Historia docet. Il diritto romano e il dibattito attuale sul matrimonio gay
Articolo di Robert Frakes* tratto da History News Network (Stati Uniti), 19 febbraio 2006, liberamente tradotto da Alberto Sonego
Il fatto che stiano continuando le misure legislative che tentano di proibire il matrimonio gay mostra che quest’argomento, così critico nelle nostre ultime elezioni nazionali, rimane una tematica controversa.
Poiché molte delle nostre istituzioni politiche, tuttavia, derivano da precedenti istituzioni fondate dagli antichi Romani, forse un’occhiata veloce alle leggi di questi riguardo all’omosessualità può essere utile ad illustrare che cosa sta in parte guidando le attuali controversi in merito alle unioni gay negli Stati Uniti.
Mentre il mondo degli antichi Greci sembra aver tollerato l’omosessualità (come si può comprendere dalle poesie di Saffo e dai dialoghi di Platone), riguardo ad essa i Romani erano ben più cauti. I Romani, nel periodo repubblicano e nei primi anni dell’impero, tendevano a percepire l’accettazione (tutta greca) dell’omosessualità maschile come inferiore alla maschilità stessa e, perciò, letteralmente non-virtuosa (essendo “vir” il termine latino per “uomo”, appunto). Senza dubbio, uno dei termini usati dai Romani per indicare gli effeminato fu “Greculus” (cioè, “piccolo greco”).
La prima legge dei Romani riguardo all’omosessualità sembra essere stata la Lex Scantinia, che fu approvata dall’assemblea ad un certo punto dell’epoca repubblicana (forse, durante il II sec. a.C.).
Nonostante il testo di questa legge non sia sopravvissuto, i giuristi latini del II e del III sec. d.C. descrivono come questo provvedimento avesse decretato criminoso lo stupro omosessuale di giovani cittadini romani. Le unioni omosessuali (maschili o femminili) consensuali apparentemente non sembravano essere messe in discussione o proibite.
Nonostante in merito a ciò sia ancora in corso un dibattito tra gli studiosi, la letteratura latina repubblicana e del primo impero suggerisce che gli uomini che si fidanzavano ed avevano un rapporto omosessuale tra di loro erano spesso disprezzati come deboli e poco maschili, ma i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso non erano illegali.
Ciò sarebbe cambiato nel corso dell’epoca tardo-imperiale. Mentre i primi tre secoli di impero non contavano la presenza di legislazioni (almeno, per quanto ne sappiamo) riguardo all’omosessualità, a parte la continuazione della Lex Scantinia come evidenziato attraverso citazioni della stessa da giuristi latini, nel IV sec. ci sarebbero state nuove e drammatiche leggi concernenti al condanna dell’omosessualità maschile.
Molti studiosi interpretano una legge del 342 d.C. conservata sia all’interno del Codice di Teodosio che in quello di Giustiniano come un decreto degli imperatori Costanzio II e Costante, che stabilirono appunto che il matrimonio basato sul sesso “innaturale” dovesse essere punito severamente.
Nonostante lo stesso Costante fosse stato in seguito denunciato per aver avuto amanti maschili, questo trend di condanna dell’omosessualità da parte degli imperatori continuò. In una legge del 390 d.C., reperibile all’interno del Codice di Teodosio e della Lex Dei (la “legge di Dio”), gli imperatori Valentino, Teodosio ed Arcadio ordinarono che qualunque uomo sorpreso a fare la parte della donna in un rapporto sessuale venisse pubblicamente bruciato vivo.
Queste leggi dimostrano senza alcun dubbio un cambiamento rispetto al periodo repubblicano in cui lo stupro omosessuale era sì condannato, ma i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso erano tollerati, anche se a volte derisi.
Perché si è verificato questo cambiamento? La risposta giace in ultima analisi nei risultati delle azioni del famoso imperatore romano Costantino. Nel 312 d.C., il padre degli imperatori Costante e Constazio II, proclamò la cristianità base della sua autorità. Nel corso dei successivi 25 anni del suo regno, Costantino sostenne la cristianità e diede aiuti finanziari alla Chiesa, imponendo tra l’altro compiti legali ai poteri di alcuni vescovi.
Man mano che i suoi figli crescevano in una società sempre più cristiana, questi e molti dei loro consiglieri sarebbero cresciuti, appunto, attraverso le leggi della Bibbia. Perciò, i passi del libro del Levitico (18.22, 20.13) contro l’omosessualità maschile quale abominio punibile con la morte agli occhi di Dio, devono aver logicamente giocato un ruolo decisivo sugli scrittori della legge imperiale.
Tali idee legate all’omosessualità sono state rinforzate nel Nuovo Testamento (Romani 1, 24-27). Così pare che la crescente influenza della Bibbia in quello che ormai si stava profilando come un impero Romano-Cristiano abbia portato gli imperatori a condannare le unioni omosessuali.
Quando oggi guardiamo agli svariati tentativi di proibire i matrimoni omosessuali negli Stati Uniti, dobbiamo far luce su quali sono le premesse a tali misure. Se l’indicazione a vietare il matrimonio omosessuale proviene della Bibbia ebraica, e la sua conferma come verità divina dai cristiani, non dovrebbero esserci leggi che proibiscano il matrimonio omosessuale, stando alla religione?
Ma se così dovesse essere, una legislazione siffatta potrebbe costituire il tentativo di demolire quel “Muro di Separazione” tra Chiesa e Stato, quello stesso muro che Thomas Jefferson descrisse come l’aspetto essenziale del governo.
* Robert Frakes insegna nel Dipartimento di Storia della Clarion University (Stati Uniti) dal 1991. È l’autore di Contra Potentium Iniurias: The Defensor Civitatis and Late Roman Justice (Contra potentium iniuras: il difensore della città e la giustizia della tardo-antichità, 2001) e di Writing for College History (Scrivere storia per il college, 2004).
Testo originale: Why the Romans Are Important in the Debate About Gay Marriage