Chiesa virtuale e amore a distanza al tempo del coronavirus
Riflessioni di Massimo Battaglio
Giovedì 16 aprile, papa Francesco ci ha stupiti con una delle sue simpatiche uscite: ha messo in guardia dal rischio di una “Chiesa virtuale”. Nella sua omelia quotidiana a Santa Marta, soffermandosi un po’ anche sul tema della pandemia, ha detto così:
“Qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo che in questo momento che stiamo vivendo, questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione. Anche in questa Messa: siamo tutti comunicati ma non insieme, spiritualmente insieme. Stiamo insieme ma non insieme. Anche il Sacramento: la gente che è collegata con noi ha soltanto la Comunione spirituale. E questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile. Il Signore lo permette ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i Sacramenti. Sempre”.
Questo avvertimento, proiettato sul domani, mi ha fatto riflettere (c’è un sacco di tempo per riflettere, in questi giorni). E ho voluto confrontare le mie riflessioni (virtualmente) con diversi amici, che le condividono e mi hanno aiutato a svilupparle ulteriormente.
Prima riflessione: il Papa ha ragione: la “Chiesa virtuale” non è Chiesa fino in fondo
L’assemblea dei credenti si regge da sempre sul principio per cui essi si incontrano per la strada, quasi per caso, come i discepoli di Emmaus incontrarono quasi casualmente Gesù; come Filippo annunciò il Vangelo all’eunuco che gli aveva semplicemente dato un passaggio. I cristiani si aggregano da sempre per affinità unicamente territoriale, uniti dall’essere capitate in uno stesso contesto sociale. Non scegliamo i nostri fratelli, nè in famiglia nè in parrocchia.
Viceversa, le molte iniziative virtuali a cui siamo costretti a rivolgerci in queste settimane, ci uniscono per scelta, per comunanza ideologica o di gusto. Vagliamo con cura il sito a cui collegarci, il prete da ascoltare. E si finisce per perdere il confronto con chi la pensa diversamente da noi, per creare tante piccole “bolle”.
Un amico prete mi diceva che, secondo lui, sarà difficile ricostruire le assemblee domenicali. Il pericolo è che i fedeli, ormai abituati a scegliere ciò che secondo loro è meglio, continuino a preferire la “rete” perché vi si trovano più a loro agio.
Mi sembrano preoccupazioni legittime. Chissà che non motivino qualche sacerdote a celebrare in modo meno stanco e a cercare un contatto reale con ciascun cristiano. In fondo, non si può non riconoscere che molte delle esperienze di Chiesa virtuale (comprese quelle della Tenda di Gionata) sono davvero “di qualità”. Si tratta di mantenere la stessa qualità, domani, nel mondo reale.
Seconda riflessione: il Papa si occupa finalmente di sacramenti e liturgia
In questi anni, il tema del celebrare la fede sembrava essere il grande assente nei pensieri di Francesco, col risultato che la liturgia stava diventando il rifugio dei tradizionalisti.
E’ stridente il contrasto tra l’apostolato di papa Bergoglio e il riemergere di simbologie ornamentali stantie, tra la sua predicazione e la nuova moda del ritorno al rito antico, preso in toto o infilato per parti, a volte subdolamente, nelle odierne celebrazioni.
Le stesse funzioni della settimana santa in Vaticano hanno mandato in onda una frattura evidentissima tra il Papa e i suoi cerimonieri. Da una parte lui ha tentato in tutti i modi di esprimere vicinanza, “compassione” (che bella la Via Crucis! E che meraviglia la celebrazione dell’indulgenza, la settimana prima).
Dall’altra, i suoi collaboratori hanno fatto di tutto per ristabilire una lontananza quasi calcolata. Canti incomprensibili su arie di cinquecento anni fa (quindi non ritorno alle origini ma alla controriforma); totale esclusione di donne che non fossero consacrate; la Passione recitata da tre lettori tutti sacerdoti, la preghiera dei fedeli da un diacono (e qui il travisamento è completo). Sembrava che chi ha organizzato fosse più interessato alle “norme” che al Popolo di Dio.
Se la “Chiesa virtuale” è quella in cui i fedeli tornano a essere relegati al ruolo di spettatori di un rito che non possono comprendere, Francesco ha ragione un’altra volta: questa non è Chiesa.
Per fortuna, tra le attuali messe online, ci sono anche quelle quotidiane a Santa Marta. Mi piacerebbe che, nella loro semplicità, si imponessero come modello su cui ragionare.
Terza riflessione: amore virtuale
La Chiesa virtuale non è solo quella in cui non si fa comunità o la si fa solo con chi si vuole. E’ quella in cui manca una reale vicinanza, fatta di occhi che guardano altri occhi, mani che si stringono, parole pronunciate e non solo ascoltate in remoto.
E questi sono temi di cui noi cristiani lgbt ci intendiamo parecchio. Chiunque di noi abbia provato anche solo a meditare sui comandi che la Chiesa pretende di imporci, ha sperimentato quanto sia spietato impedire che due persone che si amano vengano private di tutto ciò che è il mondo dei sensi. Noi siamo testimoni del fatto che l’amore umano ha bisogno di essere corporeo, di alimentarsi con una carezza, di celebrarsi nella sessualità.
Bene. In questi mesi di clausura senza vocazione, queste restrizioni si sono estese anche a tanti altri: a chiunque fosse in casa da solo. E così, molti hanno potuto provare cosa vuol dire.
Spero che non venga mai più in mente a nessuno di augurare ad altri una vita di castità che non hanno scelto. Non solo perché è dura ma perché non è nemmeno castità ma solo insterilimento dell’amore. E’ come la Chiesa virtuale: amarsi via Whatsapp non è amarsi. Tutt’al più è volersi un po’ di bene. Solo che Dio non si accontenta che ci vogliamo un po’ bene perché ci ha creati per amore.