I cattolici cosa possono imparare dal “coming out” di Obama
Riflessioni di Francis DeBernardo tratte dal blog di New Ways Ministry (USA), 15 maggio 2012, liberamente tradotte da Gabriele
Secondo quanto il giornalista gay e cattolico Andrew Sullivan ha scritto in un articolo di analisi politica sulla rivista Newsweek, Barack Obama è il “primo presidente gay” degli USA. L’aggiunta di un’aureola arcobaleno sulla copertina della rivista dà a questo titolo una sfumatura religiosa.
L’articolo ripercorre la ben nota “evoluzione” del pensiero di Obama sui pari diritti al matrimonio, ma il titolo di “primo presidente gay” è dato per rimarcare un legame molto più profondo tra il presidente e le persone LGBT.
In un lungo passaggio nella conclusione dell’articolo, Sullivan segnala significativamente che “. . . In questo tema secondo me c’è qualcosa che per Obama va al di là di un freddo calcolo politico e di un impegno per i diritti civili.
Il nocciolo dell’esperienza dei gay nel corso della storia è stato un senso di alienazione, o di appartenenza e, allo stesso tempo, non appartenenza.
La maggior parte dei gay nasce in famiglie eterosessuali e, crescendo, scopre che per qualche ragione non potrà mai avere un matrimonio simile a quello dei loro genitori, o fratelli e sorelle.
Lo sanno ancora prima di poterlo esprimere e raccontare a chiunque altro, genitori compresi. Questa sottile sensazione di alienazione – di amare la tua famiglia, sentendoti però anche escluso da essa – è qualcosa di cui tutti i bambini gay fanno esperienza..
Percepiscono qualcosa di appena abbozzato, una vaga diversità dai loro compagni, una certa estraniazione dalle loro famiglie, le prime dolorose fitte di vergogna. Poi, ad un certo punto, scoprono il significato di tutto ciò.
“E questa, con le dovute distinzioni , è anche la storia della vita di Obama. Bambino nero cresciuto da una madre single e nonni bianchi, visse inizialmente nelle Hawaii e in Indonesia, dove il colore della sua pelle non faceva nessuna differenza.
Scoprì la propria diversità solo in seguito, leggendo una vecchia copia della rivista Life, che aveva una sezione riguardante Afro-Americani che avevano scelto trattamenti irreversibili di sbiancamento per apparire bianchi – credevano che essere bianchi fosse l’unico modo per essere felici. . . .
“Barack Obama ha avuto una diversa esperienza di coming out (rispetto alle persone LGBT, ndt). Ha dovuto scoprire la sua identità di nero e riconciliarla con l’appartenenza ad una famiglia bianca, nello stesso modo in cui i gay scoprono la propria identità omosessuale per doverla riconciliare con la propria famiglia eterosessuale. . . .
“Questa è un’esperienza comune a tutti i gay: la scoperta in età adulta di una comunità diversa dalla propria casa, e lo sforzo di appartenere ad entrambe, senza alienazione. Oggi è più semplice che in passato.
Ma non è un’esperienza che lascia senza ferite e cicatrici nell’animo. Obama ha imparato ad essere nero come i gay hanno imparato ad essere gay… “Ho sempre percepito che, almeno intuitivamente, Obama capisse noi gay e la nostra difficile situazione – perché rispecchia così da vicino la propria.
E sa come l’amore e il sacrificio del matrimonio possano curare, integrare e ricostituire un’anima in pena. Lo scopo del movimento per i diritti dei gay, dopotutto, non è quello di aiutare le persone ad essere gay.
E’ quello di creare lo spazio in cui ognuno possa essere se stesso. Questo è stato l’obiettivo di Obama nel suo lavoro. E ora Obama ha allargato lo spazio in cui poter essere se stessi a molti altri, intrappolati in diverse gabbie di identità e bramosi di essere liberati per tornare alle famiglie che amano e alla dignità che meritano.”
Trovo che questo passaggio sia non solo rivelatore dell’esperienza di vita di Obama, ma anche applicabile all’esperienza dei cattolici LGBT. Tra le migliaia di domande che ho ricevuto nel corso di questi vent’anni, la più comune di gran lunga è stata perché alcuni cattolici LGBT rimanessero membri della Chiesa.
La considerazione di Sullivan, secondo cui l’esperienza dei gay è “la scoperta in età adulta di una comunità diversa dalla propria casa, e lo sforzo di appartenere ad entrambe, senza alienazione” è una risposta eccellente a questa questione.
L’esperienza dei cattolici LGBT è quella di sentirsi differenti dalla propria comunità di origine, pur sapendo che vi si appartiene. La difficoltà di un’esperienza simile non è tanto quella di risolvere tutte le tensioni che questa differenza crea, ma la scoperta di una nuova comunità nella quale sentirsi a casa e che dà ad una persona la forza ed il coraggio di vivere “senza alienazione” in entrambe.
Ogni singolo cattolico LGBT che conosco e che sia rimasto cattolico lo ha fatto perché è riuscito a trovare una simile comunità. Effettivamente, senza una tale comunità, la vita diventerebbe insopportabile e non ci sarebbe modo di sopravvivere.
La comunità LGBT fornisce l’esempio e il supporto di cui si può aver bisogno per navigare tra le molte richieste di identità nella vita di ciascuno. La comunità è il luogo dove scopriamo di poter essere noi stessi e parte di qualcosa di più grande. La comunità è il luogo dove impariamo ad integrare i diversi aspetti della nostra identità in un tutto organico.
La comunità è il luogo dove impariamo a sentirci “a casa” ovunque siamo e chiunque noi siamo. Vivere queste tensioni e negoziare tra queste molte richieste sono parte dei doni che le persone LGBT offrono al resto della Chiesa.
Gli altri cattolici possono imparare lezioni impagabili sull’identità e la comunità aprendosi alle vite ed esperienze di fede delle persone LGBT. Come Sullivan fa notare, “Lo scopo del movimento per i diritti dei gay, dopotutto, non è quello di aiutare le persone ad essere gay.
E’ quello di creare lo spazio in cui ognuno possa essere se stesso.” Questa è una lezione da cui ognuno, gay o etero, può ricavare benefici e benedizioni.
Testo originale: What Catholics Can Learn from Barack Obama’s “Coming Out” Story