La CEI difende l’omofobia? O ha paura di se stessa?
Riflessioni di Massimo Battaglio
Non bastavano le obiezioni al progetto di legge contro l’omofobia sollevate da tutte le destre. Erano insufficienti gli strilli delle associazioni cattolicanti più o meno tradizionaliste. Non bastano le sentenze di qualche prete o qualche vescovo. Occorreva che, a ostacolare il nostro percorso di civiltà, pensasse la stessa Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ripetendo i medesimi inconsistenti argomenti.
Una nota del 10 giugno scorso, singolarmente diramata subito dopo i pronunciamenti del vescovo Suetta di Ventimiglia, ne ricalca sostanzialmente i contenuti. Contenuti che chunque potrebbe facilmente smontare ma che rischiano di ostacolare il percorso di una giusta legge che attendevamo da decenni. Proviamo a commentarla.
“Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde, sottolinea Papa Francesco, mettendo fuorigioco ogni tipo di razzismo o di esclusione come pure ogni reazione violenta, destinata a rivelarsi a sua volta autodistruttiva. Le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale – costituiscono una violazione della dignità umana, che – in quanto tale – deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking… sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini”.
Verissimo, anche se si capisce benissimo che siamo davanti a una captatio benevolentiae. Visto l’argomento, sembra di sentire l’eco di tutti quei “non ho nulla contro i gay. Ho tanti amici gay ma…”
“Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio”.
Questo è assolutamente falso. In Italia, ancora oggi, i trattamenti pregiudizievoli, le minacce, le aggressioni eccetera fondate sull’orientamento sessuale sono trattati alla stregua di fatterelli di delinquenza comune. Dunque, non si riconosce la loro maggior gravità. Gravità dovuta sia all’abiettitudine della motivazione, sia al maggior danno che la vittima subisce.
“Questa consapevolezza ci porta a guardare con preoccupazione alle proposte di legge attualmente in corso di esame presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati contro i reati di omotransfobia: anche per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni”.
La CEI condanna tutte le forme di discriminazione e poi si dice di essere preoccupata per un progetto di legge che tende a combatterle? E perché? Perché “non esistono lacune”? Hanno presente, le Loro Eccellenze, come si è conclusa la maggior parte dei procedimenti giudiziari contro autori di aggressioni omofobe?
Piccole condanne per “lesioni”, senza nessun riconoscimento della gravità dei fatti. E gli atti discriminatori senza uso di violenza fisica? Persone rovinate per sempre a causa di trattamenti diffamatori sono state liquidate, dopo anni di processo, con un risarcimento di qualche centinaio di euro. E questa sarebbe giustizia?
Nasce il sospetto che la “preoccupazione” che la CEI esprime sia tutta volta alla protezione del proprio personale. Preti, insegnanti, avvocati, abituati a parlare di omosessualità in termini gravemente diffamatori, che, grazie alla nuova legge, si troverebbero infatti a dover riformulare come minimo il loro linguaggio. Il che, bisogna riconoscelo, è piuttosto gravoso, soprattutto quando non si ha una formazione adeguata.
“Un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte”.
Per esempio? Quale sarebbe l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni? L’omofobia è punita in Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Romania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Serbia. Fuori Europa, si segnalano: Australia, Canada, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Isole Figi, Iraele, Sudafrica. La CEI ha nozione di atti “discriminatori al contrario” registrati in quelle terre? Se sì, argomenti. Se no, non dica bugie.
“[ si finirebbe col] sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso.”
Ma quando mai?! Sostenere una tale opinione è solo sciocco, superficiale ma non è offensivo! In assenza di offesa, non vi è reato e quindi non vi è aggravante al reato. Questa obiezione è veramente demagogica e carica di malafede. Di nuovo: tende solo a proteggere chi va ben oltre l’espressione di un’opinione. Punta a giustificare le De Mari, gli Adinolfi, i Gandolfini, abituati a condire i loro discorsi con epiteti dispregiativi o falsità. E finisce per assolvere chi licenzia un gay in quanto tale, chi gli nega una casa in affitto, chi lo denigra magari in televisione o a mezzo stampa.
“Crediamo fermamente che, oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore, si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione. Prevenzione che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto”.
Rigraziamo le Loro Eccellenze di aver chiarito che non ci scomunicheranno. Un po’ meno per il solito richiamo all’educazione. Se gli educatori sono quelli che hanno in mente loro, non siamo ben messi.
Nella misura in cui tale dialogo avviene nella libertà, ne trarranno beneficio tanto il rispetto della persona quanto la democraticità del Paese.
Frase oscura, ai limiti del minaccioso. Di quale libertà si parla? E del rispetto di quali persone? Di quelle realmente discriminate, picchiate, uccise, o di quelle che reclamano il diritto di esprimere i loro pregiudizi e il loro odio? E’ deplorevole, di fronte a chi viene quotidianamente privato delle sue libertà fondamentali, invocare piccine “libertà di espressione”. Deplorevole umanamente; ancor più per chi si dice cristiano. Gesù infatti, di fronte a un conflitto di diritti, è molto chiaro: sceglie il più debole.
“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle” (Mt23,23).
Quanto alla democrazia: sarà garantita quando i vertici della Chiesa, e la stessa CEI, cesseranno di partecipare alla vita civile utilizzando il metodo dell’ingerenza politica.
Sia ben chiaro: non desidero una Chiesa muta sulle questioni civili. Ma non mi sento meno cristiano nè poco cattolico se mi permetto, come ritengo doveroso, di criticare i vescovi e la CEI quando esmprimono opinioni politiche strampalate. In quanto laico, non ho promesso loro obbedienza. E anche se lo avessi fatto, la mia obbedienza sarebbe in materia di fede, non di politica.