Dal buio alla luce. Quattro parole per ripartire: Relazioni
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Riflessioni bibliche tenute da don Fausto a “Dal buio alla luce: percorso online per giovani LGBT e la loro comunità” organizzato dal Progetto Giovani Cristiani LGBT il 2 maggio 2020
Quando sta per nascere un bambino o una bambina si prepara la culla, il corredino, magari una stanza; si fa spazio per come è possibile. È il desiderio dell’altro, che comincia a lavorarci dentro; desiderio di un altro! La prima volta che qualcuno porta il/la fidanzat* tra gli amici si inizia una conoscenza e si accoglie. Altrettanto quando c’è una nuova persona nel gruppo. Quando poi conosciamo qualcuno di interessante, scambiamo il contatto per sentirci ancora!
Nel cuore si crea uno spazio per il nuovo arrivato, perché il cuore può rivelare spazi di accoglienza impensati. Siamo fatti così. La nostra vita è fatta così, perché all’origine della nostra identità ci sono parole precise: “non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,18). E quando qualcuno ci sorride, quel gesto diventa contagioso e il sorriso illumina il volto, perché abbiamo ricevuto il riconoscimento di esistere, di essere vivi!
Nell’Antico Testamento emerge che i morti (agli inizi forse pensavano probabilmente tutti i morti, poi con l’evolversi della coscienza della rivelazione soltanto i malvagi) scivolassero verso un luogo di buio, di isolamento, solitudine e oblio, che un abisso li dividesse dai vivi. Era chiamato lo “sheol”: il luogo della dimenticanza e della dissoluzione. D’altra parte per la visione molto concreta della mentalità biblica il dissolversi del corpo assomigliava all’essere fuori dalle relazioni fino allo svanire dalla memoria dei vivi. Era questa una zona di incomunicabilità e buio, come se per noi sparisse il campo dei cellulari, si interrompesse l’energia elettrica e peggio ancora.
Allora come oggi la malattia allontanava dagli altri, perché ritenuta contagiosa e pericolosa. Basti pensare all’allontanamento dei lebbrosi, all’obbligo imposto loro di vivere fuori dal villaggio, separati dagli affetti, dalla vita sociale, dall’aiuto reciproco e dal lavoro. Uno degli aspetti più dolorosi della pandemia è proprio l’impossibilità di stare vicino a chi è malato o ricevere la consolazione degli altri. La mentalità biblica vedeva nella separazione obbligata e nella dissoluzione del corpo il dissolversi delle trame di rapporti sociali, che davano sostanza all’esistenza: si era vivi di una “non-vita”, perché tagliati fuori, perché privati delle relazioni.
Ma i malvagi scelgono in vita di violentare le relazioni; per essi buio e incomunicabilità eterna diventano condanna e maledizione. Il peccato più serio è la violenza sulle relazioni, l’atto che sfigura la caratteristica profondissima della persona umana creata a immagine di Dio Trinità. Il peccato del malvagio è stravolgere l’immagine di Dio in sé, deformare e rompere le relazioni: buio e “non-vita”.
Oggi siamo distanti e forse più aperti agli altri. Ci mancano contatto e vicinanza fisica ed emotiva, ma cerchiamo nuovi linguaggi per starci vicini. Possiamo sempre cambiare i linguaggi della comunicazione, ma il vero bisogno è comunicare col cuore, anzi comunicare il proprio cuore, il cuore della propria esistenza, cuore a cuore. Allora sì che ci si sente vivi. Non per niente nella Bibbia la salute era percepita come vita in abbondanza, forza, fertilità, vita con gli altri, relazioni, festa Quanto ci mancano!!!
Leggiamo un brano del vangelo di Marco per trovare lo stile di relazione che Gesù proponeva e lui stesso viveva. Tutto il vangelo ci parla di questo, ma qui possiamo cogliere qualche suggestione per il nostro stile personale di relazioni. È Marco 6,30-44.
1. Gesù invita i suoi in disparte e si lascia trovare dalla gente. Sa gestire un equilibrio tra i momenti della solitudine riflessiva, come quando pregava di notte, i momenti di confidenza e ricarica con il piccolo gruppo degli apostoli, le cene a casa degli amici più stretti come Lazzaro, e i momenti con la gente. Le relazioni sono come il respiro: c’è un momento per andare e un momento per tornare, per stare soli, in pochi o in tanti, per spendersi e per riprendersi. È “amare il prossimo come se stessi” in una sapiente dose di qualità e quantità. Ricordando sempre che la prima relazione che viviamo è quella con noi stessi, faticosamente e/o serenamente.
2. Quando Gesù vede la folla prova “compassione”, gli si smuove nelle viscere un moto di affetto, premura, desiderio di fare qualcosa. E la prima cosa che fa Gesù è mettersi ad “insegnare molte cose”. Gesù offre innanzitutto il suo tempo e apre il cuore a quelle persone al buio, smarrite, senza meta, persone che non sono “gregge”, comunità, società, gente dai volti anonimi per gli altri.
Egli racconta come vive, cosa può fare felice nella vita. Gesù ha desiderio di incontrare; offre loro il proprio riconoscimento e la propria accoglienza. Spendendo per loro il proprio tempo, egli riconosce dignità, stabilisce una relazione, crea legami, dona un po’ di sé. Le sue parole illuminano.
3. Ma nel passare dalle parole ai fatti proprio i discepoli fanno più fatica. Gesù chiede loro di fare un cammino per colmare la distanza che li separa dalla folla. Mentre i discepoli pensano di togliersi di torno quella gente, Gesù insiste: “date loro voi stessi da mangiare”. Tre spunti di riflessione:
a) Gesù invita a vivere appieno la relazione con le persone che si incontrano anche se costa fatica;
b) Gesù non teme neppure la fragilità dei discepoli, perché le nostre fragilità non ci impediscono le relazioni. Anzi le relazioni ci possono medicare, lenire il dolore del cuore, guarire. Ci aprono all’amore, che è relazione viva. Non dobbiamo pensare di dare qualcosa di perfetto; non c’è un giorno in cui saremo perfetti per cominciare a donare: Gesù dice “date voi stessi” e dà fiducia ai discepoli, così come sono, con la loro fragilità appena dimostrata. La nostra fragilità non ci impedisce di farci dono, ma messa con fiducia nelle mani di Gesù, come i pani e i pesci che avanzarono in modo sovrabbondante, così ogni nostro dono sincero all’altro moltiplicherà i frutti di continuo.
c) Gesù dice “date” come cibo proprio “voi stessi”, le vostre vite, il vostro tempo, le energie. Potremmo tradurre così le sue parole: “queste sono le parole ricevute da me in cibo e che hanno illuminato le vostre vite. Condividetele con tutti.”
Così qualcuno tira fuori i “cinque pani e due pesci” da chissà quale sporta tenuta nascosta. Gesù benedice quel gesto coraggioso, perché assomiglia al suo stile di stare con quella folla fino in fondo; come accadrà quando un’altra folla griderà “crocifiggilo” e lui non scapperà. Gesù vive e propone ai suoi discepoli uno stile di relazioni che diventa guida e luce per noi pure: condividere. Questo è lo stile di Gesù, questa è la direzione del cristiano nelle sue relazioni.
4. Ciò che i discepoli mettono a disposizione è diverso da uno all’altro, perché sono spinti a fare dono di sé nell’incontro con l’altro; diverso il cesto dei pani, diversi i gesti, le parole, particolare lo sguardo, diverso anche l’interlocutore … ciascuno avrà messo giù il suo, dapprima con timore e insicurezza, ma poi
credendo sempre un po’ di più nel condividere. Anche noi nelle relazioni viviamo le nostre diversità. Gesù ha dato fiducia ai discepoli e oggi dà fiducia a noi, ognuno diverso com’è, ognuno con una sua particolarissima caratteristica.
5. Anzi la differenza è un elemento fondante delle relazioni: talvolta armonico, talvolta stonato, ma necessario e fondamentale. Le differenze sono una dinamica delle relazioni: gli apostoli, i discepoli, la gente, sono soggetti diversi; tutti i bisognosi gli uni degli altri per fare quel passo verso quello stile di condivisione, incarnato da Gesù: i discepoli tirando fuori le povere scorte e la gente accettando di sedersi e condividere il pasto con degli sconosciuti. Ci pesano talvolta le differenze di idee, gusti, valori. Sappiamo bene la sofferenza che si prova quando si è guardati e giudicati “diversi”, cioè non a posto. Gesù che si fa vicino a tutti smaschera ogni giudizio e lo toglie di mezzo. Infatti si mangia tutti lo stesso cibo: condividere.
6. E il luogo, prima deserto, si copre di erba verde su cui sedersi (v. 6,39): dove le persone sono in relazione, sono vive; e dove le relazioni sono secondo lo stile della condivisione è il paradiso. Lì l’uomo è immagine di Dio. Quando invece le relazioni sono abusate e la condivisione è negata il paradiso è perduto e la paura si impadronisce degli uomini (Gn 4,14). Questa novità dell’erba verde ci dice due cose:
a) le relazioni vissute nella autenticità e nella condivisione sono generative di vita. Le relazioni sane non si chiudono mai in un intimismo sterile, ma aprono al desiderio di condividere con gli altri ciò che fa bella la propria vita! Infatti, anche se spinti da Gesù, i discepoli alla fine tirano fuori i pani e i pesci!
b) ogni luogo, situazione, stagione esistenziale o storica come quella attuale è sempre una terra nella quale è possibile far germogliare l’”erba verde” della vita e dell’amore e lì “sedersi” in armonia con gli altri. Quando le relazioni sono vissute nella condivisione, nella fiducia, nell’autenticità i frutti di nuova vita arriveranno.
Ripensiamo alle nostre relazioni: famiglia, amici, colleghi, comunità cristiana, compagno/a, fidanzato/a, moglie, marito … non sempre tutto è spontaneo e facile. Dobbiamo essere realisti, riconoscendo le difficoltà. Ma chi sente che Gesù gli ha messo in tasca più di cinque pani e due pesci può trovare il modo di rigenerare il deserto per vivere le relazioni nello stile di Gesù.
Tre punti su cui riflettere in pratica:
il desiderio dell’altro, cioè la chiamata a vivere le relazioni: la mia apertura alla vita, all’incontro, alla condivisione; il mio uscire da me stessa/o per incontrare la vita;
il riconoscimento del mio esserci, esistere, capace come sono di comunicare e scambiare: il riconoscimento che mi è stato donato, quello che è stato possibile, quello negato, che mi ha ferito. Il riconoscimento di cui io sono capace verso me stessa/o; il risconoscimento che do agli altri per costruire relazioni sane e feconde;
l’accoglienza di cuore che riesco a donare, lo spazio che realizzo per l’altro, il mio modo di entrare in punta di piedi nello spazio che l’altro ha preparato per me; il mio diventare dono per l’altro…
L’esercizio:
Siccome il sorriso è il segno dell’incontro piacevole disegno una mappa dei sorrisi: segnando con semplicità su un foglio le persone con le quali siamo in relazione più o meno stretta mettiamo accanto l’emoticon del “sorriso” o un’altra che esprima il senso della relazione; con qualche appunto vicino ad indicare il passo che potrà avvicinare alla luce della condivisione. E provo magari anche a dare un colore, un profumo, un sapore alle mie relazioni.
> Le slide su 4 parole per ripartire: Comunità (file PDF)