Dov’è lo scandalo se l’elemosiniere del Papa aiuta delle persone transessuali in difficoltà?
Lettera inviata al direttore Marco Tarquinio pubblicata sul giornale Avvenire del 17 maggio 2020, pag. 2
Caro direttore, c’è chi grida allo scandalo, chi con espressione severa e volto contrito non nasconde dissenso e riprovazione. Lo stupore si può capire: un cardinale, Konrad Krajewski ovvero il «braccio caritativo» di papa Francesco, nei giorni scorsi ha inviato aiuti per sostenere un gruppo di transessuali vittime dell’emergenza coronavirus.
Si tratta di una comunità che risiede a Torvaianica, litorale romano, sostenuta quotidianamente dal locale parroco Andrea Conocchia. Eppure dovrebbe essere la regola, recare conforto e incoraggiamento a quelle che lo stesso Francesco ha messo fin dall’inizio al centro del suo pontificato: le «periferie geografiche ed esistenziali». Quella comunità ha ricevuto un po’ degli aiuti di cui necessita. Dunque, passi lo stupore. Ma non il dissenso, la riprovazione. E se “scandalo” costituisce, benedetto sia.
Lo ricordiamo tutti, vero, il monologo di Shylock, nel terzo atto de “Il mercante di Venezia” di Shakespeare? «… Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni? Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano?...». Sostituiamo ebreo con qualunque “ultimo” di questa terra, “trans” compreso: il monologo non perde nulla della sua attualità, pur se scritto quattrocento e passa anni fa. La sete di misericordia, è la stessa; ed eterno il monito a non giudicare e condannare, se non si vuole essere giudicati e condannati.
Del resto, nel Vangelo di Giovanni c’è un passaggio significativo: un gruppo di facinorosi trascina una donna davanti a Gesù. È un’adultera, gli scribi e i farisei vogliono mettere Gesù in difficoltà. “Ha peccato“, sostengono. “La Legge dice di lapidarla, tu che dici?“. Evidente tranello: andare contro la Legge, o far prevalere le ragioni della misericordia? Gesù sembra non ascoltarli: chinato, scrive per terra, non dà soddisfazione al loro livore. Quelli insistono.
Alla fine la risposta, che mette a nudo ipocrisie, falsi perbenismi: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei“. Torna a scrivere per terra (non ci viene tramandato cosa; peccato). Scribi e farisei se ne vanno. Rimasto con la donna, Gesù chiede : “Nessuno ti ha condannata?“. Nessuno, risponde la donna. Nemmeno Gesù condanna. Non impone, non risponde, non argomenta; lascia che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Alla donna raccomanda solo di non peccare più, ma col suo silenzio parla anche a scribi e farisei: anche per loro, la possibilità di essere, in futuro, meno scribi, meno farisei…
Un paragone improprio, ardito? Non siamo dottori della Chiesa, non vogliamo esserlo. Allora, indossiamo i panni che ci sono più propri: quelli laici attenti alle cose “terrene”. Le cose “terrene” per esempio, sono un’inchiesta del marzo 2015: il nucleo dei carabinieri di Frascati scopre una “tratta” di trans dall’Argentina, arresta undici persone.
I “chicas” sono sottoposti a cure ormonali, poi fatti prostituire sul litorale. Uno di loro, disperato, si uccide buttandosi dalla finestra di un appartamento di Torvaianica; giovanissimo, come tanti altri transessuali argentini: vittime di indicibili soprusi e violenze fisiche e psicologiche da parte dei loro sfruttatori.
Gente pericolosa, senza scrupolo alcuno.
Hanno comperato i ragazzi per qualche migliaia di euro da una banda italo-argentina che ha messo in piedi un traffico internazionale di esseri umani. Hanno 17-18 anni: “ospitati” nel famoso Hotel Gondolin del quartiere Palermo di Buenos Aires, sottoposti a massicce cure ormonali e interventi di chirurgia plastica eseguiti da medici complici, trasformati in transessuali, infine “spediti” in Italia, a Roma, costretti a prostituirsi.
Gli sfruttatori costringono le “chicas” a “lavorare” con la cocaina nella borsetta, da consumare, se richiesta, con i clienti. Quanti degli scribi e dei farisei che hanno scagliato la loro pietra contro il cardinale Krajewski, (e di fatto contro papa Francesco), hanno prestato una briciola della loro attenzione, del loro sdegno e del loro scandalo a storie come quella che che abbiamo sommariamente raccontato?
Maria Antonietta Farina Coscioni, presidente dell’Istituto Luca Coscioni
Valter Vecellio, giornalista e scrittore
Cara presidente Farina Coscioni, caro Valter, è proprio così: se scandalo davvero c’è stato per un soccorso cristianamente portato a chi era in drammatica difficoltà, è stato certamente uno scandalo benedetto. Come benedetti sono tutti gli scandali non cercati per vanagloria, ma generati dalla serena contraddizione della “logica del mondo” e anche di perbenismi senza cuore – che non sono affatto propri della gente per (il) bene.
Devo dire, però, che stavolta dello scandalo non ho sentito grande eco o, peggio, lo sferragliare. Solo qualcosina.
Meglio così, anche se spero che parecchi possano aver laicamente e cristianamente riflettuto oppure comincino a farlo ora su uno dei tanti gesti di soccorso del Cardinal Krajewski, l’uomo di Dio che fa arrivare la carità del Papa in ogni dove; ma, prima ancora, sulla linearità evangelica di un parroco, don Andrea Conocchia, che ha semplicemente seguito il suo Signore e l’ha riconosciuto nel volto di chi poveramente stava alla porta della sua chiesa in Torvaianica, litorale romano, diocesi di Albano.
Stavolta, Cristo povero era nei volti delle persone transessuali delle quali, con cruda eppure delicata efficacia, avete appena richiamato nella vostra lettera l’umanità, la storia tormentata e la presente e acuta fatica di vivere. Persone che, come troppe altre, sono state ridotte alla fame nei giorni del lockdown e che si sono rivolte alla parrocchia per un aiuto materiale (e non solo). Ottenendolo. Persone che hanno scritto e inviato piccoli video a papa Francesco. Trovando risposta.
Nulla di strano o di nuovo. Padre Konrad, il cardinale elemosiniere, porta aiuti – o, come in questo caso, li manda – in ogni dove: carità a tempo pienissimo. E don Andrea, in totale “complicità” col vescovo Marcello Semeraro che lo ha incoraggiato a servire anche queste persone transessuali «due volte povere» e «infinite volte sfruttate», ha fatto ciò che fa ogni giorno per centinaia di famiglie, diverse tra loro, ma tutte ugualmente ferite e nel bisogno. È, diciamo così, un esperto di ferite: in quel di Anzio, prima di andare parroco a Torvaianica, si era dedicato anche a quei papà separati senza più tetto e prospettiva che la sua diocesi accoglie in ima casa allestita per loro, per aiutarli a ricominciare. Tutto questo accade, anche se non fa rumore.
Avete citato, gentili amici, nella vostra lettera, il Bardo e l’evangelista Giovanni. Io provo a resistere alla tentazione di citare per intero quell’inno alla carità di trascinante e poetica chiarezza che ci ha consegnato san Paolo, ma a qualche versetto non rinuncio: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». (I Cor 13,4-7).
Ecco. Possiamo liberamente scegliere di essere giusti e generosi del poco o tanto che abbiamo, ma se non impariamo – e non è scontato che accada – ad accettare la persona che ci sta davanti per quella che è e non per quella che vorremmo che fosse, se non accettiamo il rischio di vederla e di rispettarla (non uso di proposito l’espressione “di amarla”: magari mi sbaglio, ma credo che l’amore umano venga solo con la conoscenza) non saremo mai giusti sul serio e quella nostra selettiva e persino sentenziosa “generosità” sarà un altro nome della presunzione.
Come insegna il Papa e come, prima di lui, mi aveva francescanamente raccomandato mia nonna, anch’io sto ancora imparando a “non scegliermi” il povero più gradito e simpatico lungò il cammina e a non distogliere lo sguardo quando un altro o un’altra mi tendono la mano.
Ma persino io, ormai, ho capito che sono proprio quelle povere mani tese che ci salvano, che ci impediscono di cadere e di perderci. Tutte, di chiunque siano. Dio usa anche quelle mani e ama farci di queste sorprese: spesso difficili, a volte scandalose, sempre buone.
Marco Tarquinio, direttore di Avvenire