Il matrimonio omosessuale libera la chiesa cattolica
Riflessioni di Thierry Jaillet tratte da Le Monde (Francia), 5 giugno 2012, liberamente tradotte da Nieta Gennuso
Tra qualche settimana o qualche mese, il governo attuerà uno degli impegni del candidato Hollande: l’apertura del “diritto al matrimonio e all’adozione per le coppie omosessuali”.
Questa è giustizia. Ma, mi dispiace in quanto cattolico praticante e impegnato, la Chiesa, o almeno la sua parte istituzionale, si pronuncerà contro questa misura di equità e saggezza. In effetti, dal 1968 e dall’enciclica Humanae Vitae che condanna l’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) e la contraccezione, siamo abituati al fatto che l’alto clero si interessi più della nostra intimità che della nostra spiritualità.
Poiché la maggior parte dei francesi è a favore del matrimonio omosessuale, il punto di attacco dei oppositori moralizzatori e più o meno degli omofobi sarà omoparentalità. Vi rendete conto se sia ragionevole che questi poveri bambini crescano senza un riferimento materno o paterno? Svegliatevi fratelli e sorelle, 2,8 milioni di bambini vivono in una famiglia monoparentale, e il loro unico genitore, generalmente una donna, è nella maggior parte dei casi eterosessuale.
D’altra parte, 40 mila bambini vivono già con due genitori omosessuali, e non è stato rilevato in essi il benché minimo trauma psicologico. Tutti gli educatori seri lo sanno: le difficoltà dei bambini non derivano dall’orientamento sessuale dei loro genitori, bensì dai loro mezzi economici, dal loro livello culturale e dalla loro integrazione nella società. Ma non è con semplici argomentazioni che li si può convincere su questo punto. Si crede erroneamente che l’omoparentalità arrechi disturbi, sia ereditaria, contagiosa e deleteria per la specie umana.
Come venire fuori da questa paura irrazionale che fa sì che anche cittadini abbastanza aperti dicano che bisogna procedere per paletti, disporre dei passaggi, distinguere matrimonio (eterosessuale) e unione civile (omosessuale), dal timore di incoraggiare l’omofobia, quando non c’è niente di peggio di fare delle distinzioni per rafforzare le discriminazioni e l’emarginazione? Quando c’è la Chiesa e ci si professa cattolici bisogna dialogare con tutti, farsi testimoni del messaggio di Cristo e delle scritture e non accontentarsi di ripetere le eventuali asinerie dei successori di Pietro, che, secondo il Vangelo e gli atti degli apostoli, tirò fuori qualche enorme stupidaggine che i suoi fratelli non seguirono.
Allora, piuttosto che sostenerla, facciamo indietreggiare la paura dell’omoparentalità. Dalla nascita di Cristo sappiamo che la sola filiazione che conta non è né sessuale né riproduttrice, ma adottiva. Giuseppe e Maria diventano i genitori di Cristo perché lo accettano come figlio, senza che sia frutto della loro relazione sessuale. Anche se Giuseppe fosse stato una donna, Cristo si sarebbe incarnato lo stesso.
Noi genitori stessi, dichiariamo i nostri figli all’anagrafe, li adottiamo agli occhi della legge e della società, e ci impegniamo a educarli. Ma con il Vangelo andiamo oltre che giocare a papà e mamma. Allarghiamo la famiglia all’umanità intera. Riconosciamo Gesù Cristo figlio del Dio Vivente (Matteo 16, 16) e ci diciamo figli di Dio e fratelli in Gesù Cristo, sia che proveniamo dai testicoli di un padre omosessuale, di un utero in affitto, di una provetta o dell’assistenza.
L’importante per noi non è sacralizzare la famiglia tradizionale, poiché la “Santa Famiglia” è tutto salvo ciò, ma lasciare il Cristo, dall’età di 12 anni e i nostri figli con lui, “occuparsi delle cose del suo Padre” (Luca 2, 49).
In termini laici questo vuol dire che ciò che conta è che la società intera si occupi dei bambini, li educhi e li consideri per loro stessi, non solamente figli e figlie dei loro genitori, eterosessuali o no. Sempre in termini laici, ciò vuol dire anche che i giovani devono prendere parte al più presto alla vita della città, in quanto futuri cittadini. In questa prospettiva, l’omoparentalità non è più un problema, la vera sfida, consiste nell’assicurare insieme una parentalità collettiva, consensuale, integrativa e democratica, una socioparentalità.
Nel corso dei secoli, la Chiesa ha costruito la sua visione del sacramento del matrimonio, di certo per imporre il suo potere sulla società, ma anche per assicurare il chiaro consenso degli sposi, impedire i matrimoni forzati per ragioni patrimoniali, limitare la tratta delle donne, abolire il ripudio e assicurare ai bambini un quadro educativo minimo.
Le società moderne e democratiche si fanno carico oggi di queste protezioni e salvaguardie. L’apertura al diritto al matrimonio e all’adozione per le coppie omosessuali è l’ultima tappa di questa lenta evoluzione. La Chiesa che prende in carico, ai tempi barbari del IX secolo, stato civile e regolamento matrimoniale, vede oggi la fine del suo ruolo amministrativo e civile.
Il matrimonio omosessuale, lungi dal rimettere in discussione matrimonio e filiazione, libera definitivamente la Chiesa dalle sue preoccupazioni di gestione quotidiana della società e le dà tutto il tempo libero per concentrarsi sulla diffusione del suo messaggio spirituale.
Ma per questo i credenti non devono rimanere i piccoli figli minori del Nostro Padre che è nei cieli e del nostro Santissimo Padre il Papa che è a Roma ( ecco, due padri in questa famiglia?). No, i battezzati devono essere adulti maggiori che, dalla loro più giovane età, come Gesù, prendono la parola nel Tempio e nella città.
* Thierry Jaillet è un saggista cattolico francese autore di L’Evangile de Michel Onfray (Il Vangelo di Michel Onfray), editore Golias Publishing.
Testo originale: Le mariage homosexuel libère l’Eglise