masculinités et idéal sacerdotal