Sessualità, tra peccato e grazia
Articolo di Emma Ascoli, volontaria del Progetto Evangelici
“Pecca fortier, sed crede fortius” scriveva Lutero nel XVI secolo, una frase che i riformati conoscono bene e dalla quale vorrei partire per parlarvi dell’accoglienza e dell’inclusione della comunità LGBTQI+ all’interno delle nostre realtà evangeliche. La mia riflessione, lungi dall’essere innovativa, cerca di riassumere il pensiero di teologi e teologhe lungo l’ultimo ventennio, partendo dal piccolo opuscolo “Protestanti e sessualità” – scritto da Franca Long ed edito dalla Claudiana nel 1998 – e dalla nuovissima uscita – per la collana Piccola Biblioteca Claudiana – “Un percorso a spirale, teologia femminista: l’ultimo decennio” della pastora battista Elizabeth E. Green.
Non sarà passato inosservato che nessuno dei due titoli rimanda esplicitamente alle tematiche LGBTQI+, e vi assicuro che non si tratta di una svista, entrambi i volumi si occupano di specifiche tematiche, ma comprendono al loro interno capitoli dedicati all’omosessualità. Le tematiche Queer sono infatti legate a stretto giro tanto con la sessualità, di cui sono uno spicchio, quanto con il femminismo, il cui collegamento è forse invece meno intuitivo. Ci vengono a tal proposito incontro le parole di Elizabeth E. Green che nelle pagine 62 e 63 del suo libro, all’interno del capitolo quinto “Da chiese e omosessualità, alla teologia queer”, scrive:
“Le dinamiche del dominio maschile non solo si estendono al di là delle categorie del genere per investire altre diversità, ma tra queste diversità viene investita in modo speciale l’identità sessuale. In altre parole (…) la società patriarcale mette al centro della propria organizzazione tanto la maschilità quanto l’eterosessualità”
Ma andiamo per ordine. In quanto evangelici siamo chiamati a mettere al centro di ogni nostra riflessione le Scritture e dall’analisi di queste emerge una fondamentale riflessione:
“Una differenza tra l’etica cattolica e l’etica protestante – scrive Franca Long- è che per i cattolici di solito il peccato è ciò che si oppone alla virtù, nel pensiero protestante l’opposto del peccato è la Fede.”
Siamo di nuovo al punto di partenza, cosa intendeva quindi Lutero quando 500 anni fa scriveva “pecca fortier, sed crede fortius”? Il pensiero protestante riformato vede il peccato non come un qualcosa di evitabile, da rifiutare ed al quale contrapporre l’esercizio di virtù, quanto piuttosto una condizione umana inevitabile dalla quale siamo riscattati dall’annuncio della Grazia di Dio e mediante l’esercizio della Fede. Capire questo punto focale dell’ottica evangelica è fondamentale per comprendere come orientare la riflessione circa l’accoglienza della comunità dei credenti e delle credenti LGBTQI+.
È necessario dunque scardinarci da un’idea di gradazione di peccato, che, del tutto estranea dal pensiero evangelico, è costruita invece nel nostro inconscio fin dai tempi della Commedia Dantesca, coeva – o quasi – di quel Concilio di Lione (1274) che introdusse nella dottrina cristiana il nascente concetto di “purgatorio”.
“Noi ci opponiamo ad ogni gradazione del peccato, in particolare a quella che farebbe dell’omosessualità una manifestazione del peccato. Il peccato, in senso biblico, non deve essere compreso come azione reprensibile o come un orientamento personale, ma come l’attitudine ad allontanarsi da Dio”.
Questa la tesi 14 tratta dalle “95 tesi per l’accoglienza delle minoranze sessuali in nome del Vangelo” scritte nel 2012 da Richard Bennahmias, Joan Charras-Sancho, Joel Dahan, Jurgen Grauling, e qui presentate nella traduzione a cura di Gabriele Bertin.
Nessuno e nessuna di noi è esente dal peccato, come non lo è da questo preconcetto che porta ad ordinare le azioni tra più e meno gravi, specie quando si parla di sessualità. A lungo canonisti i medievali si sono interrogati sulla gravità di tali peccati, il teologo Alberto Magno addirittura stilò un elenco in ordine di gravità delle posizioni sessuali (si veda https://www.youtube.com/watch?v=wBgCDgSauXw).
Potrebbe sembrare che io mi sia allontanata dalle tematiche LGBTQI+ eppure non è così, a mio avviso infatti il focus del “presunto problema” è la paura della sessualità, paura nata partire dall’età ellenistica. All’interno della cultura greca antica infatti, si diffonde l’idea di una separazione tra anima e corpo, all’interno della quale tutto ciò che è corporale viene visto come peccaminoso.
Eppure “La storia dell’umanità comincia con la creazione dei corpi, non con il peccato originale” (Franca Long), ed anzi la religione cristiana parla di un Dio che si è fatto Uomo, che ha sperimentato la vita corporale e terrena, che è realmente morto e realmente resuscitato. Nulla della vita e nell’opera di Cristo permette di giustificare una denigrazione dei corpi.
Vorrei citare a tal proposito un episodio per tutti: la guarigione della donna afflitta da perdite di sangue – grave segno di impurità per la cultura giudaica-. In questo episodio, riportato in tutti i sinottici (Mt 9,20 Mc 5,22 Lc 8,43), vediamo Gesù, toccato dalla donna, dichiararla guarita in virtù della sua fede. I quattro Vangeli sono pieno di episodi come questo, episodi in cui Gesù rompe e supera le antiche leggi sull’impurità.
Siamo chiamati all’accoglienza del nostro corpo, alla consapevolezza che la nostra condizione di peccatori ci pone tutti e tutte sullo stesso piano e che solo la Grazia di Dio ci salva. Vorrei concludere quindi cintando ancora una delle “95 tesi per l’accoglienza delle minoranze sessuali in nome del Vangelo”, la numero 40 che così dice:
“Noi riconosciamo nei piaceri, nelle gioie, nelle sorprese e nelle infinite meraviglie condivise che ci procura una sessualità vissuta nel rispetto, nella reciprocità e nell’amore, delle manifestazioni tangibili della Grazia.”
Alla luce di tutto ciò appare evidente che dovremmo cominciare ad uscire dalle dinamiche di “accoglienza” nei confronti delle persone appartenenti alla comunità LGBTQI+, poiché presuppongono, come sottolinea Elizabeth E. Grenn nel suo ultimo volume (p. 65), che siano le chiese ad accogliere quando è vero invece il contrario: sono le persone tutte, che formano la Chiesa.