Quale posto per le persone omosessuali nella chiesa cattolica?
Riflessione di mons. Luigi Bettazzi, Vescovo emerito di Ivrea, tratta da AA.VV., Il posto dell’altro. le persone omosessuali nelle chiese cristiane, edizioni la meridiana, 2000, pp.7-10
«Sono nato mancino», così cominciavo il piccolo libro La sinistra di Dio (edizioni la meridiana 1996). Ovviamente non si trattava di scelte politiche’, anche se qualcuno volle subito protestare senza nemmeno avere sfogliato il libro.
Si intendeva invece puntualizzare che in un mondo e in una cultura in cui il settore destro del corpo, per il 90% dell’umanità, è quello più forte, la «destra” diventava il segno della forza, della sicurezza, del privilegio: nel Primo Testamento “la destra dell’Altissimo” è il premio e la garanzia per chi gli è fedele; e lo stesso Gesù Cristo, dopo le vicende della sua vita terrena e della sua morte dolorosa, risorge e… sale “alla destra del Padre”.
E così l’ebreo, nei confronti del pagano, si sente protetto dalla destra di Dio, come lo è il maschio nei confronti della femmina, il ricco nei confronti del povero, il sano nei confronti del malato.
Gesù Cristo è venuto a farsi uomo come noi – come dice Paolo nella famosa pagina della kenosis (o “annientamento”, v. Fil 2,17) – quasi ad accantonare la sua divinità per assumere la natura umana, e a svuotarsi dei privilegi che gli competevano per «farsi obbediente fino alla morte, a quella obbrobriosa morte di croce».
Gesù ha rovesciato le antiche priorità: ha privilegiato i piccoli, i poveri, gli ammalati, ha ridato dignità agli esclusi, alle donne, ai forestieri, che son così diventati «la sinistra di Dio”. Non è detto che questa valutazione sia diventata automaticamente la caratteristica dei cristiani e delle Chiese; ma a essa deve comunque rifarsi chi vuol essere fedele a Gesù Cristo.
Forse l’essere mancino, quindi minoranza, l’aver subito rimproveri e violenze – come quelle della maestra di quarta elementare che bacchettandomi mi obbligava a scrivere con la destra – può avermi reso più attento alle emarginazioni e alle sofferenze di chi si sente escluso.
Provenendo da una famiglia.., equilibrata (quattro fratelli e tre sorelle) con genitori molto attenti, ed entrato in Seminario a dieci anni, non ho avuto modo di valutare queste situazioni se non molto tardi. In Seminario ci mettevano in guardia dalle «amicizie particolari”, ma non ci rendevamo conto di che si trattasse. Forse l’allontanamento improvviso di qualche compagno di Seminario era il frutto del vigile controllo dei superiori.
Il ministero sacerdotale non mi fece incontrare in modo forte questa realtà se non quando, divenuto vescovo e Vicario Generale, dovetti interessarmi di un sacerdote, inviato a curarsi in un’apposita clinica tenuta da religiosi americani.
Il Concilio Vaticano II, a cui ebbi la fortuna di partecipare (dalla seconda Sessione alla fine), se anche non mi fece affrontare questa realtà, pose le premesse per una valutazione più oggettiva. E non solo perché, voluto da Papa Giovanni come Concilio «pastorale” (non primariamente dogmatico”, come gli antecedentj, impegnati a precisare i dettagli delle verità difede, degli “oggetti da credere”), si prefiggeva di considerare l’umanità concreta, i “soggetti” a cui il Vangelo è da annunciare.
Alcune mutazioni di prospettiva fecero parlare di “rivoluzioni copernicane” (così non più il mondo per la Chiesa, ma la Chiesa per il mondo; e, nella Chiesa, non più i laici in subordine alla gerarchia, bensì questa al servizio del popolo di Dio); ma una precisazione importante venne fatta circa il matrimonio, a cui un tempo siprefissava come fine primario la procreazione, rimandando la «mutua unione” al terzo posto (addirittura dopo il «remedium concupiscentiae’ il mezzo cioè per tacitare la passione), e che invece nella Costituzione pastorale su «La Chiesa nel mondo contemporaneo” (Gaudium et spes) si trova come fine primario l’amore.
Questo ha avviato il ricupero del senso fondamentale della sessualità, che è quello della relazione all’altro, facendogli perdere un giudizio, implicito, ma diffuso, che cioè il sesso fosse una brutta cosa (all’estremo opposto della castità, che era «la bella virtù”), da tollerare soltanto quando era proprio indispensabile, come nel momento di «fare figli”.
Ecosì che si è giunti a canonizzare l’uso del matrimonio nei periodi infecondi (anche se Giovanni Paolo II ha poi dovuto mettere in guardia dall’egoismo che può arrivare a programmare questo uso dichiarato “lecito”), ma è così soprattutto che si è rilanciata la spiritualità dell’amore, con tutte le premesse e i corollari della psicologia, della sociologia, dell’etica.
Ed è così anche che si è aperta una porta per superare gli schemi antichi di un’omosessualità come scelta depravata (forse influenzata anche da prassi rituali in alcuni culti pagani) che lo stesso San Paolo condanna duramente anche per contrastare la pedofilia o il disprezzo del matrimonio (i filosofi – lo stesso Socrate – trovavano che l’omosessualità è più conveniente perché evita le complicazioni della famiglia e della prole e quindi lascia tempo e serenità per filosofare!).
I credenti che si scoprono omosessuali cominciano a chiedersi come conciliare questa loro realtà con la fede, si incontrano — non più furtivamente — per approfondire insieme i problemi che ne derivano.
Accanto ad alcune – poche per ora – attenzioni di simpatia e di aiuto, in genere purtroppo rimangono molte assenze e diffidenze, e non solo da parte della gerarchia, ma in primo luogo della stessa opinione pubblica ecclesiale, forse disposta a togliere la demonizzazione, ma restia a riconoscere che si tratta di «naturalità”, sia pure di minoranza.
E credo che il grande problema rimanga questo: una volta riconosciuto il valore di un’affettività omosessuale, fin dove questa potrà spingersi:, sul piano morale e poi sul piano giuridico?
È importante che se ne parli, con serietà e serenità, […] per documentare e orientare la riflessione degli omosessuali credenti, ma anche per recuperare nell’opinione del popolo di Dio delle nostre Chiese una valutazione più evangelica, più umana, più fraterna di questa realtà.