La bella e buona Jeanne (Giovanna d’Arco)
Articolo di Lavinia Capogna, dedicato a Silvia L. e E.G.
Giovanna d’Arco (che qui chiameremo Jeanne, come si scrive il suo nome in francese moderno, in antico francese era Jehanne) è la donna e il personaggio storico del Medioevo di cui abbiamo più notizie. La sua stessa voce ci giunge, per quanto possa essere stata trascritta in modo non completo, dagli atti del processo di condanna del 1431 e dalle voci dei centoquindici testimoni del processo di riabilitazione, richiesto da sua madre Isabelle nel 1455 e conclusosi l’anno seguente.
La personalità di Jeanne che emerge da questi documenti è straordinaria. “Era una ragazza semplice e dolce di carattere” disse di lei Hauviette, sua amica di Domrémy, il paese dove Jeanne era nata nel 1411 o 1412.
“Devota, paziente (…) Quando poteva faceva l’elemosina ai poveri” disse Michel, un altro amico. “Questa fanciulla parlava molto bene” raccontò Albert, un anziano testimone. “I soldi che le danno non li tiene per sé, li regala, le sue risposte sono brevi e semplici, è sobria, per niente superstiziosa” scrisse in una lettera un gentiluomo francese. Altri testimoni menzionano “le buone maniere” di Jeanne.
Al processo di condanna del 1431 Jeanne rispose in modo molto intelligente, chiaro, razionale, a volte con senso dell’umorismo, un umorismo che si ritrova anche in altre testimonianze come quella in cui durante la guerra un prete si era avvicinato a lei spargendo acquasanta e lei gli aveva detto: “Non temete, non volerò via“.
Jeanne dimostrò anche di avere ottima memoria, al processo si ricordava, se le ripetevano una domanda, quando gliela avevano posta precedentemente a distanza di giorni, e non aveva nessun punto di riferimento temporale come una clessidra, né carta ed inchiostro per contare i giorni.
L’innocenza e la spontaneità di Jeanne conquistarono i suoi contemporanei. Grandi poeti come Christine de Pizan, François Villon, Alain Chartier ed importanti teologi come Gerson scrissero su di lei bellissime parole (come vedremo).
La vita pubblica di Jeanne durò solo due anni, dai 17 ai 19 anni, un anno di grandi vittorie, in cui ribaltò la storia di Francia, e un anno di prigionia, che più che prigionia si dovrebbe chiamare martirio perché Jeanne subì violenze fisiche, sessuali e psicologiche inaudite, e si concluse con il rogo nella Place di Vieux Marché a Rouen nel 1431.
Dal 1337 il nord della Francia era stato occupato da Henry VI re d’Inghilterra. Tra tregue, battaglie, stragi e saccheggi era una guerra disastrosa. Quando Jeanne apparve sulla scena politica la Francia era in una situazione tragica, “in rovina”, scrisse il gentiluomo nella lettera succitata, “umiliata” scrisse la poetessa Christine de Pizan. Nel 1429 era reggente di Inghilterra il duca di Bedford, perché il re Henry VII aveva solo 9 anni. Il legittimo re di Francia era il Delfino Charles VII che ancora non era stato incoronato re. I francesi erano divisi fra armagnacchi (come Jeanne) che erano rimasti fedeli a Charles VII e borgognoni che parteggiavano per gli inglesi.
La guerra venne chiamata “guerra dei Cento Anni” e si concluse con la vittoria di Charles VII nel 1452 quando gli inglesi lasciarono il nord della Francia, vittoria che non sarebbe stata possibile senza la presa di Orléans, assediata dagli inglesi, e l’incoronazione del delfino entrambe nel 1429 – due vittorie il cui merito era stato unicamente di Jeanne. Jeanne condusse una guerra di liberazione (senza uccidere nessuno) contro un invasore spietato.
Ma oltre al carattere e alle sue gesta, qual era l’aspetto fisico di Jeanne? L’ unica testimonianza riguardo a questo è quella di Jean d’Aulon, suo fido attendente, che la descrisse “bella, ben formata“. È molto probabile che fosse così perché il grande carisma che esercitò su i suoi contemporanei dipese dal suo temperamento, dalle sue gesta ma anche probabilmente dal suo aspetto.
Esiste solo un disegno fatto quando lei era in vita dal cancelliere del parlamento di Parigi (Parigi era in mano agli inglesi) ma è evidente che il cancelliere non la conosceva perché lui era a Parigi e lei a Orléans in quel periodo, ma anche perché la ritrasse con la spada e lo stendardo ma con i capelli lunghi e un abito femminile. Come si sa Jeanne si era tagliata i capelli ed indossava abiti maschili. Interrogata sul perché durante il processo lei non volle rispondere dicendo: “Passiamo oltre”.
Man mano che il processo andò avanti la questione dell’abito divenne ossessiva per il giudice e gli assessori (una specie di giuria) ed infine fu il cavillo per cui il giudice Cauchon l’accusò di essere “eretica relapsa“, cioè recidiva e condannarla a morte. Tagliarsi i capelli ed indossare un abito maschile erano grandi trasgressioni – certamente un abito maschile era più adatto per le battaglie e le cavalcate ed era una difesa contro eventuali aggressioni.
Nel 1429 Jeanne era giunta a Vaucouleurs, da Robert de Baudricourt, capitano armagnacco, con un “povero vestito rosso” come testimoniò un paesano che le diede gli abiti di un suo servitore. Per tre volte Jeanne dovette tornare a Vaucouleurs prima di convincere il capitano di condurla dal Delfino a Chinon. La terza volta egli si convinse e l’affidò a sei uomini, alcuni cavalieri e i loro paggi, con cui Jeanne viaggiò undici giorni a cavallo tra i bellissimi boschi e le vallate di Francia per arrivare a castello del Delfino.
Jeanne era la figlia terzogenita di Jacques D’arc (o Darc) e Isabelle Romée. Jacques era un piccolo proprietario terriero che svolgeva anche varie mansioni pubbliche a Domrémy in Lorena, zona ai margini del regno di Francia. Lui e la moglie furono descritti come brave persone, “molto onesti“, la madre aveva fatto un pellegrinaggio a Roma. Oltre a Jeanne avevano due figli maschi Jaquemin e Pierre (Pierre accompagnerà Jeanne durante la guerra) e una figlia, minore di Jeanne, Catherine.
Come disse Jeanne stessa, e fu confermato poi da varie testimonianze, ella sapeva tessere e cucire, cantava e danzava, aveva amiche ed amici. Tutto faceva presagire che la sua vita sarebbe stata simile a quella delle altre ragazze, con un matrimonio e dei figli, ma “un giorno d’estate, dopo mezzogiorno“, probabilmente nel 1425, quando Jeanne aveva tredici anni, ebbe l’apparizione di un uomo, circondato da “una luce smagliante” (di cui riparleremo dopo) e si “spaventò molto“.
L’ uomo la rassicurò. Fu l’inizio delle “apparizioni” o “voci” che accompagnarono Jeanne tutta la vita. Un uomo e due donne, due messaggeri di un altro mondo, che dissero di essere San Michele, santa Caterina e santa Margherita, e svelarono alla fanciulla la sua missione. Dio “aveva pietà del popolo“, dei francesi che da decenni vivevano tra stragi e carestie e la missione di Jeanne era raggiungere la pace, “una pace giusta e che duri a lungo” – come scrisse lei in una lettera. Le apparizioni le svelarono che avrebbe liberato Orléans e fatto incoronare il Delfino. Una missione apparentemente impossibile.
“Perché tu?” le chiesero a processo, “Perché così è piaciuto a Dio” rispose Jeanne. Dio non aveva scelto un abile cavaliere (uomo), esperto di guerra, ma una fanciulla dolce per liberare il popolo oppresso. Dio, sempre accusato di essere assente nella storia del mondo, si occupava del mondo, agiva perché aveva ” pietà del popolo” come diceva Jeanne. Si comprende l’enorme portata di questa affermazione di Jeanne?
La guerra di Jeanne era una guerra di liberazione come abbiamo detto e rientrava secondo sant’ Agostino tra le “guerre giuste “.
Ma spesso venne riportato che Jeanne piangeva dopo le battaglie per l’orrore della guerra, per la morte dei soldati anche inglesi. Jeanne disse al processo di condanna che non aveva mai ucciso nessuno. Aveva una spada al fianco ma reggeva lo stendardo con la mano destra per non usare la spada. Di fatto se nel corso di una battaglia gli inglesi o i borgognoni l’avessero circondata ella non avrebbe potuto difendersi. A Compiègne venne catturata da un soldato borgognone che la disarcionò dal cavallo.
La guerra di liberazione era l’unica via per portare la pace. Ma come poteva una fanciulla di diciassette anni di un paese della Lorena giungere al cospetto del Delfino e convincerlo ad affidarle il comando dell’esercito ? Come poteva una fanciulla guidare un esercito ? Esercito di soldati mercenari, perché l’esercito del popolo ancora non esisteva e venne istituito in Francia durante la rivoluzione del 1789.
La via suggerita dalle apparizioni era di convincere il capitano Robert de Baudricourt a farla condurre dal Delfino a Chinon. Nello stesso periodo Jeanne con i familiari e la sua amica Hauviette erano stati costretti a fuggire in un altro paese perché Domrémy era stata invasa dagli inglesi e un uomo aveva citato Jeanne in tribunale sostenendo che aveva rotto una promessa di matrimonio.
In realtà Jeanne non aveva fatto alcuna promessa di matrimonio al rabbioso pretendente. Suo padre aveva trattato la questione ma contro la sua volontà. Nel 1429 Jeanne fuggí dalla casa paterna senza dirlo al familiari che glielo avrebbero impedito (e a cui chiese poi perdono) per incominciare la sua missione. Aveva imparato a cavalcare con destrezza. Forse analfabeta, come la stragrande maggioranza delle persone nel 1400, aveva imparato a leggere e scrivere.
La sua amica Hauviette “pianse molto quanto Jeanne partì perché l’amava molto ed era la sua compagna” è scritto in terza persona nella sua testimonianza al processo di riabilitazione. Dopo tre volte, come abbiamo detto, Jeanne convinse il capitano e dopo undici giorni di viaggio raggiunse il castello del Delfino a Chignon.
Dolce, gentile, piena di entusiasmo, impetuosa, determinata, forse impaurita, così Jeanne incominciò la sua missione. Il suo rapporto con il trascendentale fu unico, straordinario e stupefacente, ciò che le avevano suggerito i “messaggeri” avveniva, spesso ella vide “angeli” in mezzo alla gente che non li vedeva. Profondamente cristiana Jeanne si recava una volta alla settimana a messa e spesso pregava. Un paggio la vide piangere mentre era in preghiera.
A Chinon il Delfino Charles, avvisato che Jeanne la pucelle (cioè pulzella, vergine ) stava arrivando per parlargli si nascose tra i cortigiani per vedere le reazioni della ragazza. Jeanne che con certezza non poteva aver visto un ritratto del Delfino lo riconobbe e si inginocchiò a lui.
Il Delfino aveva allora una trentina d’anni, da sei attendeva di essere Incoronato, era noto per la sua irrisolutezza, sembra che fosse un carattere debole, anche se Jeanne lo difese sempre. L’ andamento della guerra era disastroso. Jeanne come prova gli rivelò un segreto a porte chiuse – certamente un messaggio dei suoi messaggeri che ella, in seguito, si rifiutò di rivelare a chicchessia.
Il Delfino decise di affidarla ad una commissione di professori e teologi armagnacchi per decidere se darle il comando del suo esercito. Il fatto di affidare l’esercito ad una donna suscitò non poche critiche. Nel Medioevo le donne non contavano nulla. In più la guerra era un ambito esclusivamente maschile. Forse per noi che viviamo nel XXI secolo non è semplice capire l’immensa portata della richiesta di Jeanne al Delfino.
Il Medioevo è un periodo storico in realtà lunghissimo perché durò mille anni. Da una trentina d’anni alcuni storici hanno dedicato ricerche e libri alla condizione delle donne nel Medioevo. Le donne erano considerate “inferiori”, erano numerose le prediche contro le donne e la misoginia dilagante.
La nascita di una figlia femmina era spesso considerata una disgrazia. I figli erano amati, certo, ma anche considerati forza-lavoro. Le fanciulle erano sottomesse al padre e tra i quattordici e i diciotto anni circa si sposavano. I matrimoni erano combinati per ragioni sociali ed economiche. Ovviamente c’erano grandi amori tra coniugi o duraturi affetti ma anche molta infelicità.
Le mogli erano sottomesse ai mariti e avevano molti figli. La mortalità durante i parti era alta e anche la mortalità infantile. Non esistevano medicine ma decotti ed erbe. A quarant’anni si era quasi anziani anche se con una buona costituzione si poteva vivere a lungo.
C’erano tre classi sociali: il popolo che comprendeva i poveri (e i molti poverissimi), gli artigiani i ricchi e ricchissimi mercanti; il clero dai potenti vescovi ai preti di campagna; l’aristocrazia dai nobili dissestati economicamente a quelli più ricchi e al re. La Chiesa cattolica aveva un potere assoluto e in essa vi era dalla persona migliore umanamente alla peggiore.
Le donne che nella chiesa non contavano nulla erano monache e badesse di clausura, povere e ricche. C’erano poi le prostitute e le amanti di re e aristocratici. Ed infine le donne artiste, poetesse, miniaturiste, musiciste.
Però il medioevo non era solo barbarie ma anche le Chanson de Geste francesi, i sonetti dell’amor cortese, il Dolce Stil Novo di Dante e Guido Guinizzelli, Francesco Petrarca, il ” Decamerone ” di Boccaccio, le novelle di Matteo Bandello ed altri, le miniature colorate gelosamente custodite dai monaci, le meravigliose statue di terracotta dei Della Robbia, il bellissimo Codex Manesse, il sogno di San Francesco d’Assisi, gli affreschi e le tavole di Giotto, Simone Martini e Masaccio, le cattedrali di Chartres e Nôtre Dame. I musici suonatori di liuto, uno strumento di origine araba, flauti, ribeche.
Alcune donne vissute nel Medioevo sono celebri come Trotula, donna medico salernitana, Ildegarda di Bingen, badessa tedesca che aveva visioni come Jeanne e scrisse di medicina e musica ed inventò un nuovo alfabeto, Eloisa, coltissima ed intelligente parigina, amante del filosofo Pietro Abelardo, Eleonora d’Aquitania, Bianca di Castiglia, Yolanda di Aragona, molto ammirata per la sua bellezza e forte personalità, che conobbe Jeanne personalmente e che finanziò la presa di Orléans, santa Chiara d’ Assisi, santa Caterina da Siena, ed infine Giovanna D’Arco con cui si chiuse il Medioevo su un incipiente Rinascimento.
Tutto ciò per dire che oltre al Medioevo buio, cupo e misogino c’era anche un Medioevo colorato e gentile.
Il Delfino fece interrogare Jeanne a Poitiers per qualche settimana da alcuni teologi e professori di Parigi che gli erano rimasti fedeli. Parigi era occupata dagli inglesi e l’università (la seconda al mondo dopo Bologna) era asservita gli invasori. Gli storici hanno chiamato queste esaminazioni di Poitiers “il processo di Poitiers” anche se in realtà non si trattò di un vero processo. Purtroppo gli atti sono andati perduti o sono stati distrutti o sono nascosti da seicento anni chissà dove. Rimane però il giudizio dei professori su Jeanne fatto pervenire al Delfino: “Non si trova in lei (Jeanne) alcun male, ma soltanto bene, umiltà, verginità, devozione, onestà, semplicità“.
A Poitiers Jeanne dovette anche sottoporsi ad una visita per accertarne la verginità eseguita da dame di corte di Yolanda di Aragona. Jeanne aveva fatto voto di castità spontaneamente durante l’adolescenza finché “fosse piaciuto a Dio“. Sarà obbligata a subire una visita analoga anche durante la prigionia a Rouen due anni dopo.
Il Delfino assegnò a Jeanne un compito da alto comandante e finanziò un’armatura bianca, le diede un seguito di alcuni uomini tra cui il suo attendente, due messaggeri e le donò alcuni cavalli. Jeanne finalmente poté raggiungere Orléans.
Orléans, imponente e bella città, era assediata dall’ottobre del 1428 dagli inglesi e dai borgognoni ed era allo stremo. Jeanne la raggiunse nella primavera del 1429 e fu accolta con gioia dagli abitanti “bambini, donne, uomini“. Ella promise di liberarla ma dovette scontrarsi con l’errata politica di altri comandanti finché il 7 maggio ci fu una grande battaglia fuori le mura.
Essa durò “dall’alba al vespro” e sembrava che non ci fosse nulla da fare ma i testimoni raccontano che Jeanne si ritirò in preghiera, poi salì a cavallo e brandendo lo stendardo bianco corse tra i francesi che ripresero il loro entusiasmo e sconfissero velocemente gli inglesi. La notte Jeanne pianse a lungo per la morte dei francesi e degli inglesi.
“Nell’anno 1429 un gran sole è sorto” scrisse la poetessa Christine de Pizan nel suo bel poema “Laude a Giovanna d’Arco” composto due mesi dopo la liberazione di Orléans. Christine de Pizan, italiana trasferitasi da giovane in Francia, era una celebre poetessa di idee emancipate. Da undici anni si era trasferita in un convento (sua figlia era una suora) dopo la morte dell’amatissimo marito Etienne du Castel. Da sempre era una sostenitrice dei diritti delle donne e nel suo poema allegorico “La città delle Dame ” aveva immaginato come sarebbe stato il mondo se invece degli uomini avessero governato le donne.
Nel poema Christine de Pizan chiama Jeanne “gloria delle donne“. Ella aveva compreso benissimo la grande portata dell’impresa di Jeanne per le donne. Anche il noto teologo Gerson nello stesso periodo scrisse un saggio su Jeanne. Gerson era un universitario che si era rifiutato di sottomettersi agli invasori. Aveva fama di essere un sant’uomo e a lungo si è creduto che fosse l’autore de “L’ imitazione di Cristo “, celebre libro mistico medievale. Nel saggio Gerson difendeva Jeanne sostenendo che lei non era superstiziosa (il che era vero a differenza della maggior parte dei suoi contemporanei) che non faceva nulla per interesse personale il che era vero) e giustificò il suo abbigliamento maschile che aveva suscitato molti malumori.
Anche il poeta Alain Chartier, nello stesso anno, scrisse un poema su Jeanne in cui si legge: “Tu sei il chiarore del giglio“.
Anni dopo François Villon nel suo testamento poetico scrisse dei versi su alcune donne celebri tra cui Jeanne chiamandola “Jehanne la buona lorenese“. Il poema contiene anche la famosa frase “Où sont le neiges d’antan ?” (Dove sono le nevi di una volta?
Jeanne era celebre. L’esercito francese riacquistò coraggio. A luglio del 1429 Jeanne fece incoronare il Delfino a Reims. Egli prese il nome di Charles VII. Alla cerimonia partecipano anche i genitori di Jeanne. Ora la Francia aveva un legittimo re. Tutto ciò che i “messaggeri” avevano annunciato era accaduto come avrebbe detto Seguin Seguin che era tra i professori che avevano esaminato Jeanne a Poitiers.
Ma dopo Reims la politica del re e quella di Jeanne presero strade diverse. Il re cercò un’inutile intesa con il duca di Borgogna, alleato francese degli inglesi (a lui Jeanne aveva scritto una mirabile lettera rimasta senza risposta) che lo prese in giro per mesi e Jeanne, dopo il soggiorno in un castello, continuò la guerra di liberazione.
Combatté insieme a scozzesi (che erano nemici degli inglesi) e piemontesi e ottenne una grande vittoria a Patay ed altre piccole città. Jeanne proponeva sempre prima delle battaglie la pace agli inglesi, di lei ci restano alcune lettere firmate ma gli inglesi ignoravano le sue proposte e la insultavano.
Tentò di conquistare Parigi ma dopo una giornata di battaglia venne ferita ad una gamba e dovette molto a malincuore ritirarsi. Forse se non fosse stata ferita avrebbe conquistato la capitale. A maggio del 1430 giunse a Compiègne. Da un mese i suoi messaggeri l’avevano avvisata che sarebbe stata fatta prigioniera ma non avevano saputo dirle quando. Forse a causa di un armagnacco di dubbia fama che la tradì e fece chiudere un ponte levatoio Jeanne si trovò da sola con pochi fedeli soldati tra cui il fratello Pierre e l’attendente Jean d’Aulon. Un soldato borgognone la disarcionò dal cavallo e venne catturata.
Jeanne venne imprigionata in alcuni castelli (da due tentò la fuga, una volta ferendosi seriamente). Infine venne tenuta prigioniera quattro mesi nel castello di un aristocratico borgognone. Qui tre donne della sua famiglia si occuparono di lei e Jeanne le avrebbe ricordate con gratitudine durante il processo di condanna.
Una di loro chiese all’aristocratico di non vendere Jeanne agli inglesi, ma lui la vendette per 10.000 lire tornesi (la moneta in corso). Era una somma enorme, un prezzo da principi. Gli inglesi erano raggianti di averla in loro potere, nelle loro lettere la chiamavano “eretica“, la sospettavano di stregoneria, menzionavano la sua vita “dissoluta“, i suoi abiti maschili e la chiamavano ” puttana“, il tipico insulto che le rivolgevano e che era (ed è ) il tipico insulto che i peggiori uomini rivolgono alle donne.
Un borgognone Pierre Cauchon, vescovo, ex rettore dell’università di Parigi, che aveva allora una cinquantina d’anni, fece di tutto per ottenere il ruolo di giudice al processo. Per il processo ottenne sei pagamenti dagli inglesi. La giuria era composta da circa 40 assessori (religiosi, notai, cancellieri) che non avevano potere decisionale, il promotore del processo era Luis d’Estivet, noto per le sue bestemmie.
Durante il processo Cauchon commise varie illegalità. A detta di tutti gli storici fu un processo senza nessun capo d’accusa e un processo politico spacciato per processo religioso. Jeanne venne condotta, legata, a Rouen, in una fortezza inglese verso la fine del dicembre del 1430. Era completamente sola e in mano ai suoi nemici, tutti uomini.
Gli storici sostengono che il re Charles VII aveva abbandonato Jeanne ma probabilmente egli non aveva avuto possibilità di agire.
Come abbiamo detto Jeanne non aveva commesso nessun reato. Il giudice Cauchon non avrebbe avuto il diritto legale di giudicarla perché lei non aveva commesso reati nella sua diocesi. Poi Jeanne non aveva un avvocato difensore a cui avrebbe avuto diritto se fosse stata in una prigione ecclesiastica.
Era guardata a vista giorno e notte da soldati inglesi che, secondo alcune testimonianze, spesso la insultavano. La notte le mani e i piedi venivano legati a dei grossi ceppi e certamente aveva ematomi. Nel freddissimo inverno di Rouen non c’era alcun riscaldamento nella sua cella. Nonostante la drammatica situazione e le violenze fisiche e psicologiche a cui fu sottoposta Jeanne si difese egregiamente, rispose con razionalità e coraggio.
Cauchon aveva fatto prendere informazioni su di lei a Domrémy e tutti ne avevano parlato bene. Cauchon tentò di farla passare per una strega ma il suo progetto fallì. Le streghe erano donne accusate di avere contatti con il diavolo, di occuparsi di quella che noi oggi chiamiamo magia nera, di fare sortilegi. In realtà erano anche donne socialmente scomode, sole, non catalogabili. Mesi prima a Parigi avevano condannato al rogo una povera ragazza bretone solo perché ammirava Jeanne senza conoscerla e l’imitava.
Nonostante domande insidiose la giuria non trovò nulla per cui Jeanne potesse essere condannata come strega. Ferita due volte in guerra, aveva rifiutato incantesimi ed amuleti, al popolo che le attribuiva un miracolo aveva detto che non aveva avuto alcun merito. Indubbiamente aveva avuto ragione Gerson: lei non era superstiziosa in una società molto superstiziosa e ancora avvolta in leggende pagane. Il suo rapporto con il trascendentale venne indagato ma tutto sommato in modo superficiale e man mano che andò avanti il processo interessò alla giuria molto di più il suo abito.
La giuria era composta da circa quaranta assessori e tra loro vi fu un prete che fingendosi armagnacco cercò di estorcere confidenze a Jeanne e che poi votò per la tortura e la condanna a morte. Ma anche un notaio armagnacco che abbandonò il processo Guillon Machon e che disse poi di aver pianto molto quando Jeanne era stata condannata a morte.
La testimonianza di questo notaio al processo di riabilitazione del 1455 è molto importante. Egli testimoniò che Jeanne veniva continuamente interrotta, che era “tempestata di domande“, che a volte i segretari omettevano di trascrivere le sue risposte. Jeanne chiese che una donna scelta dalla giuria dormisse nella sua cella, il che l’avrebbe protetta, che potesse ascoltare la messa, che fosse condotta a Roma dal Papa. Neppure una delle sue richieste venne accolta. Un soldato inglese cercò di violentarla ma lei si difese e denunciò l’accaduto alla giuria.
Verso metà aprile del 1431 si sentì malissimo dopo aver mangiato un pesce inviatole da Cauchon. Molti storici hanno pensato ad un tentativo di avvelenamento.
D’Estivet, il promotore del processo, redasse settanta articoli contro Jeanne, molti palesemente falsi e altri gonfiati. Il 9 maggio Cauchon la fece condurre sulla torre della fortezza e minacciò di farla torturare ma Jeanne rispose che non avrebbe parlato sotto tortura.
Il 13 maggio egli partecipò ad un fastoso banchetto dei capi inglesi in cui probabilmente si decise di affrettare la fine del processo.
Era impossibile accusarla di stregoneria perché la sua fede cristiana era cristallina, indiscutibile e la sua condotta irreprensibile.
Il 24 maggio Cauchon la fece portare in un cimitero, la minacciò ancora di tortura e del rogo, le fece firmare una abiura. Jean Massieu, l’uomo che diede l’abiura a Jeanne, testimoniò che era un testo di sei o sette righe e altrettanto disse un altro testimone ma negli atti del processo figurò una abiura di una cinquantina di righe, scritta in latino.
In quella Jeanne si autoaccusò di ogni “sorta di mancanze” come scrisse la storica Régine Pernaud. Era chiaramente un falso. In cambio dell’abiura avevano promesso a Jeanne di portarla in un altro carcere, di farla assistere da donne, di condannarla ad un carcere a vita a condizioni durissime. Jeanne era stata obbligata a lasciare il suo abito maschile e sembra che si fosse impegnata a non riprenderlo.
In confessione pochi giorni prima di morire ella disse in lacrime ad un prete di essere stata violentata da un “signore” inglese. In seguito il prete disse che Jeanne era stata “quasi violentata”. Il 27 maggio ella riprese il suo abito, disse che era pentita dell’abiura e che l’aveva fatta solo per paura di morire.
Nulla di più umano. Il fatto di aver ripreso l’abito interdetto divenne il cavillo per cui Cauchon chiese un giudizio agli assessori. Un eretico che ricadeva in errore era un eretico relapsa cioè recidivo e condannabile a morte. Trentanove assessori su quarantadue sostennero che gli articoli della ( falsa ) abiura andavano spiegati meglio a Jeanne e tre assessori che andava immediatamente condannata. Cauchon optò per il secondo giudizio e dichiarò Jeanne eretica relapsa.
Con questa accusa nel 1200 in Francia erano stati sterminati i catari e i patarini, promotori di una vita evangelica basata su una equa distribuzione dei beni, su cui scrisse nel 1900 un bel saggio Simone Weil, altra donna francese al di fuori degli schemi come Jeanne.
Il 30 maggio due frati domenicani comunicarono a Jeanne la sentenza di condanna a morte che sarebbe stata eseguita quella mattina stessa. Jeanne piangente chiese di fare la comunione. Cauchon glielo accordò e cadde in contraddizione: agli eretici relapsi era proibito fare la comunione.
In più avrebbe dovuto consegnarla ad un tribunale ecclesiastico per ragioni burocratiche troppo lunghe da spiegare, cosa che si guardò bene dal fare. Verso le 9 di mattina Jeanne venne consegnata al boia che la portò nella place du Vieux Marché di Rouen che era piena di gente, centinaia di persone tra cui molti inglesi.
Uno degli assessori tenne un lungo sermone e verso mezzogiorno fu acceso il rogo. Jeanne invocò alcune volte Gesù. Moltissimi presenti furono colti da grande turbamento e molti scoppiarono a piangere. Essi sentirono quella condanna per quello che realmente era: un omicidio. Nel pomeriggio il boia si recò in chiesa per confessarsi.
Dopo Jeanne, Charles VII riprese la guerra e ottenne nuove vittorie. Nel 1453 gli inglesi perdettero definitivamente la guerra e lasciarono per sempre la Francia eccetto Calais.
Nel 1455 la madre di Jeanne, Isabelle, che nel frattempo aveva perduto il marito e due figli e si era trasferita ad Orléans, città dove Jeanne era molto amata, chiese con una commovente e determinata lettera che fosse aperto un processo di riabilitazione o nullità del processo di condanna. Il nuovo papa approvò la richiesta. Nel 1456 il nuovo processo dichiarò falsa l’accusa di eresia per cui Jeanne era stata condannata a morte.
Giovanna D’Arco ha ispirato migliaia di libri, da capolavori di grandi artisti e grandi storici alle fiction più improbabili. Alla fine del 1500 Shakespeare la ritrasse come una strega nel dramma ” Henry VI ” ma la responsabilità era della propaganda inglese che la descriveva così da quasi un secolo.
Nel 1700 Voltaire la derise in una scadente commedia che in realtà attaccava la religione e il Medioevo. Lo scrittore Bernardin de Saint -Pierre, autore del bellissimo romanzo “Paul e Virginie”, a fine 1700, la difese.
Non si sapeva molto di Giovanna D’Arco perché gli atti dei due processi vennero pubblicati da Jules Quicherat, eminente studioso, solo nel 1849. Da allora molti scrittori e poeti hanno dedicato opere a Jeanne tra cui Schiller, Mark Twain, Rimbaud, Lamartine, Péguy, Paul Claudel, George Bernard Shaw, Anna Seghers, Jean Anouilh, Bertolt Brecht, Elsa Morante, Maria Luisa Spaziani.
Musicisti come Verdi, Rossini, Tchaicovsky, Leonard Cohen e altri le hanno dedicato opere e canzoni. Patti Smith le ha dedicato una poesia. Grandi registi come Dreyer, Rossellini e Bresson e altri hanno realizzato bellissimi film su Giovanna D’Arco.
Esiste persino un videogame ispirato a lei.
Anche alcuni psicologi, parapsicologi, esponenti del movimento LGBT, molti politici francesi e la Chiesa cattolica si sono occupati di Giovanna d’Arco.
Alcuni psicologi hanno fatto le ipotesi che le apparizioni o le voci fossero allucinazioni causate da alcune patologie tra cui epilessia e schizofrenia. E’ altamente improbabile che Giovanna D’Arco fosse epilettica perché nessuna testimonianza riporta che avesse qualcosa di simile ad attacchi epilettici.
Se li avesse avuti molto probabilmente Cauchon li avrebbe usati come prova di possessione diabolica. Come abbiamo visto Giovanna d’Arco aveva una forte costituzione, si riprese velocemente dalle due ferite riportate in guerra e superò il tentato avvelenamento o intossicazione che aveva avuto durante la prigionia.
Riguardo alla ipotesi di schizofrenia altri psicologi si sono opposti sostenendo che Giovanna D’Arco non aveva alcun tratto di questa patologia. La parapsicologia ha invece fatto l’ipotesi che Jeanne fosse una grande medium o sensitiva come in tempi più recenti Edgard Cayce, Gustavo Rol, Natuzza Evolo.
Personalmente ho notato che la ” luce smagliante ” delle apparizioni di Giovanna D’Arco assomiglia molto alla luce molto forte delle ” near dead experience ” (esperienze di premorte) descritte, tra gli altri, dalla psichiatra Elizabeth Kübler Ross e dal cardiologo olandese Pim van Lommel.
Nel 1936 la scrittrice inglese Vita Sackville-West pubblicò un saggio su Giovanna D’Arco facendo l’ipotesi che ella potesse essere lesbica. Vita Sackville-West era una nota autrice bisessuale che ebbe una grande storia d’amore con la scrittrice Virginia Woolf.
L’ ipotesi è stata recentemente ripresa dal movimento LGBT americano che ha visto in Giovanna D’Arco un transgender.
Il motivo di base era l’abito. Se Giovanna D’Arco avesse scelto di indossare un abito maschile per i motivi citati in questo articolo o anche per ragioni più profonde e private non è dato di sapere. Alcuni testimoni hanno dichiarato al processo di riabilitazione che ella dormiva spesso con delle donne ma gli storici ci dicono che questo era usuale fra le donne nel Medioevo senza alcuna implicazione sentimentale e di intimità.
Giovanna D’Arco visse l’anno delle grandi vittorie, il 1429, a diciassette anni, in un mondo esclusivamente maschile, tra alti comandanti e soldati e probabilmente aveva bisogno di amicizie e di conversazioni femminili e ciò era possibile solo di notte avendo di giorno le esercitazioni, le cavalcate e gli impegni di un alto comandante.
Comunque anche se invece avesse avuto una storia d’amore con una ragazza ciò sarebbe stato del tutto legittimo, aveva diciassette, diciotto anni, non era sposata, non era una monaca, il voto di castità che mantenne riguardava la verginità. Nessuno può sapere se Giovanna D’Arco si innamorò mai, se ebbe una storia d’amore, né il suo orientamento sentimentale perché non ci sono a riguardo documenti storici attendibili eccetto la frase su Hauviette al processo di riabilitazione che può essere intesa sia nel senso di una grande amicizia fraterna sia in senso sentimentale.
Nel corso del tempo in Francia tutti i partiti politici hanno rivendicato Giovanna d’Arco, eroina nazionale, celebrata l’8 maggio, anniversario della presa di Orléans.
Da una trentina d’anni il Front National, partito di estrema destra, sta cercando di appropriarsi della figura storica di Giovanna d’Arco ma la politica del Front National è assolutamente incompatibile con il cristianesimo evangelico di Giovanna D’Arco.
Ed infine c’è la Chiesa cattolica che nel 1431 aveva abbandonato Giovanna D’Arco in mano ai suoi carnefici (molti erano uomini di Chiesa) ma che nel 1454 approvò il processo di riabilitazione per determinare se l’accusa di eresia fosse vera o falsa.
Alla fine del 1800 venne accolta la proposta di beatificazione richiesta da un prete e nel 1920, dopo il processo per accertare la santità ed alcune guarigioni miracolose di ammalati che l’avevano pregata, Giovanna D’Arco venne dichiarata santa.
Certamente Giovanna D’Arco agli inizi del 1400 dimostrò che le donne possono scegliere indipendentemente le loro vite in un periodo storico in cui ciò era impensabile e dimostrò una fede cristiana assoluta che non cedette neppure nell’anno della terribile prigionia.