Ho predicato contro l’omosessualità, ma mi sbagliavo
Riflessioni di Murray Richmond* tratte dal sito Salon (USA), 27 marzo 2011, liberamente tradotte da Adriano C.
In quanto Pastore Presbiteriano, ritenevo che l’omosessualità fosse un peccato. Poi ho incontrato persone che realmente capivano quale fosse la posta in gioco: gli omosessuali.
Un recente sondaggio mostra un enorme cambiamento degli Americani sul loro atteggiamento verso il matrimonio omosessuale, passiamo dal 32% di favorevoli nel 2004 al 53% di oggi. Io sono una di quelle persone che ha cambiano il modo di pensare.
Nel 1989 quando venni ordinato sacerdote al servizio di una piccola chiesa del North Carolina, l’omosessualità era un argomento invisibile. I diritti omosessuali erano raramente segnalati dai radar delle Chiese tradizionali. L’idea di un pastore apertamente omosessuale era inammissibile.
Sapevo che esistevano “chiese gay” ovviamente, ma non ritenevo che una persona potesse essere omosessuale praticante e Cristiana. La Bibbia era schietta su tale argomento. Tutto mi sembrava incredibilmente ovvio. Durante i cinque anni successivi però, l’omosessualità non solo divenne un argomento; bensì divenne “L’Argomento”.
Vennero delineati i contorni, e coloro di noi che stavano nel mezzo furono obbligati a prendere una posizione. Io ero un Cristiano biblico, quello che ingrossa la fila del pensiero “odia il peccato, ama il peccatore”.
Quindi mi sembrava giusto di non poter accettare pienamente, ordinare e sposare gli omosessuali. Se mi avessero forzato a prendere una posizione, quella sarebbe stata la mia. In verità, mi sbagliavo nel ritenere che questo fosse un problema.
Nutrire gli affamati, predicare il Vangelo, confortare gli afflitti, combattere l’intolleranza razziale; queste erano le lotte che ero stato chiamato a combattere, non certo a determinare la moralità di quello che fanno gli adulti nelle loro camere da letto.
Ma il dibattito non è sparito. Veniva fuori, continuamente, anno dopo anno, spinto dagli attivisti di entrambe le opposizioni. Ogni volta, a malincuore votavo per mantenere la linea tradizionale e limitare il ruolo degli omosessuali nella chiesa. Però mi sentivo sempre più a disagio.
Quello che credevo fosse biblicamente corretto cominciò pian pianino ad essere meno giusto nel mio cuore. Mentre la chiesa stava combattendo fuori, io stavo lottando una mia battaglia interiore.
Mi sono trasferito in Alaska nel 1996, però il dibattito mi è venuto dietro fin là. Tre fatti principali accaddero, a quel tempo, che cominciarono a rompere il muro della mia convinzione.
In primo luogo, ho avuto una lunga conversazione on-line con un fedele omosessuale Cristiano, il quale aveva lottato a lungo con la sua sessualità e alla fine aveva deciso, come ha detto lui, che Dio era più interessato al suo orgoglio che alla sua sessualità.
Era riluttante a parlare di questo argomento la prima volta che lo abbiamo affrontato, in parte perchè tutti gli altri sacerdoti che gli avevano parlato prima, volevano convertirlo.
Alla fine poi, è stato lui che mi ha insegnato qualcosa. Mi ha sorpreso dicendo che non sapeva di essere omosessuale fino a quando non ebbe una ventina d’anni. (Credeva solamente di avere uno straordinario rispetto per le donne). Successivamente, un parrocchiano mi chiese di fare un esorcismo su di lui perchè era gay.
Aveva provato ogni cosa che gli era saltata in mente (terapia, preghiera, forza di volontà, alcoolismo, gruppi di sostegno, matrimonio), ma niente di tutto ciò aveva funzionato. Era una situazione straziante. Come ministro avrei potuto mettere in dubbio la colpevolezza delle sue azioni, ma ero assolutamente certo che non fosse indemoniato.
Poi ho incontrato una donna che era stata lasciata dal marito per un altro uomo. Erano una coppia ecclesiastica, che serviva una chiesa di una piccola città. Lei aveva tutto il diritto di essere arrabbiata e ferita, ma venni colpito dalla sua grazia.
Mi disse che lui era il miglior ministro che avesse mai conosciuto. (Dal resoconto del suo lavoro, devo dire che ero d’accordo). Era semplicemente arrivato al punto di non riuscire più a vivere la menzogna circa la propria sessualità. Naturalmente aveva dovuto lasciare il suo ministero nel momento in cui lo aveva dichiarato.
Dev’essere stata una scelta orribile: fingere di essere qualcosa che non era, o lasciare la sua vocazione per la persona che amava.
Queste esperienze hanno stravolto la mia visione del mondo. Mi fu immediatamente chiaro che nessuno di questi uomini aveva scelto di essere omosessuale, così come non aveva mai scelto di essere eterosessuale.
Come potevo condannare qualcuno per qualcosa che in realtà non era colpa sua? Nel frattempo, stavo sperimentando la disintegrazione lenta del mio stesso matrimonio.
Inutile dire quanto mi fosse difficile condannare qualcuno per il proprio rapporto, quando il mio era di così cattivo esempio. Cominciai a prendere una posizione più centrista.
Se l’omosessualità era un “peccato”, gli avrei messo anche un bel punto di domanda a fianco. Verso la fine del mio ministero parrocchiale, sono stato avvicinato da cinque persone che mi chiesero che facessi un’omelia che incitasse al rifiuto nell’accettazione di gay e lesbiche nella chiesa.
Volevano sapere cosa dicesse la Bibbia su questo argomento. La cosa divertente fu che tutte e cinque queste persone erano divorziate e risposate. Se avessi tenuto un sermone su quanto dice la Bibbia in merito al divorzio, ognuna di loro avrebbe lasciato la chiesa in un battibaleno.
Ho fatto quel sermone, tuttavia non è stato il migliore in quanto a Ministro della Parola e del Sacramento.
Nelle mie ricerche, avevo scoperto che la Bibbia era molto più blanda sulla questione, di quanto avessi precedentemente creduto ma, pur cercando di trasmettere questa idea, alla fine sono venuto ancora fuori con un rifiuto dell’omosessualità. Ora come ora, vorrei essere stato più schietto su come le mie stesse concezioni si stessero trasformando, ma avevo affrontato la tematica dalla porta di servizio.
Ho parlato di tutti i peccati secondo la Bibbia, e ho detto che se avessimo iniziato a buttar fuori i peccatori dalla nostra Chiesa, avrei cominciato con i pettegoli. Guardandomi indietro, vedo quanto le mie opinioni fossero dettate dal fatto che rappresentavo una congregazione lacerata. La nostra chiesa, come molte altre, era divisa.
Mentre le persone che credevano nell’accettazione non sarebbero scappate qualora avessimo mantenuto una posizione di non-accettazione, quelle che lo percepivano come un peccato sarebbero sparite in un batter d’occhio nel momento in cui avessimo permesso un sacerdozio omosessuale o un matrimonio gay.
Se fossero fuggiti, metà del nostro budget sarebbe scappato dalla porta. Sapevo che il problema avrebbe strappato a pezzi la chiesa. Quello che non avevo realizzato era come avrebbe lacerato la gente nella chiesa.
Ogni anno mandiamo i ragazzi al nostro incontro nazionale come delegati giovanili. Un anno che era prevista (ancora) la discussione sull’ordinazione omosessuale, ho avuto un incontro con il delegato prescelto per condividere con lui alcuni punti di riflessione sulla questione.
Qualche giorno dopo, questa persona declinò l’invito. Cercai di comprenderne le ragioni, ma nessuna di quelle che prendevo in esame aveva una logica finchè seppi, molti anni più tardi, che quella persona era uscita allo scoperto ed aveva fatto coming out.
Cosa avevo detto a quel tempo? Non me lo ricordavo esattamente, ma sono quasi sicuro che si riducesse tutto al concetto che non c’è posto per gli omosessuali nella nostra chiesa.
Nel 2005 ho lasciato il ministero parrocchiale per lavorare come cappellano in un ospedale. Parte delle ragioni del cambiamento erano dovute alla mia separazione. Però ero anche stufo di cercare di vivere secondo degli schemi con cui non ero pienamente d’accordo.
Grazie alla lontananza, non solo ho potuto notare la meschina natura del movimento anti-gay, ma anche il modo sfacciato con cui le grandi Organizzazioni Cristiane utilizzano la “minaccia omosessuale” per recuperare fondi.
Libero dai vincoli di una congregazione, ho potuto trascorrere più tempo ad aggiornarmi sui testi biblici che si occupano dell’omosessualità, e sono rimasto sorpreso nel constatare che non erano così chiari come io supponevo che fossero. A quel punto ho fatto una virata di 180 gradi sull’argomento. Credo che sia stato un cambiamento verso il miglioramento.
Dunque mi sono chiesto subito, perchè abbiamo selezionato l’omosessualità quale cartina al tornasole per misurare la Vera Cristianità? Perchè si era trasformata in un parafulmine per l’auto-correttezza?
La prima ragione è, credo, che è molto facile condannare l’omosessualità se non sei gay. E’ molto più difficile condannare l’orgoglio, o la lussuria oppure l’avidità, cose contro le quali la maggior parte dei Cristiani praticanti ha combattuto. E’ fin troppo facile agire sull’omosessualità di “quelle persone”, e non su me stesso.
Se dovessi giudicare qualcuno per il suo sconfinato orgoglio, o la tendenza ad adorare idoli culturali diversi, proverei un rischio di interesse, un brivido di auto-giudizio.
Non è così con l’omosessualità. Ora mi chiedo perchè, se due persone omosessuali vogliono impegnarsi l’uno verso l’altro per la vita, bisognerebbe negar loro questa possibilità.
Nessuna chiesa o sacerdote dovrebbe essere costretto a svolgere tali cerimonie, possono scegliere di non riconoscere il matrimonio omosessuale tra i loro fedeli.
Però la costituzione della Chiesa Presbiteriana non vieta esplicitamente a un pastore di essere un ladro, un assassino o un idiota egoista. Non è chiamata a fare queste cose. Proibisce a una persona omosessuale di diventare un pastore. La domanda che mi pongo è: perchè?
* Murray Richmond è stato sacerdote Presbiteriano per 17 anni e un cappellano d’ospedale per 3 anni. Attualmente è assistente legislativo al Senato dell’Alaska (Stati Uniti).
Testo originale: I preached against homosexuality, but I was wrong