“Diventerete una benedizione!”(Gen 12,2). Riflessioni teologiche ed etiche sulla benedizione delle coppie omosessuali
Estratto dal testo di Martin M. Lintner OSM*, contenuto nel saggio cattolico “Benediktion von gleichgeschlechtlichen Partnerschaften” (La Benedizione delle coppie omosessuali), curato da E. Volgger e F. Wegscheider (Austria), editore Puster, anno 2020, pp.67-93, liberamente tradotto da Antonio De Caro
1. Introduzione: la prospettiva di una teologia morale empatica (pp. 67-69)
Durante il sinodo del 2015 i vescovi di lingua tedesca hanno chiesto perdono poiché il tentativo di difendere ostinatamente la dottrina e l’autorità della Chiesa si è tradotto in atteggiamenti pastorali duri e spietati, che hanno a loro volta prodotto grande sofferenza in molte persone, come gli omosessuali. Le persone che non corrispondono alle aspettative morali della Chiesa hanno subito ferite, dolore, umiliazione ed emarginazione.
Consapevoli della dimensione sociale del peccato e della riconciliazione, i vescovi di lingua tedesca hanno auspicato il passaggio da una teologia morale ossessionata dal peccato ad una teologia morale empatica, cioè sensibile alle sofferenze delle persone.
Una teologia concentrata sul peccato ha danneggiato l’immagine del Dio buono e giusto, un Dio sensibile alle sofferenze delle sue creature, rivelato da Gesù Cristo; e ha prodotto una religione più chiusa nella ricerca narcisistica di una “purezza” solitaria e meno aperta a condividere e curare le sofferenze degli altri. Solo una teologia empatica può suscitare empatia e quindi la disponibilità a farsi carico delle sofferenze degli altri.
2. L’omosessualità: una tortura della Chiesa (pp. 69-77)
Persona humana, dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede (1975), tenta un approccio meno offensivo all’omosessualità, evitando per esempio il termine “sodomia”; e distingue fra tendenza omosessuale, che in quanto modo di essere non costituisce peccato, e le azioni omosessuali, che invece vanno considerate peccati gravi. La Cura pastorale delle persone omosessuali (1986) ribadisce la stessa distinzione.
Papa Francesco, dicendo “chi sono io per giudicare?” (luglio 2013), ha implicitamente affermato che occorre guardare alla persona nella sua integrità, al suo rapporto con Dio e alla sua ricerca del bene. Ma i due sinodi dei Vescovi (2014 e 2015) hanno escluso dalla relazione finale gli accenni ai doni e alle qualità che le persone omosessuali possono portare alla comunità cristiana; e al sostegno reciproco che, anche in una relazione omosessuale, può essere un prezioso aiuto per il partner.
La versione approvata e poi confluita in Amoris laetitia mantiene un profilo negativo: accogliere le persone omosessuali NON vuol dire approvarne il comportamento, e le loro relazioni NON vanno paragonate al matrimonio. Papa Francesco, tuttavia, ha aperto uno spazio di attenzione pastorale per le famiglie e i genitori delle persone omosessuali (§250).
Occorre anche citare i §272 e 279: parlando di persone che vivono in una relazione non regolare rispetto all’ideale cristiano del matrimonio, il Papa afferma che la Chiesa ha il dovere di aiutarle e di includerle nella vita della comunità, in qualunque situazione si trovino; questo vale soprattutto se i partner si impegnano in una relazione fedele e duratura, fanno il bene, si prendono cura amorevolmente l’uno dell’altro, svolgono un servizio nella comunità in cui vivono e lavorano.
Amoris Laetitia, benché non abbia recepito le istanze più innovative, è molto attenta all’individuo e alla complessità della vita; diffida di una morale fredda che scaglia le norme come pietre sulla vita delle persone, che invece andrebbero comprese ed accompagnate. Una pastorale implacabile rischia di non saper cogliere il bene che lo Spirito Santo suscita anche nelle persone deboli e fragili; la pastorale autentica dovrebbe saper condividere la sofferenza umana: questo dovrebbe valere anche e soprattutto per le persone omosessuali.
La Chiesa, nonostante l’intenzione di trattare le persone omosessuali con rispetto, compassione e delicatezza, rischia di farsi guidare da secolari pregiudizi che offendono le persone omosessuali, provocano in loro ansia e disperazione e impediscono loro di accettare la loro identità sessuale e di viverla in modo evolutivo, per esempio in una relazione sana.
Uno studio, promosso dai vescovi tedeschi, sugli abusi sessuali sui minori da parte del clero cattolico, ha messo in risalto che la severa dottrina cattolica sull’omosessualità ha impedito a molte persone di maturare e raggiungere un buon equilibrio con la propria identità.
La scelta del celibato sacerdotale è apparsa a molti omosessuali come una soluzione, una via di fuga, ma i conflitti non risolti possono poi manifestarsi sotto forma di devianza ed abuso. I fenomeni regressivi e distruttivi sono spesso il risultato di energie negate, rimosse e inibite; di vergogna ed odio per se stessi.
La Chiesa quindi dovrebbe rivedere la dottrina sull’omosessualità, dialogando con le scienze umane e accogliendo le recenti proposte dell’antropologia, dell’esegesi biblica e della teologia morale.
3. La possibilità di una benedizione per le unioni omosessuali (pp. 78-88)
Può una relazione omosessuale essere condannata senza eccezioni come disordinata e peccaminosa? La Chiesa rifiuta l’omosessualità per 3 motivazioni:
a) Essa è un comportamento contro natura, poiché priva la sessualità del suo scopo naturale, cioè la riproduzione.
Risposta: la morale sessuale post-conciliare è segnata dal superamento di una riduzione biologistica della sessualità al solo piano riproduttivo. In natura, come dimostra l’etologia, la sessualità possiede diverse funzioni: per esempio, rendere stabili e strutturate le relazioni sociali e ripartire i compiti necessari per la sopravvivenza. Negli esseri umani, afferma il Concilio Vaticano II, la sessualità serve anche ad esprimere l’amore vicendevole fra gli sposi, poiché la comunità familiare è chiamata a crescere moralmente anche in assenza di figli. Quindi la sessualità come espressione dell’amore fra due partner mantiene la sua dignità e la sua giustificazione morale (Gaudium et Spes 50-51).
Secondo le scienze umane la sessualità segna integralmente una persona, per tutta la sua vita: contribuisce alla scoperta e allo sviluppo dell’identità personale, alla percezione di sé e degli altri, all’esperienza della gioia di vivere, alla costituzione di relazioni, all’integrazione sociale e all’assunzione di responsabilità.
Tutte queste dimensioni di senso (quindi non solo la riproduzione) appartengono alla natura della sessualità. Nel corso della vita, queste dimensioni di senso non sono tutte presenti, sempre e contemporaneamente, nella sessualità di una persona: alcune avanzano, altre arretrano, cioè assumono un maggiore o minor significato.
A volte la sessualità risponde al bisogno di scoprire se stessi, altre volte alla ricerca di appagamento o tenerezza. La comunicazione corporea attesta che «due partner si affidano l’uno all’altro, si stimano, desiderano il benessere e l’appagamento dell’altro e fanno esperienza di essere accolti e confermati proprio in quanto desiderati.
La sessualità diviene espressione e compimento di accoglienza e dono vicendevoli» (p. 80). Tutto ciò è naturale per gli esseri umani e possiede un alto valore morale, anche in assenza di fecondità biologica, poiché fa crescere le persone che, in piena coscienza e libertà, sono disponibili all’amore l’una per l’altra, per una relazione vincolante e duratura che significa anche assumersi la responsabilità l’una dell’altra (p. 81).
b) Essa trasgredisce l’ordine della creazione, poiché nega l’esperienza della complementarietà dei due diversi sessi come li ha voluti il progetto amorevole di Dio.
Risposta: gli studi di genere illustrano che occorre distinguere fra sesso biologico (sex), identità di genere (gender) e orientamento sessuale (desire) e che tra questi tre piani non vi è necessariamente coerenza. Le rilevazioni degli studi di genere, ovviamente, non sono state accolte con favore dal Magistero, poiché tale visione antropologica contraddice quella biblica della polarità dei due sessi, complementari fra di loro.
Il Magistero ravvisa due rischi: che l’identità personale e l’intimità affettiva vengano separate dalla differenza biologica e che l’identità umana sia esposta ad un arbitrio individualistico, che può anche cambiare nel corso del tempo. Ma differenziare fra i 3 piani (sex, gender, desire) vuol dire che essi entrano in una relazione di reciproca integrazione, non che vengano eliminati; ed inoltre il problema non è quello dell’arbitrio, ma della possibilità o del diritto di scoprire, accettare e vivere la propria identità e la propria condizione, che finora non vengono scelte liberamente, a patto che non vengano violati i diritti di altre persone.
Non sappiamo ancora che direzione prenderà questo dibattito: ma in ogni caso la Chiesa non può accontentarsi di liquidare sbrigativamente gli studi di genere come ideologici (al netto di posizioni esasperate e riduttive) senza occuparsi da vicino di domande che hanno una loro ragion d’essere e di situazioni in cui si identificano le persone reali con le loro sofferenze.
c) Essa è la conseguenza di un rifiuto di Dio, come dimostrano i passi biblici.
Risposta: la Bibbia ignora l’omosessualità come inclinazione e parla solo di comportamenti sessuali di uomini che agiscono contro la loro inclinazione eterosessuale.
In Gen 19.1-19 (Sodoma e Gomorra) si tratta di aggressività contro gli stranieri, quindi della violazione delle leggi dell’ospitalità, nelle forme dello stupro. In Lev 18.22 e 20.13 stanno in primo piano l’esigenza di evitare la confusione con altre etnie (e con le loro pratiche idolatriche e magiche) e la protezione della discendenza per rafforzare la propria comunità.
Paolo (Rm 1.26-27 e 1Cor 6.9-10) è influenzato da questa mentalità dell’AT, oltre che dal pensiero stoico (per cui la procreazione era considerata l’unico scopo naturale della sessualità) e dall’esigenza di mantenere inalterato l’ordine patriarcale della società. Inoltre i fenomeni di omosessualità a cui accenna Paolo coincidono con la pederastia, la prostituzione o lo sfruttamento sessuale degli schiavi.
I passi biblici, insomma, ignorano l’omosessualità come condizione; essi vedono la sessualità non come possibilità per esprimere la propria personalità in modo consapevole e responsabile, ma come aspetto delle strutture sociali di potere.
La dottrina della Chiesa sull’omosessualità dovrebbe quindi essere modificata, poiché gli argomenti su cui essa si basa risultano quantomeno fragili. Inoltre andrebbe approfondito il senso etico dell’amore – anche fisico – di due partner omosessuali.
«Nel contesto di un approccio personalistico ed etico che tenga conto dei diversi significati antropologici della sessualità e della dignità e dell’autonomia morale della persona, il criterio decisivo per la valutazione morale degli atti sessuali è se essi sono espressione di amore, cioè sia di amore verso di sé -nel senso di una sana e ordinata auto- accettazione – sia di amore verso il prossimo -nel senso di una libera apertura all’altro come valore in sé-, così che due partner adulti, in una relazione alla pari e con consapevole scelta morale, si rispettino a vicenda e curino il benessere, le sensazioni e la salute dell’Altro» (p. 86).
Secondo il Magistero, solo il matrimonio fra uomo e donna è la dimensione moralmente legittima per l’esercizio della sessualità. Ma molte voci, nel campo sociale come in quello teologico e morale, ritengono che questo rifiuto indifferenziato di ogni attività sessuale vissuta fuori dal matrimonio non renda giustizia alle diverse situazioni umane di intimità.
La qualità morale degli atti sessuali dipende dalla qualità della relazione fra i partner: se cioè gli atti sessuali sono espressione e compimento di una relazione ispirata ad amore, impegno e fedeltà nel tempo e se i diversi valori della sessualità vengono -almeno gradualmente- realizzati.
La sessualità coniugale eterosessuale ed orientata alla procreazione può essere ritenuta la forma più alta di vita di coppia, anche in vista della cura della prole: ma questo non deve comportare la condanna delle altre forme di intimità, in cui la sessualità può maturare verso una dimensione umana e personale (pp. 87-88). Questo è un valore morale, che conduce alcuni studiosi ad affermare che le unioni omosessuali non possiedono una natura morale diversa da quelle eterosessuali e vanno quindi considerate come il matrimonio a tutti gli effetti.
4. A favore di una celebrazione di benedizione per le unioni omosessuali (pp. 89-93)
Se due persone omosessuali, dopo matura riflessione, decidono di assumersi responsabilmente i doveri e i diritti prevista dal loro Stato di appartenenza per le unioni civili o i matrimoni omosessuali, questa scelta ha un valore che la Chiesa dovrebbe poter benedire per motivi teologici, etici e pastorali. ciò però presuppone una correzione della visione del Magistero sulle relazioni omosessuali, correzione auspicabile sulla base di molteplici fattori esegetici, teologici, etici, psicologici, sociologici, scientifici.
In tal modo rimarrebbe valido «l’ideale matrimoniale, con un impegno di esclusività e di stabilità» (AL 34), ma senza escludere che anche altre forme di unione possano realizzare questo ideale almeno in modo parziale e per analogia (cfr. AL 292). Una benedizione per le coppie omosessuali vorrebbe dire che la Grazia può rafforzare il bene morale nella vita comune dei partner (fedeltà, cura, responsabilità, impegno).
«La motivazione per una celebrazione di benedizione risiede quindi nell’azione salvifica di Dio che gli uomini sperimentano dovunque vengono liberati per vivere in pienezza e viene promossa la loro capacità di amore e di relazione, per cui ringraziano e lodano Dio. Pregare per una benedizione è quindi, prima di tutto, espressione di riconoscenza e gioia, perché due persone si sono trovate, si arricchiscono e sono un dono l’una per l’altra; e poi è anche espressione del desiderio e della scelta di coltivare la relazione attraverso la fede, con la speranza e la fiducia che Dio ancora oggi accompagna le persone, migliora la loro vita ed è presente dovunque esse, con amore e responsabilità reciproca, sono disponibili l’una all’altra e trovano gioia l’una nell’altra» (p. 90).
Pregare per una benedizione serve anche a dare un messaggio alla comunità: anche la relazione fra due persone omosessuali può essere esperienza dell’amore liberante di Dio e quindi costituire un valore morale.
Negare una benedizione vorrebbe dire perpetuare la discriminazione e l’accusa, la condanna verso le persone omosessuali, a cui invece va riconosciuta la capacità di coltivare relazioni corrette e mature. Una benedizione avrebbe lo scopo di rafforzare queste risorse, guidando i partner verso la maturazione e la fecondità morale e spirituale e arricchendo la loro relazione per mezzo dell’aiuto di Dio. Perché non dovrebbe essere benedetta un’unione in cui due esseri umani si amano e si accolgono nella libertà, si sostengono a vicenda ed esprimono il loro amore anche nell’intimità corporea?
5. Riflessione conclusiva (pp. 92-93)
Se la Chiesa desidera accogliere le persone omosessuali con rispetto, compassione e delicatezza, non può non accoglierne anche le relazioni e quindi rivedere e correggere le posizioni di condanna del Magistero.
Ammettere una benedizione per le persone omosessuali andrebbe in questa direzione: «da parte della Chiesa sarebbe un segno eloquente dell’intenzione di superare definitivamente la sofferenza, l’umiliazione e l’emarginazione arrecate da secoli alle persone omosessuali, nel senso dell’empatia promossa dal Vangelo, affinché la riconciliazione sia autentica e credibile» (p. 93).
* Martin M. Lintner OSM, professore ordinario di Teologia Morale presso la Scuola di Alta Formazione filosofica e teologica di Bressanone (Italia).