In cammino con i discepoli verso Emmaus, per resuscitare una speranza delusa
Riflessioni bibliche su Luca 24,13-28 tenute da Elizabeth E. Green, teologa e pastora battista, all’incontro biblico online della Tenda di Gionata su “Sperare contro ogni Speranza” del 15 aprile 2020
Oggi le nostre riflessioni partono dal capitolo 24 del vangelo di Luca, versetti 13-28. E’ l’ultimo capitolo del vangelo e racconta un lungo e complesso percorso dalla delusione della speranza al rinnovamento di una speranza trasformata.
Poiché parte dalla visita delle donne alla tomba il primo giorno della settimana, è molto adatto a questo tempo dopo Pasqua. Non leggeremo tutto il capitolo ma ci concentriamo soprattutto sul brano centrale, e potete leggere online o dalla vostra Bibbia.
Luca 24,13-28. Una speranza delusa (a):
Il capitolo apre con due discepoli di Gesù che stanno andando a piedi da Gerusalemme ad un città distante su per giù 12 chilometri, Emmaus. Ovviamente parlano di ciò che era appena successo nella capitale e
“Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro.” (v. 15).
Era l’ultima cosa che si aspettassero e di fatto non lo riconobbero: “Ma i loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano” (v. 16). A questo punto Gesù fa loro una domanda “Di che discorrevate fra di voi lungo il cammino?” (v.17)
Facciamo una pausa per immaginare la scena. Due amici o amiche in cammino e uno sconosciuto si mette amichevolmente a loro fianco. Non sanno chi è e lui si guarda ben bene da rivelarglielo. Vuole semplicemente fare un pezzo di cammino con loro, e si mette in ascolto.
Il viaggio è molto importante per Luca che dedica la parte centrale del suo vangelo dai capitoli 9 al 19 al cammino di Gesù con i discepoli e le discepole a Gerusalemme. Da Abramo in poi il viaggio è nelle scritture una metafora della vita e della fede.
A quale punto siamo nel nostro viaggio? A quale punto erano questi due discepoli? Gesù dice “Di che discorrevate fra di voi lungo il cammino?” (v.17). Come risponderemmo noi a quella domanda? Come hanno risposto loro?
Ecco, veniamo subito introdotti al loro stato d’animo “si fermarono tutti tristi” (17) e risposero “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele”. (Lc 24,21)
2. La speranza delusa (b)
Partiamo, dunque da una speranza delusa. Quale speranza era andata delusa, cosicché l’hanno lasciato perdere e sono andati via dalla città? Avevano sperato che
“Gesù Nazareno, …. profeta potente in opere e parole davanti a Dio e a tutto il popolo” (Lc 24, 19) “avrebbe liberato Israele”.
Le nostre Bibbie traducono “liberato”, una parola forse più precisa sarebbe “redento” o “riscattato”. E’ una questione di enfasi, se redimere tende a sottolineare l’azione di colui che sottrae altri a una condizione negativa (come la schiavitù, per esempio), liberare tende a sottolineare la conseguenza per altri di tale azione. In altre parole, Ceopa e il suo compagno di viaggio avevano sperato che Gesù avrebbe riscattato il loro popolo da tutto ciò che lo opprimeva e, per citare le parole di Martin Luther King, sarebbero stati finalmente liberi.
Questa speranza è al centro del vangelo di Luca. E’ stata annunciata da Zaccaria dall’inizio: “Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele perché ha visitato e riscattato (o liberato) il suo popolo” e anche da Anna: “Anche lei parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (Lc 1,68; 2,38)
La speranza girava intorno “un potente Salvatore” che Dio aveva “suscitato nella casa di Davide suo servo” (Lc1, 69), che era nato a “Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide” (Lc 2,4). Era una speranza che aveva nutrita Israele lungo i secoli e che animava proprio i personaggi, Zaccaria, Elisabetta, Maria, Simeone e Anna con i quali Luca apre il suo vangelo.
Che la speranza sia per compiersi è stato annunciato addirittura dall’angelo: “Oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore” (Lc 2,11) cosicché quando, alla fine del suo cammino, Gesù entra in Gerusalemme “la folla dei discepoli cominciò a lodare Dio… per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo “Benedetto il Re che viene nel nome del Signore” (19,37s.)
Erano convinti che Gesù avrebbe liberato Israele. Come sappiamo, però, tutto era andato storto: “i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso” (Lc 24,21).
Colui che doveva liberare Israele dalla propria prigione è stato egli stesso arrestato, messo in prigione e giustiziato. La loro speranza è morta sulla croce insieme a Gesù. Una botta così non se la aspettavano minimamente.
Non so se qualcuno o qualcuna di voi ha sofferto una delusione così cocente. Che sia venuto meno una speranza, un sogno nel quale avete investito delle energie, un progetto di vita, un amore, per esempio. Magari anche in questi tempi di coronavirus, tempi che ci che ci mettono tutti a dura prova, che ci costringono a restare a casa o a lavorare in circostanze rischiose? Quanti progetti siamo stati costretti – per forze maggiori – ad abbandonare? Quali sono le nostre speranze deluse?
3. Risuscitare una speranza morta
Una speranza delusa non muore così facilmente. Ci torniamo ripetutamente. Analizziamo l’accaduto. Cerchiamo di capire cosa è andato storto e quando e come. Era possibile che le cose andassero diversamente? O addirittura che siano andate diversamente? Cerchiamo di rileggere gli eventi. E’ come se cercassimo di risuscitare una speranza morta. Non vi sarà sfuggito l’ironia della scena: hanno il Risorto davanti e cercano di risuscitare la speranza!
Lo fanno portando a conoscenza del forestiero gli eventi successivi alla morte del messia. Una delle tecniche narrative amate da Luca per sottolineare qualcosa di fondamentale (la conversione di Saulo, in Atti, per esempio) è di fare raccontare di nuovo l’evento in forma di discorso indiretto. Perciò sono i due discepoli sulla strada di Emmaus a riferire in due versetti ciò che Luca ci ha già raccontato nei primi 8 versetti del capitolo.
“E’ vero che certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire; andate la mattina di buon’ora al sepolcro, non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo” (24, 22s.)
Quindi, il fatto che le donne “venute con Gesù dalla Galilea” (23,55) erano andate al sepolcro dove avevano visto “due uomini in vesti risplendenti” che le avevano detto: “Egli non è qui ma è risuscitato”, è tutto vero! Com’è anche vero che le donne si erano ricordate come Gesù avea parlato loro in Galilea dicendo che il Figlio dell’uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare” (24,6-8).
Tant’è che “tornate dal sepolcro annunziarono tutte queste cose agli undici a a tutti gli altri” (v.9) Ma qual è stata la reazione degli uomini, inclusi Cleopa e il suo compagno di viaggio quando “Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo e le altre che erano con loro” raccontarono l’avvenuto?
“Quelle parole sembrarono loro un vaneggiare e non prestarono fede alle donne” (24,11)
Cominciamo a vedere da che cosa questi uomini avessero bisogna di essere liberati. Dai loro pregiudizi e precomprensioni. Dalle loro idee precostituite – in questo caso riguarda al genere e alle parole delle donne. Dalle lenti attraverso le quali guardavano le altre persone.
I discepoli erano talmente sicuri di come sarebbero dovute andare le cose, che non erano in grado, nonostante le parole delle donne, di vedere le cose in modo diverso. Forse poi era venuto loro qualche scrupolo, così – i due uomini raccontano – “alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne ma,” e qui ci siamo “lui non lo hanno visto”. (24)
4. L’ironia del caso
Hanno cercato di risuscitare una speranza delusa ma non sono riusciti. Traggono la conclusione sbagliata, la speranza è morta perché “lui non lo hanno visto”. Siamo davanti alla grande ironia del brano. I due sono talmente affezionati alla propria delusione che non riescono a lasciarla andare, a liberarsene nemmeno quando davanti ai loro occhi c’è chi la smentisce.
“Ma lui non lo hanno visto”, non lo avevano visto allora e non lo vedono ora. Non vedono che il forestiero col quale stanno così amabilmente conversando sia “Gesù stesso”: “Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. Ma i loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano” (24,16).
Erano talmente convinti di aver visto bene dall’inizio che non sono in grado, nonostante le previsioni di Gesù in quel senso, nonostante il modo in cui sono andate le cose, nonostante, la testimonianza delle donne, nonostante la presenza del Risorto al loro fianco, di cambiare idea, di mettersi in questione e considerare le cose da un altra prospettiva.
I discepoli sulla via di Emmaus sono prigionieri dalle loro stesse aspettative nei confronti di Gesù e i loro pregiudizi riguardanti le donne. Penso che abbiamo tutti e tutte conosciuto persone così.
Persone che giudicano, agiscono, sperano in base a idee precostituite, magari discriminando altri in base al loro genere, orientamento sessuale, appartenenza di fede, provenienza o quello che sia. A Gesù non interessa risuscitare una speranza morta ma trasformarla in una speranza viva. Come?
Una delle mie preghiere preferite che mi torna molto in mente in questo periodo inizia così: “”sei sempre più grande, O Dio delle nostre timide aspettative” Forse possiamo individuare anche noi una speranza delusa, delusa perché troppo angusta, speranza di cui avevamo bisogno di essere liberata, speranza che aveva bisogno di essere trasformata.
5. La speranza trasformata
E’ esattamente ciò che ora fa Gesù. Senza fuochi d’artificio ma invitandoli a riflettere su ciò che lui aveva già detto.
“Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” (v.26).
La sua sofferenza e la sua morte non erano la bensì un preludio. Non erano un incidente del percorso, ma parte intrinseca del percorso stesso. Gesù li aveva già messo in guardia. Aveva già annunciato ciò che lo aspettava a Gerusalemme. Tant’è che le donne alla tomba erano state perfettamente in grado, sul suggerimento dell’angelo, di ricordasela “Esse si ricordarono delle sue parole” (v.8).
Pazienza, Cleopa e l’amico hanno bisogno di essere presi per mano, accompagnati letteralmente alla scoperta del modus operandi divino. Così , Gesù “cominciando da Mosè e tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (24,27).
Aha, e ora ci chiediamo esattamente che cosa disse Gesù? E’ possibile che egli citasse i vari brani che ai quali Luca allude nel libro degli Atti e nel suo vangelo. Per esempio Salmo 118,22 o Salmo 2,1-2 o Isaia 53,12 o Salmo 69,21. O forse la sua lettura era più ampia e aveva a che fare con il destino dei profeti in Israele. Per esempio al cap 13 Gesù aveva detto:
“Ma bisogna che io cammini oggi, domani e dopodomani, perché non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati…” (33s.), E’ la conclusione che tira Stefano in Atti:
“Gente di collo duro e incirconciso di cuore e d’orecchi voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo; come fecero i vostri padri, così fate anche voi. Quale dei profeti non perseguitarono i vostri padri. Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale ora voi siete divenuti traditori e uccisori” (Atti 7,51-52).
Se non avessero avuto la tesa così piena di un messia glorioso e trionfante e avessero meditato sulla fine dei profeti forse la loro speranza non sarebbe stata delusa. Ma, dal mio punto di vista c’è di più. Torniamo a quei brani all’inizio del vangelo quando lo Spirito Santo aleggia potentemente sui personaggi. In quell’occasione Maria ricorda il divino modus operandi come un mettere a soqquadro l’ordine costituito, un detronizzare dei potenti e un innalzare degli umili. Nel cantico di Anna sul quale Luca modella il cantico di Maria si legge
“Il Signore fa morire e fa vivere:fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire” (1 Sm 2,6).
Questa non è una predizione della resurrezione di Cristo ma mostra come Paolo fa in Romani 4 (testo che ha dato il titolo a queste lectio), che il Dio che crea dal nulla, dalla morte crea la vita. Da una speranza delusa, una speranza nuova e trasformata. Lo avrebbero capito i discepoli sulla strada per Emmaus?
Non ancora. Questo è un parto lungo e difficile che dura tutto il capitolo. E la notte sta per arrivare. Sembra che Gesù volesse andare avanti ma “Essi lo trattenero, dicendo: ‘Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno sta per finire”. E solo allora, quando si mettono a tavola e Gesù fece come aveva fatto decine di volte quando stavano insieme, “prese il pane, lo benedisse, lo spezzo e lo diede a loro” (30) che i “loro occhi furono aperti e lo riconobbero” (31), Nella quotidianità di un gesto comune, finalmente si rendono conto e fanno una lettura retroattiva di ciò che era appena accaduto
“Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentre egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?” (32).
Le donne sono arrivate prima, loro arrivano dopo e questo potrebbe anche farci rifletter sul ruolo degli e delle escluse nella storia. Ma ora la speranza, trasformata, rinasce e illumina tutta la storia, passato, presente e futuro. Una speranza trasformata li rimette un marcia. I due discepoli riprendono la strada per Gerusalemme, tornarono alle discepole ai discepoli dove Gesù apparirà di nuovo.
La nostra preghiera dice: “Sei sempre più grande, o Dio, delle nostre timide aspettative. Tu compi cose nuove inimmaginabili quando intorno a noi un mondo crolla, Tu fai sorgere la tua nuova creazione”. La speranza trasformata riscatta il loro passato e apre il loro futuro. “Rendici attenti alla opera Tua nel nostro tempo; fa’ che non rimaniamo attaccati al passato, che non Ti cerchiamo là dove Tu non sei”, “Cammina davanti a noi, Tu che sei il nostro futuro”
Chi vuole proseguire la lettura vedrà che la storia non è del tutto conclusa, per alcuni i dubbi rimangono e la lezione biblica va ripetuta. Ma noi ci fermiamo qui per riflettere su questo straordinario miracolo, come una speranza delusa diventa nelle mani (trafitte) di Gesù e nella forza dello Spirito una speranza trasformata, viva, la nostra.
Avete mai vissuto una speranza trasformata in questo modo che riscatasse il vostro passato, vi permetta di vivere il presente e illumini il vostro futuro?
* La pastora battista Elizabeth E. Green, si occupa di teologia e genere ed è membro del Coordinamento Teologhe Italiane. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Il Vangelo secondo Paolo (2009), Il filo tradito. Vent’anni di teologia femminista (2011), Padre Nostro? Dio, genere, genitorialità (2015), Cristianesimo e violenza contro le donne (2015), Un percorso a spirale. Teologia femminista: l’ultimo decenniot (2020) tutti pubblicati da Claudiana, e Incontri. Memorie e prospettive della teologia femminista (con Cristina Simonelli; San Paolo 2019).