Parlare di fede in terapia. Quando l’identità religiosa è in conflitto con l’identità sessuale
Riflessioni di Paolo Rigliano, Jimmy Ciliberto e Federico Ferrari*, 9 luglio 2012
Quando l’identità religiosa si trova in conflitto con l’identità sessuale credo sia importante disporsi a intraprendere un vero cammino di chiarificazione, di impegno e di confronto con uno psicoterapeuta, ben preparato davvero sui temi dell’identità sessuale, dell’orientamento e della bisessualità.
E’ necessario che la persona rifletta sulle proprie motivazioni, sui fini della sua scelta psicoterapeutica, sulle conseguenze del suo impegno, entrando in una scelta di arricchimento della propria autoconsapevolezza, per un’affermazione autentica di se stesso.
– Lo psicoterapeuta deve essere realmente e a priori affermativo: su questo non possono esserci dubbi: essere affermativi oggi significa considerare l’omosessuale-bisessualità come una struttura di desiderio relazionale genuinamente positiva e affettivamente generativa, tanto quanto quella eterosessuale, sentendosi disposti a sostenere il paziente nel suo sforzo di chiarificazione e di affermazione a fronte di un contesto etero sessista.
Per fare questo occorre riconoscere, ascoltare e attribuire un valore primario al desiderio relazionale, ovvero a quella spinta che porta l’individuo a cercare nel’incontro intimo con l’altro una compiutezza del sé psichico e fisico.
Tale terapeuta affermativo riconosce che l’istanza relazionale costituisce un bisogno per l’individuo, la cui affermazione e il cui soddisfacimento sono un prerequisito del benessere più generale.
– Un punto fondamentale è riflettere insieme al paziente come le due condizioni, l’affettività omosessuale e la fede religiosa, non siano affatto sullo stesso piano: le strutture psichiche di cui parliamo, l’identità sessuale e quella religiosa, sono tra loro radicalmente differenti.
Prima di tutto a livello di genesi: l’identità sessuale si compone di vissuti (come identità di genere e orientamento sessuale) “spontanei”, precoci e stabili, di strutture legate al vissuto corporeo in rapporto al suo significato di desiderio dell’altro come completamento del sé più intimo.
L’identità religiosa, invece, è legata a una condivisione cognitiva di credenze – apprese all’interno delle relazioni significative – concetti e sistemi di significato.
L’aderenza a un sistema piuttosto che un altro riguarda l’identità sociale dell’individuo, il suo senso di appartenenza a un gruppo, nonché il riconoscimento di una propria storia, origine e finalità.
Questo determina la differenza insormontabile tra il piano dell’essere, in cui si pone l’orientamento sessuale – ciò che si è e si prova strutturalmente, in essenza – e quello della fede – ciò che si vorrebbe essere, fare, divenire in base a una credenza assunta.
Questo determina, inoltre, la differenza assoluta tra identità religiosa e identità sessuale riguardo alla possibilità di scegliere (di essere) diversamente, cioè di cambiare: mentre è possibile evolvere e finanche cambiare nella propria fede e nelle sue declinazioni, il cambiamento di orientamento sessuale non è mai stato provate.
– Ne deriva che, laddove l’identità religiosa si trovi in conflitto con l’identità sessuale, l’unico modo che il soggetto ha per risolvere tale conflitto è quello di modificare il proprio sistema di credenze in direzione di una maggiore accettazione della propria sessualità, oppure di ridefinirsi come qualcuno che lotta costantemente per modificare la propria identità sessuale, per adeguarla alle richieste della propria fede: facendo del conflitto sulla possibilità stessa di soppressione del sé la propria identità.
– Quando si confrontano con pazienti omosessuali credenti, gli psicoterapeuti naturalmente possono tener presenti gli aspetti imprescindibili della terapia affermativa suddetti, che sono la base sicura che può guidare ipotesi e strategie terapeutiche.
Devono però tenere presente anche il livello del conflitto riguardo alle “prescrizioni di fede” con cui si trovano a confrontarsi, e prestare un ascolto disponibile ed empatico di tutti i vissuti in gioco, così come dell’aspetto religioso della narrazione identitaria del cliente.
Solo grazie a quest’ascolto, gli psicoterapeuti potranno comprendere, accogliere e restituire le dimensioni affettive, simboliche e relazionali che si sono giocate nel processo d’identificazione del cliente con una determinata confessione, la gerarchia degli schemi definitori del sé in funzione di tale fede, così come il valore emotivo e motivazionale nella definizione di sé – passata, presente e futura – in quanto credente.
– Proprio analizzando tali diversi livelli a cui la fede del singolo paziente può essere vissuta, lo psicoterapeuta cercherà di esplorare come un sistema di credenze rigido, e incompatibile con la piena autorealizzazione in quanto persona omosessuale, possa riorganizzarsi secondo una diversa gerarchia interna, per trasformarsi in uno strumento altrettanto forte dal punto di vista identitario, ma anche flessibile e capace di far crescere la sua identità in piena armonia.
Lo scopo è quello di aiutare il paziente a collocarsi in un orizzonte di senso e di autoconsapevolezza meno vincolato alle categorie e alle metafore violentemente lesive, proprie dell’immaginario delle fedi oppressive.
– Gli psicoterapeuti possono e devono aiutare il paziente a confrontarsi con il fatto che l’unanimismo oppressivo e veterotestamentario non c’è più: molte realtà cristiane di base, molti sacerdoti, frati e suore rifiutano la dottrina ufficiale, impegnandosi in un mirabile dialogo e un’accoglienza delle persone omosessuali.
Bisogna evitare di identificare la fede –e l’intero popolo dei credenti – con l’ortodossia oppressiva delle gerarchie vaticane.
Lo psicoterapeuta può donare al paziente l’enorme giovamento che deriva da una comprensione del messaggio cristiano ben diversa dalla dottrina ufficiale, in cui è possibile per il paziente una piena accettazione di sé come omosessuale, gay, lesbica o bisessuale, in sintonia con l’insegnamento cristiano di amore e comunione, di realizzazione nel consorzio umano, affettivo dei contesti naturali di appartenenza.
La conoscenza di queste altre letture, oltre a costituire una ricchezza, è un “mazzo di carte” in più, un set di ipotesi alternative che permettono allo psicoterapeuta di porre domande, di indicare fonti, in definitiva di mettere in discussione una premessa rigida, per mostrare che esistono più scelte possibili.
– Gli psicoterapeuti, inoltre, individuano tutto ciò che costituisce fonte di sofferenza: conoscere letture alternative del messaggio cristiano significa rendersi conto di come una parte di tale sofferenza (quella legata all’idea di un rifiuto da parte di Dio, non quella legata al rifiuto della propria comunità) sia assolutamente non necessaria dal momento che ci sono prospettive teologiche diverse in cui inquadrare la propria fede.
Prospettive profondamente cristiane del tutto compatibili con la salute mentale di gay e lesbiche, perché permettono loro di integrare la propria identità religiosa con la propria identità sessuale.
– Queste prospettive tuttavia sono possibile solo quando il cliente, e la sua famiglia se possibile, divengono in grado di distinguere tra il proprio senso di colpa, i differenti modi di vivere e percepirsi rispetto alla fede, il bisogno di trascendenza e la capacità di ciascuno di scegliere tra un credo e l’altro.
Quando i sentimenti di ricatto, spesso messi in atto dal sistema affettivo di riferimento, possono essere affrontati ed elaborati, tanto da scindere la propria adesione a tale funzionamento del sistema, dalla propria fede in Dio, quando il paziente raggiunge la possibilità di sentirsi pienamente titolare delle proprie scelte di fede, e di negoziare tale libertà con il proprio sistema di riferimento.
– “Quali sono gli aspetti della tua fede che ti fanno stare più male?” “Chi ti ha insegnato queste cose?” “Ti ricordi quando hai deciso che dovevi crederci?”
“Hai mai dei dubbi?” “Ne hai avuti?” “Come li hai superati?” “Altri la pensano diversamente: credere di essere condannati alla sofferenza è una scelta difficile e dolorosa, hai mai parlato con qualcuno nella tua situazione che ha fatto una scelta diversa?”
“Hai mai letto il tal testo? Potresti trovarlo interessante…” “Esploriamo da chi hai imparato che questa è la verità, se così non fosse chi ne soffrirebbe di più?”
“Se tu un domani vedessi o sentissi qualcosa che ti fa cambiare idea su queste cose, chi ne sarebbe contento e chi invece no?”
– E’ fondamentale distinguere tra esplorazione delle fonti, delle conoscenze, delle possibili interpretazioni (aspetto che può a pieno titolo rientrare nel mandato e nelle competenze di uno psicoterapeuta) e la scelta di fede del paziente, che non viene mai attaccata, sfidata, o svalorizzata dal terapeuta.
Questi semmai esprime il suo rispetto assoluto per ogni fede e ogni credenza, ma non per questo può rinunciare al suo compito di esplorazione, confronto e informazione.
Parlare di fede in terapia, significa che nel rispetto del sentimento religioso portato dal paziente, le sue convinzioni possono essere confrontate nel modo più sereno possibile (non certo nella logica del conflitto ideologico) con i dati scientifici (anche solo per constatare e accettare una palese incongruenza, accettando che tale incongruenza di fronte alla fede abbia tutto il diritto di esserci), con e altre prospettive religiose, con le altre fedi, e con le altre posizioni spirituali quali l’ateismo e l’agnosticismo.
Troppo spesso oggi si confonde il rispetto con il silenzio. Lo spazio terapeutico deve essere un luogo in cui s’impara anche a confrontarsi rispettosamente con idee e fedi diverse.
– Per poter immaginare un cambiamento nel sistema di credenze e significati che generano il conflitto del credente omosessuale con la propria identità sessuale, inoltre, risulta di fondamentale importanza l’analisi dei futuri temuti e di quelli possibili in relazione proprio a un ipotetico cambiamento.
Arrivati a confrontarsi con l’identità religiosa del paziente, devono aiutare e affiancare quest’ultimo nel riflettere sul proprio percorso e i propri bisogni, perché le opzioni di scelta siano le più vaste possibili, anche, se è il caso, a partire dalla testimonianza della sua fede, vissuta in modo liberatorio, sentendo di esprimersi integralmente come cristiano e di starne approfondendo i valori proprio in quanto omosessuale.
– Proprio questa prassi diviene possibile quando nella relazione terapeutica, insieme al paziente, si costruisce un’apertura su un orizzonte di valori – di giustizia, di eguaglianza, di rispetto delle pluralità, di dialogo e di solidarietà nei confronti della multiformità della vita umana – che supera quello asfittico della violenza fondamentalista.
Per fare un solo esempio: a proposito dell’argomento della complementarietà dei generi che i gay negherebbero, gli psicoterapeuti possono avere come punto di riferimento il valore fondativo dell’unicità di ogni persona, che è poi sempre il cardine della pratica terapeutica: nessuno è complementare a nessun altro – che sia donna o che sia uomo –, ognuno è unico, inassimilabile, incoercibile dentro uno schema mistificatorio e opprimente come un letto di Procuste. Ognuno è un universo di ricchezze irriducibili, di sensibilità, di possibilità che sta a ogni persona riuscire a integrare, condividere, donare all’altro, sia esso uomo o donna.
Ognuno è portatore di alterità, e un uomo per un altro uomo non lo è meno o più di una donna. E due uomini perciò – due donne – non sono meno complementari di un uomo e una donna, proprio perché ogni essere umano è un complesso insondabile di differenze peculiari che ne costituiscono l’unicità inviolabile.
La complementarietà essenziale è la straordinaria, affascinante fatica degli umani di costruire passo dopo passo un dialogo, una comunanza, una rete di mozioni, di equilibri, di scambi interiori, spirituali, psicologici, comportamentali ed etici: non si fonda né risponde a incastri preformati, ma si gioca sempre tra esseri mirabilmente unici, irripetibili, sempre differenti e sconosciuti.
La complementarietà non è ciò che sta prima, ma quello che viene dopo, nel corso di una costruzione mai conclusa, aperta, delicata.
– Gli psicoterapeuti possono così mettere realmente in discussione l’invalidazione dell’esistenza gay imposta dall’ideologia religiosa.
Questo è il vero rifiuto del fondamentalismo: aiutare i pazienti credenti a confrontarsi con la pluralità delle opzioni che la loro stessa fede rende possibili, esplorare i presupposti di validità delle differenti forme dell’essere e non solo di quella che viene a priori designata come la sola possibile.
* Paolo Rigliano, Jimmy Ciliberto e Federico Ferrari sono co-autori di Curare i gay? Oltre l’ideologia riparativa dell’omosessualità (ed. Cortina Raffaello, 2012)