Dalla violenza alla compassione (Mt 14,10-14)
Riflessioni del Rev. David Eck Asheville* tratte dal blog jesuslovesgays (Stati Uniti), 13 luglio 2012, liberamente tradotte da Adriano C.
“Erode mandò a decapitare Giovanni in prigione. La sua testa fu portata su un piatto e dato alla fanciulla, che la portò a sua madre.
E i discepoli di Giovanni andarono a prenderne il corpo e lo seppellirono; poi vennero a informare Gesù.
Udito ciò, Gesù si ritirò di là in barca verso un luogo deserto, in disparte; le folle, saputolo, lo seguirono a piedi dalle città. Gesù, smontato dalla barca, vide una gran folla; ne ebbe compassione e ne guarì gli ammalati.” (Matteo 14:10-14)
Gesù è stato vittima di violenza. Il suo miglior amico e parente, Giovanni Battista, fu decapitato per coprire il peccato di adulterio di Erode e il suo errante occhio lascivo.
Quando Gesù udì la notizia della morte di Giovanni, fece ciò che la maggior parte di noi fa quando la violenza mostra la sua brutta faccia nella nostra vita: si ritirò in un “luogo deserto” in lutto, per piangere, per sfogarsi, per pregare e rimanere un po’ a guardare lo spazio esterno con lo sguardo assente.
La cosa interessante da notare è che Gesù non sta in questo luogo solitario per sempre. La sua compassione lo riporta indietro nel nostro mondo violento, dove diventa una fonte di guarigione per gli altri.
La storia si conclude con il più grande miracolo di Gesù mai eseguito… il nutrimento di cinquemila persone. [Prendetevi un po’ di tempo per leggervi la narrazione in Matteo 14].
Quello che mi colpisce di questa storia è che la violenza capita a tutti. Cerchiamo di isolarci da essa ma ad un certo punto o in un determinato momento la violenza avrà un effetto sulle nostre vite. Questo è particolarmente vero per la comunità lesbica, gay bisex e trans (LGBT).
Potrebbe essere la violenza di un attacco verbale o l’essere vittima di bullismo a scuola. Potrebbe essere la violenza di un crimine d’odio o il vandalismo su nostre proprietà personali. Ma non ti fare illusioni, la violenza arriva in un punto o nell’altro della nostra vita.
Quando diventiamo vittime della violenza la nostra naturale inclinazione è quella di ritirarci. Questo è un bene nel momento in cui facciamo circolo intorno a noi per sentirci sicuri, per cercare sostegno e per piangere un lutto.
Tuttavia non possiamo rimanere in un “luogo deserto” per sempre. Ad un certo punto avremo la necessità di rientrare e tornare di nuovo a vivere nel nostro mondo violento.
La domanda che ci dobbiamo fare a quel punto del nostro cammino è se vogliamo diventare una parte della soluzione o una parte del problema.
Combatteremo la violenza del nostro mondo con ulteriore violenza oppure sarà la nostra compassione a chiederci di amare i non-amati, a curare gli abusi e a nutrire coloro che sono affamati nel corpo, nella mente e nello spirito?
Potrebbe anche essere la scelta più importante che faremo nella nostra vita.
Testo originale: From Violence to Compassion