No ai limiti, ma si alla ricerca di soluzioni e alla pastorale per contrastare l’omofobia
Lettera al direttore di Avvenire di padre Pino Piva, sj pubblicata su Avvenire il 19 giugno 2020, pag.2
Gentile direttore sento ancora una volta il dovere e il piacere di ringraziarla per come “Avvenire” continua a essere luogo di confronto serio, libero e attento tra posizioni diverse all’interno della Chiesa italiana; anche ora, nella discussione circa l’eventuale e futura proposta di legge di contrasto all’omotransfobia che, come dice il professor D’Agostino nell’editoriale di prima pagina del 17 giugno, «non è un’invenzione del movimento Lgbt, né una dinamica sociale irrilevante».
Mi ha stimolato a scriverle la lettera del signor Antonio di Lerici (“Avvenire”, 18 giugno 2020). In essa si auspica che «su argomenti così delicati e complessi» si sappia «ascoltare il giudizio di chi è competente per studi e formazione, anziché affidarci alle emozioni». E si aggiunge: «A leggere certe posizioni sembra che siamo tutti giuristi…».
Non mi trovo d’accordo con l’amico lettore, perché su un argomento come questo non sono implicati solo aspetti giuridici, ma anche sociali (come lo stesso D’Agostino ammette, esprimendo la sua opinione che – in ambito di analisi sociale – rimane una opinione come un’altra di un non sociologo); pastorali (ed è per questo che la presidenza della Cei ha predisposto un comunicato); psicologico-antropologici; personali, riguardanti cittadini con nome e cognome direttamente interessati.
Cittadini che con il loro vissuto sofferto e adeguatamente espresso – anche emotivamente – danno consistenza sociale, pastorale, psicologica e – quindi – anche giuridica, a un progetto di legge che deve rispondere al bisogno di
cittadini concreti e reali. Se non fosse così, perché la presidenza della Cei avrebbe dovuto esprimere un comunicato?
Non credo ci siano “giuristi” tra i membri della Presidenza Cei. Ma anche lo stesso professor D’Agostino, filosofo del diritto, d’altra parte dimostra di non saper molto di psicologia (annoverare la bisessualità e la transizione di genere tra le “parafilie” è un errore) proprio perché, parafrasando il caro signor Antonio, “sembra che siamo tutti psicologi“.
Voglio per questo riprendere un’idea di D’Agostino che condivido fortemente: nella discussione in ambito sociale, ecclesiale – e quindi anche giuridico – sull’opportunità o meno di norme di contrasto dell’omotransfobia, è molto importante «non porre limiti alla ricerca antropologica, per delicata che essa sia, su temi che solo da poco sono emersi alla coscienza di tutti e che richiedono ancora lunghi e seri approfondimenti. Una ricerca antropologica sulla sessualità umana, purché scientificamente seria, non può mai avere un carattere violento o aggressivo: merita rispetto, sia che promuova i valori del movimento Lgbt sia che ne mostri i limiti o gli errori»; e io aggiungerei, proprio perché siamo in un contesto sociale laico di bene comune, “sia che promuova i valori o le posizioni pastorali – non dottrinali – dei vescovi italiani, sia che ne mostri i limiti”.
La stessa cura pastorale dei vescovi per le persone omosessuali, come gli estensori della proposta di legge, non potrebbero che trarne grande giovamento.