Allah Loves Equality. La vita nascosta delle persone LGBT in un Paese musulmano
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Intervista di Katya Parente al regista e attivista Wajahat Abbas Kazmi pubblicata sul blog Boundless Rainbow Love il 16 aprile 2020
Essere stranieri non è semplice, da nessuna parte. Ci sono sempre persone che ti ritengono sbagliato, che credono tu gli voglia portare via il lavoro, la casa e la moglie. Che tu sia un ladro, un perdigiorno, un mantenuto dallo Stato. Accoglienza ed integrazione, quando fanno parte dell’agenda politica, troppo spesso finiscono nel dimenticatoio al primo scoglio col mondo reale.
Se poi sei anche musulmano, c’è sempre chi ti immagina con un mitra in mano pronto a fare fuoco sugli infedeli, in attesa di goderti un Paradiso fatto di vergini vogliose. E se sei pure gay e le vergini non ti interessano, allora è un gran casino. Per fortuna non tutti la pensano così; ci sono persone come l’ospite di oggi che si impegnano a smontare dei cliché beceri e retrogradi, facendoci scoprire un mondo affascinante e spesso non così distante. Lui è il pakistano Wajahat Abbas Kazmi, conosciuto soprattutto per la sua attività come regista.
Essere gay in un Paese musulmano è spesso un reato. Allah Loves Equality, il tuo bel documentario, mostra un’altra faccia dell’Islam. Quando e perché l’hai girato?
Ho girato il documentario nel mese di novembre del 2018, l’ho fatto per diversi motivi. Prima di tutto perché sono un privilegiato e vivo in un paese sicuro (Wajahat abita in Italia già da parecchio tempo, n.d.a.), dove ogni vita ha un valore, per questo ho sentito che fosse mia responsabilità parlare anche per chi non ha i miei stessi privilegi, chi non ha voce. Ho deciso quindi di girare un documentario sulla comunità queer della Repubblica Islamica del Pakistan. In Italia spesso non si sa nemmeno dove sia il Pakistan sulla cartina geografica.
Un altro motivo che mi ha spinto a realizzare questo progetto è il desiderio di riportare la gente un po’ indietro nel tempo e rivedere la storia dei Paesi del subcontinente indiano, mostrando come eravamo e dove siamo arrivati oggi: infatti scopro e dimostro, anche nel documentario, che prima dell’arrivo degli inglesi nel 1800 l’omosessualità non era reato nei nostri Paesi, anzi veniva celebrata nella società.
Con l’invasione degli inglesi vengono promulgate leggi omofobe e l’omosessualità diventa un crimine, considerato tale ancora oggi purtroppo. È un ‘regalo’ dell’invasione che stiamo ancora combattendo per abolire, e, anche se non sarà facile, ci sono già dei cambiamenti: ad esempio l’India che due anni fa ha abolito la legge contro l’omosessualità. Purtroppo però per un Paese complicato come il Pakistan sarà una lunga battaglia.
L’Islam, come del resto il cristianesimo, è formato da diverse confessioni. Le varie Chiese cristiane spesso vedono l’omosessualità in modo diverso. È così anche per i musulmani?
Vengo dalla terra in cui è nato il Kama Sutra, ciò fa capire che erano Paesi molto aperti riguardo al sesso e alla sessualità, non erano regolati dalla religione, al contrario di quanto accade oggi. Ogni Paese musulmano è culturalmente diverso dall’altro, ciò significa che l’Arabia Saudita, ad esempio, ha un modo di pensare diverso da quello dell’Iran, allo stesso tempo l’Iran la pensa diversamente dal Pakistan, che a sua volta si differenza dall’Afghanistan o dall’Egitto e così via. Quindi in ogni Paese il modo di guardare o di riflettere sull’omosessualità è diverso e può dipendere, ad esempio, dall’educazione ricevuta o anche dalla coscienza della persona.
La maggioranza condanna l’omosessualità e ritiene che sia una malattia che viene dal mondo occidentale, dimenticandosi del ruolo della presenza degli omosessuali ai tempi dell’impero Moghul e Turco, e il poeta Abu Nawas, famoso per le sue poesie sull’amore tra persone dello stesso sesso. Esiste poi il problema delle interpretazioni sbagliate del Corano, che in realtà non condanna affatto l’omosessualità. Ad oggi le nuove generazioni di musulmani sono più tolleranti verso gli omosessuali, e i documentari come Allah Loves Equality aiutano a capire dove sta il problema.
Oltre che essere uno dei fondatori del Grande Colibrì, sei anche regista e scrittore. Ci parli del tuo impegno civile, specialmente in ambito LGBT?
Le mie “armi” sono la scrittura e il cinema, gli unici modi che conosco per esprimere quello che penso, e continuerò ad usarli anche nel futuro per dare voce e visibilità ai diritti civili, soprattutto quelli di chi ne ha più bisogno, che siano persone LGBT o meno. Per quanto riguarda Il Grande Colibrì, credo che sia una delle poche associazioni non-profit che aiutano seriamente le persone LGBT rifugiate in Italia, ma il merito non è mio, bensì di tanti altri collaboratori che lavorano giorno e notte per aiutare queste persone nonostante le poche risorse che hanno.
Il sito dell’associazione è un grande punto riferimento sia per le seconde generazioni in Italia, sia anche per gli studenti universitari, che vi trovano del materiale utile e costantemente aggiornato. Non è un tipico blog LGBT con gossip news, ma parla di temi molto seri e delicati, pur senza fare una propaganda.
Quali sono i tuoi programmi futuri?
Sto finendo di scrivere un libro sulla tematica del delitto d’onore e matrimoni combinati delle ragazze pakistane in Italia. Ho anche dei progetti cinematografici, però non posso parlarne essendo ancora progetti in corso d’opera, è una battaglia anche questa. Si spera e si combatte.
Tanta carne al fuoco: tanti obiettivi fondamentali da raggiungere con la cultura e l’arte come armi per migliorare il mondo. Auguriamo a Wajahat di vincere questa guerra insieme alle persone, e per fortuna non sono poche, che credono nella dignità dell’essere umano – di qualunque essere umano.