Accettare la propria identità. Riflessioni di teologia morale per una pastorale con le persone omosessuali
Estratto dal testo di Michael Rosenberger*, contenuto nel saggio cattolico “Benediktion von gleichgeschlechtlichen Partnerschaften” (La Benedizione delle coppie omosessuali), curato da E. Volgger e F. Wegscheider (Austria), editore Puster, anno 2020, pp.94-104, liberamente tradotto da Antonio De Caro
La teologia morale non può campare in aria i suoi giudizi etici, appellandosi vacuamente alla “tradizione”, ma fondarli su una ricerca autentica e rigorosa delle motivazioni, che nascono dalla scienza, dall’esegesi biblica, dal Magistero e dal sensus fidelium. Solo così potrà rispondere correttamente alla domanda se intende incoraggiare o no nelle persone l’adesione alla loro identità anche sessuale.
1. Le scoperte scientifiche (pp. 95-97)
La ricerca scientifica negli ultimi decenni si è molto concentrata sul problema delle cause dell’omosessualità, e ha individuato alcuni fattori genetici e alcuni fattori ormonali.
Altre risposte sono giunte dalla ricerca cerebrale (per cui già prima della nascita il cervello mostrerebbe alcune caratteristiche omosessuali), dall’etologia (i comportamenti omosessuali sono attestati per circa 500 specie di vertebrati) e dalla psicologia evolutiva: la conclusione è che l’omosessualità non è una malattia, ma una variante naturale e non modificabile. L’etica deve fare proprie queste conclusioni: se una persona non può cambiare il suo orientamento, non deve essere forzata a farlo; essa dovrebbe accettare il proprio orientamento sessuale come parte della sua identità.
2. I testi biblici (pp. 97-98)
Valgono le stesse osservazioni già fatte da Stowasser, pp. 32-66. Si trovano in più queste sottolineature:
– Il codice di purità del Levitico risale ad una redazione sacerdotale piuttosto tarda: quindi la legislazione più antica non si era interessata di rapporti omosessuali. È probabile che tale scrupolo sia nato dal contatto con le culture e le abitudini di altri popoli da cui Israele doveva tenersi separato. Inoltre i rapporti omosessuali, secondo la mentalità di quell’epoca, negavano la procreazione, pertanto non avrebbero accresciuto il popolo di Dio né avrebbero permesso la nascita del Messia. Lo spreco del seme maschile era considerato omicidio.
– Paolo collega l’immoralità all’idolatria ed è influenzato dall’idea stoica della legge naturale, per cui lo scopo naturale, razionale e buono della sessualità è solo la riproduzione.
Quindi, il contesto storico e culturale in cui nascono le condanne bibliche dei rapporti omosessuali non permette l’estensione di tali condanne all’omosessualità come viene considerata e vissuta oggi, perché si tratta di due realtà diverse.
3. Le affermazioni del Magistero (pp. 98-100)
Già Persona humana (1975) distingue fra un’inclinazione omosessuale transitoria ed un orientamento irreversibile, che però può rivelarsi anche patologico.
Nel 1986 la Cura pastorale delle persone omosessuali chiarisce che la condizione omosessuale non è in sé peccaminosa, ma disordinata; le azioni e le relazioni omosessuali vanno condannate poiché contraddicono, fra l’altro, il dono di sé (§7).
Qui va osservato molto attentamente che la Chiesa, nel 1986 e quindi qualche anno prima che l’Organizzazione Mondiale della Sanità depennasse l’omosessualità dalla classificazione delle malattie, già aveva dichiarato l’omosessualità come una condizione, non più patologica.
Questo vuol dire che già allora la Chiesa ha delegato una parte della sua autorità interpretativa ad una istanza non ecclesiale, cioè alla scienza (p. 99). Tuttavia, le relazioni omosessuali in quel documento vengono ancora condannate: ciò può dipendere dal fatto che la sessualità, secondo Humanae vitae (1968), ha come scopo la riproduzione; e quindi approvare l’omosessualità costituirebbe una contraddizione. La condizione omosessuale e la necessaria astinenza vengono interpretate solo come una croce.
4. Il sensus fidelium (pp. 100-103)
Le statistiche rilevano che in Europa la maggior parte delle persone (61% nel 2015) è favorevole al riconoscimento delle unioni omosessuali o addirittura ad una loro equiparazione al matrimonio – come è avvenuto, in una forma o nell’altra, in tutti i paesi dell’Europa occidentale, mentre in Europa orientale la situazione evolve più lentamente. Questa divisione segna anche la situazione globale.
Anche all’interno delle singole Chiese l’unità appare compromessa tutte le volte che si affrontano questioni legate all’omosessualità. Dai dati statistici però si nota che, a questo proposito, l’appartenenza confessionale degli intervistati ha meno importanza del loro Stato di appartenenza. La cattolica Polonia è sfavorevole tanto quanto la Grecia ortodossa; la cattolica Irlanda è favorevole tanto quanto la Norvegia protestante.
Quindi i cristiani (non diversamente da chi per vari motivi è lontano da una Chiesa) tendono a valutare la questione in base alla mentalità sociale e alla personale sensibilità morale, non in base ai dettami universali della Chiesa. I dati statistici, se si considera che il dibattito sul riconoscimento delle unioni omosessuali non si esaurisce, possono quindi essere interpretati come espressione del sensus fidelium. Sarebbe quindi auspicabile una evoluzione ecclesiale e teologica su questo punto, capace di motivare le proprie posizioni in modo oggettivo e non appellandosi alla tradizione o agli identity markers, che si rivelano essere solo dei tabu.
5. Riflessioni di teologia morale (pp. 102-103)
Alcuni teologi vorrebbero risolvere la questione eliminando ogni riferimento alla “legge naturale”, fondando invece l’etica sessuale sulla dignità e i diritti della persona. Ma questi due valori sono tra le conseguenze più preziose della legge naturale: senza di essa, infatti la dignità e i diritti umani verrebbero fondati solo sul diritto positivo, cioè sulla cultura storicamente situata di una società (che come tale può anche cambiare) e quindi non potrebbero essere considerato universali e inviolabili.
La condizione e le relazioni omosessuali possono, invece, essere giustificate in base ad una nuova visione della legge naturale: la natura conosce infatti più di una funzione della sessualità. La riproduzione è solo una di esse; ma poi la sessualità ha anche la funzione di conservare e rafforzare l’individuo e la coppia.
Non è più sostenibile affermare, come vuole la tradizione cattolica, che in ogni atto sessuale vengano espresse in modo perfetto tutte le funzioni della sessualità, che dipendono dalle diverse circostanze di vita. Quindi un atto sessuale che per vari motivi non può portare alla riproduzione non è di per sé contro natura, ma appartiene alle possibilità offerte dalla natura e può procurare alle persone un senso di identità e vita piena. Ciò rappresenta un potenziale etico che non va sprecato né disprezzato.
Nella tradizione giuridica ed ecclesiale il matrimonio è considerato come un contratto concluso dai due coniugi. Da tale contratto deriva il dovere di comportarsi in modo giusto e rispettoso verso l’altro, cioè di proteggere i valori alla base di quell’unione. Se, in base al ragionamento fatto prima, si accetta che anche le relazioni omosessuali sono naturali ed eticamente significative, anche la Chiesa, come lo Stato, dovrebbe offrire alle coppie omosessuali la possibilità di impegnarsi liberamente in un contratto di unione, una benedizione che potrebbe assumere la forma non di un sacramento, ma di un “sacramentale”.
6. Epilogo (pp. 103-104)
La chiesa dovrebbe essere coerente ed aitare le persone omosessuali ad accettare e vivere in pienezza la loro identità sessuale. Se oggi la Chiesa universale non fosse pronta per rapidi cambiamenti, che ne minaccerebbero l’unità, allora dovrebbero essere consentite almeno soluzioni locali, rispettate dalle altre comunità, nell’ottica del decentramento promosso da papa Francesco.
* Michael Rosenberger, professore universitario e presidente dell’Istituto di Teologia Morale, Facoltà di Teologia, Privata Università Cattolica di Linz (Austria).