Volevo solo essere felice. Alessandro Cozzolino ci racconta l’omosessualità
Dialogo di Katya Parente con lo scrittore Alessandro Cozzolino
Non bisogna scomodare la Costituzione degli Stati Uniti per affermare che ogni individuo ha diritto alla felicità, anche nella nostra è affermato qualcosa di molto simile: basta leggere l’articolo 3 per rendersene conto. Ma questo non è vero – o lo è solo in parte, per le persone queer. Il nostro ospite di oggi, Alessandro Cozzolino, ci ha addirittura scritto un libro: “Volevo solo essere felice. L’omosessualità raccontata da un omosessuale” (Centauria, 2019, 175 pagine).
Dal titolo del tuo libro sembra che la felicità non sia per tutti…
Se nasci, cresci e ti scopri omosessuale in una società di eterosessuali, sicuramente riuscire a vivere una vita felice e serena richiede uno sforzo maggiore. Non intendo dire che gli eterosessuali vivano sempre senza problemi, felici e contenti. Dico solo che, se sei gay, hai delle difficoltà in più. In primo luogo in casa, in famiglia. Ma ovviamente anche a scuola, tra gli amici, e nella società generale.
Non credo esista un omosessuale che abbia gioito allo scoprirsi gay qui in Italia (ma non solo). Un po’ tutti noi non eterosessuali, per brevi o lunghi periodi, chi più chi meno, abbiamo avuto paura di vivere la nostra vera identità. Molto, troppo spesso abbiamo provato imbarazzo o vergogna per il solo fatto di essere gay. Non credo, infatti, che esistano omosessuali che non sono mai stati insultati o derisi (anche da altri omosessuali) per via del proprio orientamento.
Al contrario, sono certo che nessun eterosessuale abbia mai avuto paura di vivere la propria eterosessualità, o abbia mai provato imbarazzo o vergogna per il solo fatto di essere eterosessuale. Non esiste eterosessuale alcuno che sia mai stato cacciato di casa, insultato o deriso da un altro eterosessuale per via del proprio orientamento. Basta semplicemente questo per capire che, in una società come la nostra, c’è ancora tanta strada da fare perché il diritto alla felicità sia un diritto di tutti.
Quanto la tua esperienza di life coach ti ha influenzato nello scrivere il libro?
Ho raccolto le storie di alcuni clienti e amici che, in un modo o in un altro, somigliavano alla mia. Grazie alla mia professione di coach ho avuto il privilegio di ascoltare le storie di chi, come me, ha sofferto non poco per qualcosa su cui in tanti, ancora oggi, non hanno le idee chiare. Un life coach è essenzialmente un facilitatore del cambiamento. E quando scopri che il cliente ha serie difficoltà nell’attuare il cambiamento che desidera realizzare (a livello personale, professionale, sentimentale o familiare), capisci che c’è un blocco che rende vano ogni tentativo di automiglioramento.
Quel blocco si deve alle informazioni che ci sono state inculcate sulla nostra persona ancor prima di prendere consapevolezza della nostra identità. Lavorando su quei blocchi sono emerse le sofferenze dirette e indirette che molti di noi gay abbiamo vissuto sin da adolescenti, e che oggi, a distanza di decenni, si traducono in atteggiamenti mentali e comportamenti il più delle volte disfunzionali e autodistruttivi.
Solo facendo pace col passato possiamo smettere di portarcelo dietro come un fardello e iniziare a viverlo come un tesoro, una ricchezza. È per questo che il libro narra le esperienze di uomini e ragazzi gay (nati prima del 2000), dall’infanzia all’età adulta, con l’obiettivo di “allenare” la mente a pensare — e quindi ad agire — in maniera più efficace in relazione all’obiettivo che si desidera raggiungere. Che, in linea di massima, è sempre lo stesso, uguale per tutti: essere felici.
Sembra che tu racconti la parte “disfunzionale” dell’essere omosessuale. Com’è possibile per una persona queer evitare di cadere in questo circolo vizioso, a dispetto delle sollecitazioni contrarie?
Per evitare di cadere nei circoli viziosi di cui racconto nel libro, è di fondamentale importanza avere dei genitori e una famiglia che stiano dalla tua parte, che ti accolgano, che ti vogliano bene e che ti facciano sentire quel bene. Chi ha (avuto) la fortuna di avere un supporto affettivo da parte delle persone con cui è cresciuto, sicuramente ha meno probabilità di finire in certe trappole oltremodo tossiche.
Se invece, come tanti di noi, cresci in un ambiente che ti insegna a disprezzarti, a vergognarti, a odiare una parte della tua essenza così importante come l’orientamento sessuale, va da sé che i problemi, nel tempo, non mancheranno. Siccome siamo nati e cresciuti in una cultura sessuofobica e omofobica, occorre una sforzo non indifferente per riuscire a liberarsi di quelle convinzioni assurde e malate cui diversi omosessuali hanno creduto.
“L’omosessualità è un abominio, è contro natura, è una scelta, è una perversione, è una depravazione, è una moda, è solo una fase, poi passa.” E invece no, non passa. Anzi, quel che resta è l’eco di queste cattiverie, che accompagna molti gay fino alla tomba. Per via di questa vocina nella testa che ripete in continuazione che “se sei gay, sei sbagliato”, assumere comportamenti disfunzionali sembra quasi inevitabile. Per questo motivo c’è bisogno di rivedere quella concezione di omosessualità che, ancora oggi, causa non pochi danni e sofferenze a chi eterosessuale non è. Diventa quindi inevitabile ribadire un concetto molto semplice: non siamo sbagliati, non siamo anormali, non siamo contro natura. Siamo gay, e non (solo) perché facciamo sesso con altri uomini. Siamo gay perché ci innamoriamo di altri uomini. E non c’è nulla di cui vergognarsi.
Perché, nel 2020, c’è ancora bisogno di un libro come il tuo?
Basta leggere i giornali. Gli attacchi di stampo omofobico sono quasi all’ordine del giorno. Ragazzi e uomini gay che ancora — nel 2020 — hanno paura o si vergognano di dichiararsi in famiglia o sul posto di lavoro. C’è ancora chi teme reazioni violente da parte di mamma e papà, o magari ha paura di prendere la mano del proprio compagno per strada, perché c’è il rischio di essere aggredito, malmenato e di finire in ospedale.
La cosa bizzarra è che più di qualcuno sostiene che soffriamo di vittimismo, che una legge contro l’omofobia non è necessaria, che abbiamo già tutti i diritti che ci spettano. Be’, niente di più falso. Basti pensare alla legge sulle Unioni Civili, che non prevede l’obbligo di fedeltà (perché i gay sono promiscui, mentre gli etero tutti casti, puri e fedeli, vero?), non consente l’adozione (perché solo se sei eterosessuale puoi essere genitore, nonostante le cronache dimostrino tutt’altro), ed è ben lontana da quello che in altri Paesi esiste come matrimonio egualitario, che non prevede distinzioni di sorta tra coppie etero e coppie gay. In Italia, a conti fatti, siamo ancora considerati cittadini di serie B, inferiori, incapaci di poter vivere una relazione monogama e non all’altezza di amare, educare e crescere un figlio.
Credi che la situazione migliorerà?
Per certi versi è già migliorata e continua a migliorare, soprattutto tra i millennials che sono cresciuti con una maggiore visibilità dell’omosessualità. Programmi e serie TV, Internet, social e stampa (almeno in parte) hanno finalmente sdoganato temi che solo fino a qualche anno fa erano impronunciabili. Quel che è certo è che c’è ancora tanta strada da fare e io, in tutta sincerità, la vedo lunga e in salita, paradossalmente anche per via di molti gay stessi, che soffrono di omofobia interiorizzata e ragionano come i peggiori omofobi.
Sono quei gay che hanno interiorizzato i messaggi negativi con cui sono cresciuti, e che quindi criticano il Pride, sono contrari ai matrimoni tra persone dello stesso sesso e alle adozioni, snobbano o non riconoscono le famiglie arcobaleno e sono i primi a prendere le distanze da ogni sorta di iniziativa proveniente dalla comunità LGBTQ+.
Affinché si realizzi un vero cambiamento, a mio avviso resta di fondamentale importanza il contributo delle istituzioni, della politica, persino della religione, visto che viviamo in un Paese altamente cattolico (o almeno così pare). La situazione migliorerà non appena sarà chiaro che essere omosessuali è un po’ come essere mancini in un mondo di destrimani. Non siamo migliori né inferiori rispetto a nessuno. Siamo diversi, come tutti tra l’altro. Per questo alla fine del libro mi rivolgo al lettore eterosessuale, affinché ci aiuti a cambiare una realtà ancora intrisa di pregiudizio, convinzioni assurde e profondamente errate.
Dai messaggi e dalle email che ricevo, Volevo Solo Essere Felice ha aiutato non pochi gay e le loro famiglie. Da solo, però, il mio libro più di tanto non può fare. Tutti insieme, gay e non, possiamo invece scrivere un futuro decisamente meno buio e più colorato, proprio come l’arcobaleno.
Questo è l’augurio che ci fa Alessandro. Speriamo che si avveri presto. E sarà così se non ci vergogneremo di essere come siamo. A questo proposito, una (buona) legge contro l’omofobia non guasterebbe di certo. Anzi.