Madre Maria Vittoria Longhitano una donna-prete in Italia
Dialogo di Katya Parente con madre Maria Vittoria Longhitano
Quando è stata ordinata, una decina di anni fa (era il 22 maggio 2010), c’è stato un piccolo terremoto mediatico. Era la prima donna-prete italiana, ed è stato ordinata a Roma, in una chiesa della Comunione Anglicana. Stiamo parlando di madre Maria Vittoria Longhitano, che ci ha concesso questa lunga ed interessantissima intervista.
Iniziamo parlando brevemente della tua Chiesa.
La Chiesa Episcopale, alla quale sono fiera di appartenere, è parte integrante della Comunione Anglicana – ovvero l’insieme delle Chiese che hanno struttura, organizzazione e prassi che affonda le radici nella Riforma Anglicana e che sono in comunione fra loro.
Storicamente, altro non è che il nome che la Chiesa d’Inghilterra, presente negli USA, prese poco dopo la rivoluzione americana, quando fu costretta a recidere i legami con la Chiesa d’Inghilterra sotto pena di tradimento, poiché al clero della Chiesa d’Inghilterra veniva richiesto di giurare fedeltà alla monarchia britannica.
Chiaramente ebbe una crescita parallela, diversa, dopo l’autonomia dalla Corona Inglese, ed improntò dottrina, prassi e teologia sullo spirito degli Stati Uniti d’America, vale a dire con forti accenti di pragmatismo, egualitarismo ed attenzione ai diritti umani e civili (sempre protagonista nelle lotte per l’emancipazione, a cominciare dall’abolizione della schiavitù), mentre alcuni aspetti della sua prassi , teologia e vita liturgica risentirono dell’influenza puritana\calvinista.
Questo fa sì che, oggi, la Chiesa Episcopale sia la punta più avanzata e progressista della Comunione Anglicana e, in questo senso, detiene molti primati, tra cui l’ordinazione della prima donna prete, della prima donna vescovo, del primo vescovo dichiaratamente gay, ecc.
Oggi è suddivisa in nove province, e governa diocesi al di fuori degli Stati Uniti a Taiwan, in America Centrale e Sud America, nei Caraibi e in Europa. La diocesi episcopale delle Isole Vergini comprende sia territori degli Stati Uniti che del Regno Unito.
Comprende 94 diocesi e 20 giurisdizioni.,Il clero è composto secondo l’ordine tripartito di vescovi, preti e diaconi, mentre il celibato ecclesiastico è opzionale. In quasi tutte le Province le donne possono essere ordinate diacone, in molte presbitere, e in alcune possono accedere all’episcopato.
Gli ordini religiosi vennero soppressi da Enrico VIII, ma nel XIX secolo furono ristabiliti e, attualmente, risultano fiorenti in quasi tutto il mondo anglicano. Di recente, il Rev.mo Vescovo Episcopale per l’Europa, Mgr. Pierre Whalon, ha inaugurato a Milano la Fraternità carmelitana di S. Maria del Monte Carmelo, di cui la sottoscritta è fondatrice e responsabile, accogliendo il 5 novembre del 2011 i voti temporanei della prima sorella.
Una piccola chiosa in aggiunta: l’Anglicanesimo mantiene una posizione particolare (detta via media) fra le Chiese Protestanti e la Chiesa Cattolica, poiché ha mantenuto la struttura ecclesiastica del cattolicesimo con la successione apostolica dei vescovi, e anche una liturgia tradizionale. Le Chiese che sono “in comunione” con la sede di Canterbury compongono la “Comunione Anglicana”.
Per l’anglicanesimo, secondo la formulazione del teologo Richard Hooker, l’autorità religiosa è presente nella Bibbia, nella Tradizione della Chiesa e nella Ragione.
Grande importanza ha il Book of Common Prayer, il libro della preghiera comune, adottato da tutte le Chiese anglicane, che hanno nella liturgia più che nelle confessioni di fede il loro denominatore comune. Fondamentali anche i 39 Articoli di Religione, composti nel XVI secolo per garantire l’uniformità religiosa in Inghilterra, e che utilizzano talvolta espressioni teologiche vicine al calvinismo. Questi articoli non sono generalmente più considerati strettamente vincolanti.
L’anglicanesimo ha conosciuto nel XIX secolo, parallelamente al diffondersi del romanticismo in Europa, una reviviscenza della tradizione cattolica al suo interno. Tale corrente è chiamata anglo-cattolicesimo, il cui massimo esponente è stato John Henry Newman, poi convertitosi al cattolicesimo e divenuto cardinale.
Di recente la Chiesa Anglicana e quella Cattolica hanno sottoscritto una dichiarazione circa il comune credo sulla figura di Maria, madre di Gesù, mentre passi notevoli compie la commissione dialogo cattolico-anglicana (ARCIC), di recente riunitasi a Bose.
In tal modo la Comunione Anglicana ha ribadito il suo credo originario su Maria Madre di Dio e su Maria modello ed esempio per la Chiesa, ammettendone, a differenza delle Chiese di ispirazione calviniste, la venerazione, riavvicinandosi così al cattolicesimo romano, col quale, per quanto concerne la mariologia, restano ancora irrisolti i nodi dei dogmi dell’Immacolata Concezione di Maria e la sua Assunzione in Cielo anima e corpo.
Ovviamente, viene rigettato il dogma dell’infallibilità del papa e la sua giurisdizione universale.
Da quando si è aperta ufficialmente alle persone LGBT?
Nel 1976 è stato fatto il primo passo, che poi ha portato all’approvazione dei matrimoni omosessuali. La General Convention, l’organo supremo di governo della Chiesa Episcopale, ha emanato una declaration in cui ribadisce che le persone omosessuali sono figli e figlie di Dio e che, come tali, hanno pieno diritto di vivere le loro relazioni d’amore, così come all’accettazione e alla cura pastorale, come tutti i fedeli della Chiesa.
Come è facile immaginare ciò innesca dibattiti a livello locale, ove per locale si intendono non solo le province, ma anche le singole diocesi e finanche le parrocchie, le diverse comunità, le università, i movimenti e tutte le aggregazioni. Ovviamente, per ragioni di spazio, risparmio i dibattiti singoli, le manifestazioni ed i momenti di eroismo da parte di tanti fratelli e sorelle, e passo subito al 2006, momento cruciale. In 30 anni lo Spirito si è mosso ed ha operato attivamente anche grazie al seme gettato dalla declaration del 1976.
Altro “colpo di Stato” dello Spirito Santo è stata l’elezione del Rev.do Gene Robinson – noto per essere stato il primo sacerdote dichiaratamente gay – a vescovo del New Hampshire. È stato un fatto abbastanza clamoroso: vescovo in un’importante denominazione cristiana ancora in possesso dell’episcopato storico. Ci sono stati forti contrasti interni, ma il vescovo Robinson, supportato dal marito, ha svolto la sua missione fino al 2013. È stata la prima volta in assoluto nella Comunione Anglicana per un uomo gay e felicemente sposato con il suo compagno.
Nel 2006 la General Convention, nel respingere una risoluzione che proponeva il matrimonio egualitario, ha ribadito però che gay e lesbiche sono in virtù del battesimo membri a pieno titolo del corpo di Cristo (cioè della Chiesa), mentre, a nome della Chiesa Episcopale, ha chiesto perdono ai suoi membri gay e lesbiche, e anche per gay e lesbiche non facenti parte della Chiesa Episcopale, per la discriminazione, ed invitava tutti a convertirsi per condividere la buona novella con tutti gli uomini e le donne, senza discriminazione alcuna.
Si impegnava – aspetto molto importante – ad includere le persone dichiaratamente gay e lesbiche in ogni organismo, comitato, commissione o gruppo di lavoro, gruppo direttivo, ecc. che avesse il compito di occuparsi in modo diretto e indiretto di questioni riguardanti la sessualità e – cosa davvero molto importante – si impegnava a farsi promotrice di questo suggerimento dello Spirito nei confronti delle Chiese sorelle della Comunione Anglicana, o comunque delle Chiese che gravitano nell’orbita di Canterbury. Siccome la Comunione Anglicana è sempre stata un freno, e la Chiesa Episcopale è sempre stata considerata oltremodo progressista, la stessa nota ribadiva che il nostro battesimo in Cristo Gesù è e resta inscindibile dalla nostra comunione con gli altri fratelli e sorelle, per cui ci si impegnava anche ad agire in modo da mantenere sempre l’unità con le Chiese della Lambeth Conference. Insomma, un tentativo di salvare capra e cavoli.
La svolta arriva nel luglio 2009, quando la General Convention adotta una risoluzione che consente ai singoli vescovi di scegliere se consentire le unioni omosessuali all’interno della loro Diocesi. Una sorta di moderno “cuius regio, eius religio”, in modo da preservare la cosiddetta “libertà di coscienza” da parte dei vescovi.
La risoluzione è stata pensata come un compromesso tra chi chiede un rito ufficiale e coloro che proponevano soluzioni alquanto “soft”. Tuttavia, tale risoluzione ha aperto la porta per la creazione di un rito ufficiale, con l’invito alle vescove e ai vescovi a “raccogliere e sviluppare risorse teologiche e liturgiche” per la General Convention del 2012.
E appunto, il 9 luglio 2012, la Chiesa Episcopale ha deliberato un rito ufficiale chiamato “La testimonianza e benedizione di un Patto permanente” con parole, espressioni, gesti e modalità liturgiche alquanto simili al matrimonio. Anche qui la soluzione è provvisoria e viene reinviata alla successiva General Convention. Rimane la facoltà dei vescovi\e di decidere per le loro Diocesi.
A partire dal 1 settembre 2012, il clero della diocesi episcopale di New York inizia a officiare matrimoni tra persone dello stesso sesso. Poi, nel 2015 si arriva al matrimonio egualitario. Fermo restando che ci vuole il permesso del vescovo\a diocesano e che il clero può, per motivi di coscienza, sempre rifiutare di celebrare le nozze tra due persone dello stesso sesso.
Quanti matrimoni gay hai celebrato?
Ho iniziato già nel 2010, lo stesso anno della mia ordinazione. Diciamo che è stato il primo matrimonio pubblico fatto in Italia, ed ha avuto una forte eco mediatica – anche se so che qualche pastore di altra denominazione ha benedetto qualche coppia in privato anche prima.
Avevo chiesto alle Chiese cristiane presenti sul territorio milanese se potevano affittarci il loro luogo di culto per le nozze, ma tutti si rifiutarono. Era un gesto troppo scottante e clamoroso, fuori dall’ombra delle sacrestie, una celebrazione della multiformità dell’Amore e, come dice il Vangelo, una lampada non può stare sotto il moggio, ma deve far luce. Per questo preferivano la “privacy” prima che i loro organi direttivi deliberassero.
E, fino ad allora, nessuna Chiesa storica italiana lo aveva deliberato ufficialmente. C’era timore. Conservo ancora le lettere di insulti e i fogli con sputi e svastiche di gruppi neonazi e fondamentalisti cattolici, che prospettavano l’inferno per la sottoscritta. Sono stata bersagliata da queste comunicazione insultanti. Infatti, affittammo a Cormano una villetta recintata e protetta, e tutto è stato fatto sotto la protezione delle forze dell’ordine.
Da lì in poi, non riesco neppure a contare il numero di coppie gay che ho sposato: una trentina circa. E appartenenti a molte confessioni cristiane. In maggioranza membri della Chiesa Cattolica Romana. Che sono rimasti tali. Dal momento che la loro Chiesa non consentiva questo, e la nostra è una Chiesa cattolica (nel senso della successione apostolica e del ministero tripartito), hanno visto un po’ un’anticipazione, un po’ come la loro Chiesa proiettata nel futuro. Anche perché sono convinta che lo Spirito soffia dove vuole ed agisce in tutte le Chiese: prima o poi aprirà una breccia anche nelle gerarchie più conservatrici e tradizionaliste.
A volte mi è capitato anche di essere fraintesa.
Per esempio, mi hanno contattato coppie che praticavano scambi o frequentavano saune, e che hanno scambiato l’apertura per una sorta di licenza alla promiscuità. Il matrimonio cristiano implica una serie di impegni, tra cui la fedeltà: se si derogasse a questo per le coppie gay, sarebbe una discriminazione alla rovescia. Ho dovuto rifiutar loro un matrimonio canonico. Tutto questo è capitato perché i media parlano di noi come una Chiesa che accoglie: però lo fa discernendo i princìpi.
Se il mondo gay ha visto in passato, nell’esercizio spasmodico della propria sessualità, una modalità di liberazione dal patriarcato e da una società sessuofobica, le categorie di liberazione nel mondo cristiano sono diverse. Per cui comprendo anche che ci si trovi confusi. Pur, ovviamente, rispettando tutti i punti di vista, cerco di far comprendere questo alle coppie. Con le coppie lesbiche devo dire che tutto questo è più semplice.
Non ho mai avuto difficoltà a considerare l’amore tra persone dello stesso sesso come valido. Come donna anzitutto, poi come persona oversize, ho sempre sentito su di me sguardi e giudizi. Fin da piccola, da quando dicevo che da grande volevo fare il prete, sentivo quel senso di sarcasmo e di ironia, persino sui miei giochi innocenti: quando da bimba usavo le sciarpe a mo’ di stole, quando le patatine diventavano ostie ed ero così piccola che, non arrivando al lavello, battezzavo le bambole nel bidet… e le sposavo tra loro: ovviamente, tutte femmine.
Allora posso sorridere dicendo che già dall’infanzia ho iniziato coi matrimoni lesbo! Scherzi a parte, il mio essere sovrappeso, il mio essere una bimba introspettiva ha fatto sì che vivessi la mia infanzia, ricordando la celebre poesia di Geraldo Bessa Victor, come quel “bambino negro” che “non entrò nel girotondo” e guardava, triste e piagato, un mondo che non gli apparteneva. E nessuno, decisi dentro di me, doveva più sentirsi come me, né come quel bimbo che “non entrò nel girotondo”, qualunque sia il colore della pelle, la razza, la cultura, l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
E la Chiesa di Cristo è un grande girotondo – anzi un abbraccio circolare – inclusivo, universale. E’ proprio questo che significa “cattolico”: se una parte dell’umanità (donne, gay, ecc.) è esclusa dal girotondo della vita, la Chiesa di Cristo diventa un club per gli “aristoi”, cioè per i migliori (in base a cosa poi?).
Un’ultima domanda, stavolta personale. Come ci se sente ad essere la prima donna prete in Italia?
Ad essere la prima donna prete ordinata proprio in Italia (qualche italiana è stata ordinata all’estero, così come mie sorelle di Chiesa italo-americane) si sente una grande, enorme responsabilità. Soprattutto, per la eco mediatica che questo fatto – normalissimo già Oltralpe – ha avuto, e poi perché sono un personaggio che, spesso, partecipa a trasmissioni televisive e radiofoniche di impatto nazionale (come opinionista fissa alla Repubblica delle Donne).
La responsabilità di veicolare la “normalità” di una scelta non mia ma di Dio, e che, a livello iconico, ha un certo impatto. Perché – ci tengo a precisare – le Chiese che ordinano le donne non lo fanno (non soltanto) per difendere i sacrosanti “diritti umani” ma, paradossalmente, per difendere il diritto di Dio a chiamare al ministero chi vuole: “non siete voi che avete scelto me ma io che ho scelto voi e vi ho costituito perché portiate frutto” (Giovanni 15:16).
Ed io sento la responsabilità di portare frutti di testimonianza dell’accoglienza ed inclusività di Dio, proprio attraverso di me: perché se Dio ha scelto me, significa che può chiamare chiunque… senza alcuna discriminazione, anche indipendentemente dal sesso biologico, dall’orientamento sessuale o identità di genere.
Ringraziamo madre Vittoria per la sua disponibilità. Grazie a lei, quella che era una “semplice” intervista sui matrimoni gay nella Chiesa anglicana, si è trasformata in un occasione di conoscenza e di ampliamento degli orizzonti culturali, due cose che non fanno mai male.