Il mio cammino tra impegno politico e lotta per i diritti LGBT
Dialogo di Katya Parente con Gianmarco Capogna
Lui è Gianmarco Capogna, classe 1989, specializzato in Politiche europee della non discriminazione. Impegnato politicamente in Possibile, si definisce “convintamente progressista e di sinistra”, e oggi ci parlerà della sua attività a sostegno delle persone queer.
Perché sei diventato attivista?
I temi dei diritti, del femminismo e delle questioni di genere in generale sono da sempre stati di mio interesse, a partire dagli ultimi anni di liceo, quando si faceva chiara in me la volontà di intraprendere la facoltà di Scienze Politiche. Intorno ai 17/18 anni ho cominciato a interessarmi alla situazione politica generale, e poi, quando mi sono trasferito a Siena per l’Università, per motivi accademici ma anche di personale volontà di partecipare ad associazioni e movimenti, mi sono avvicinato all’Arci e alle realtà studentesche, e da lì poi verso i temi LGBTI.
Con altre persone di Siena abbiamo dato vita a una associazione culturale a tema LGBTI, che poi negli anni si è trasformata in un comitato Arcigay. Sono stati anni di studio ed impegno su questi temi, che porto nel mio bagaglio di esperienze e a cui tengo molto. Sono davvero legato a quegli anni, in cui sono cresciuto molto, acquisendo anche consapevolezza di come la visibilità sia la più grande rivoluzione per una persona LGBTI+, specialmente in Italia.
La forza più grande, come movimento e come attivist*, è il coraggio di scendere in piazza con i nostri corpi, le nostre storie, la nostra dignità, per rivendicare diritti e uguaglianza che ci spettano come cittadini e cittadine, ma più in generale come esseri umani. Ho da sempre anche ritenuto fondamentale che le battaglie fossero intersezionali, perché non possiamo pensare che ciascuno di noi non viva ogni giorno discriminazioni multiple, e ancor di più perché dobbiamo comprendere che insieme siamo più forti.
A questo serve fare rete: con le associazioni antifasciste, con il femminismo intersezionale e trans-includente, con i movimenti studenteschi e quelli ambientalisti. La nostra sfida è per un mondo più giusto, che sia in grado di declinare giustizia e uguaglianza in ogni ambito della nostra vita quotidiana.
Sei portavoce nazionale di Possibile LGBTI+. Ci parli un po’ dell’associazione e della tua esperienza al suo interno?
Dopo anni di esperienza associativa ho sentito l’esigenza di cambiare prospettiva, portando il bagaglio costruito negli anni in politica. Ho pensato, e penso tuttora, che alla politica serva la dimensione rainbow, intesa non solo come battaglie di liberazione da portare avanti, ma anche modi e prassi che abbiamo sperimentato negli anni come associazioni e come movimento.
Con questo spirito ho approcciato la politica e, badate bene, la politica, non un partito. Nel 2012/2013 ero in Erasmus, e ho scoperto online Giuseppe Civati e le sue battaglie. Rimasi stupito di come ci fosse qualcuno seduto in Parlamento che pensava, diceva e agiva esattamente come avrei fatto io. Quando si candidò alla segreteria del PD sentii che dovevo partecipare, e da quel momento l’ho seguito, prima tra i democratici e poi in Possibile, che insieme a tant* altr* ho contribuito a fondare.
Possibile è oggi il mio partito, nato con il simbolo dell’uguaglianza nel logo (quello che richiama la battaglia per il matrimonio egualitario, per capirci), perché per noi l’uguaglianza è un faro. Da qualche anno sono membro del Comitato Scientifico nazionale che affianca la Segretaria nella dimensione di policy making, e da questo ruolo, e dall’impegno che da sempre abbiamo voluto portare avanti, nasce “Possibile LGBTI+”, una campagna tematica permanente di cui sono portavoce nazionale, che mette insieme tutte le proposte su questi temi fatte negli anni e continua ad occuparsene ogni giorno dell’anno.
Sembra una cosa strana in Italia, ma funziona così in tutti i partiti europei che hanno a cuore le battaglie della comunità: è presente nel Labour, nel PS, in Génération.s, nel PSOE, nei Verdi di vari Paesi. Per questo abbiamo deciso che anche in Italia fosse il momento di una campagna politica permanente, che potesse servire a dare voce a battaglie che troppo spesso rimangono appannaggio delle sole campagne elettorali.
Cito solo due campagne che abbiamo lanciato con una grande eco: una petizione che ha raggiunto oltre 15mila firme sulla difficoltà di reperimento dei farmaci ormonali per le persone trans*, e la campagna per una legge contro le terapie di conversione per le persone LGBTI+. Tutto il lavoro che facciamo è disponibile sulle nostre pagine social, Facebook, Twitter e Instagram.
Sei specializzato in Politiche europee della non discriminazione. In che posizione siamo, all’interno dell’Unione Europea, per quanto riguarda l’omotransfobia?
Il nostro Paese è molto lontano dagli standard europei su questi temi. Lo era quando mi sono laureato nel 2013, lo è ancora oggi. Il passo avanti delle Unioni Civili del 2016 non basta a sorreggere la situazione generale, ed è evidente se si considera la Rainbow Map annuale di ILGA
Europe, che questo anno ci vede capofila del gruppo degli ultimi Paesi in Europa, quelli dell’Est, prevalentemente.
Nelle aree considerate dall’indagine continuiamo a perdere posizioni, e la forbice con i più avanzati si allarga sempre più. La situazione, specialmente in merito a violenze, odio e discriminazioni è abbastanza preoccupante. In ambito di mondo trans* direi che siamo già in emergenza: siamo il Paese con il maggior numero di vittime dopo la Turchia, e nessun passo avanti è stato fatto in ambito di legislazione e di inclusione sociale e culturale. Il percorso verso l’uguaglianza è davvero lungo e tortuoso, speriamo che si acquisti sempre maggiore consapevolezza politica, da un lato da parte del movimento che sappia fare pressione e lobby verso la politica, dall’altro dalla politica, che decida, almeno quella progressista, di abbracciare davvero le nostre istanze, e non solo come cartina di tornasole alle elezioni in programmi che restano sulla carta e non vengono mai trasformati in politiche attive.
Credi che la nuova legge al vaglio del governo passerà?
La legge Zan è una grande incognita. Lo era prima, quando non si conosceva il testo, lo è oggi quando sembra abbastanza evidente che, specialmente al Senato, la strada sia molto stretta. Il testo presentato rappresentava una buona mediazione, che andava difesa strenuamente nonostante l’assenza del reato di propaganda, che per noi di Possibile era uno degli elementi fondamentali; l’adozione di un emendamento bipartisan (Forza Italia, Italia Viva e PD), che mette nero su bianco l’esistenza di comportamenti legittimi identificabili nel pluralismo delle idee (senza indicare quali) è un primo passo al ribasso.
Oltre non si può andare secondo me, anzi si potrebbe auspicare anche il ritiro dell’emendamento “Salva idee” in aula, tanto più che il suo ideatore, Costa, ha lasciato Forza Italia per passare ad Azione di Calenda. La politica deve essere coraggiosa, solo in questo modo può riconquistare la fiducia del movimento e della comunità. Abbiamo estremo bisogno di una norma contro i crimini d’odio verso le persone LGBTI+, e non possiamo permetterci di attendere oltre, 25 anni sono già più che sufficienti. Allo stesso modo non possiamo accettare una legge di facciata che nel pratico non riesca a garantire sicurezza e dignità alle nostre esistenze.
La battaglia è in salita, ma noi continueremo a difendere la legge, anche nelle di parti che qualcuno vuole far passare come controverse. Ad esempio, noi siamo pienamente d’accordo che questa sia una legge che tuteli “genere, orientamento sessuale e identità di genere”, tre elementi che, seppur diversi, si intrecciano e devono stare insieme.
Secondo te, i politici nostrani rispecchiano o no la società civile italiana?
La nostra società è estremamente complessa; da un lato mi verrebbe di dire di sì, perché sotto alcuni aspetti la nostra classe dirigente rispecchia, seppur in maniera parziale, una serie di vizi e virtù tipiche; dall’altro mi sento di dire con fermezza di no, perché ancora troppi gruppi sociali non hanno adeguata rappresentanza. Pensiamo ai giovani, ai lavoratori precari (o alle nuove tipologie lavorative), alle donne e alla comunità LGBTI, anche straniera.
C’e’ un grande lavoro da fare a partire dalla legge elettorale. Negli ultimi anni siamo stati abituati a votare con liste bloccate, dove le persone sono imposte dalle segreterie di partito: questo crea una situazione quasi più di sopravvivenza del ceto politico che di capacità di apertura e rinnovamento dello stesso. Credo che questo Paese abbia bisogno di maggiore rappresentatività e capacità di esprimere direttamente la propria classe dirigente, attingendo dalle tante competenze che esistono sui territori: dobbiamo rompere lo schema della politica per la politica e tornare a vivere la politica come servizio a disposizione della collettività.
Cosa dovremmo fare noi, semplici cittadini, per rendere il paese un po’ più accogliente?
Non dobbiamo nasconderci, dobbiamo rispondere all’odio e all’imbarbarimento culturale con le nostre storie ed i nostri corpi. Dobbiamo raccontare che esistiamo e che pretendiamo diritti e che, soprattutto, non vivremo più nella paura delle violenze e delle discriminazioni.
È un gesto rivoluzionario se ci pensiamo, ed è ancora più importante perché serve a dare voce e coraggio a chi non li ha. Penso ai giovani LGBTI+, che sono sempre più vittime dell’odio e che non sempre hanno la forza di reagire. Allo stesso tempo, serve un’alleanza intragenerazionale tra chi ha già fatto il suo percorso di visibilità e le nuove generazioni, che si dimostrano sempre più aperte e sensibili alle nostre battaglie. Lo abbiamo visto con la straordinaria partecipazione ai Pride, per
esempio. Oltre a questo, come per le violenze di genere, serve denunciare, sempre. Sono battaglie difficili da portare avanti, ma portano a dei risultati importanti per tutte, tutti, tutt*.
Mai abbassare la guardia, dunque, sembra dirci Gianmarco. Lottare sempre. Le armi sono quelle che non vanno mai fuori moda: (auto)consapevolezza, cultura, sinergia e creatività. Armiamoci tutti, e continuiamo la battaglia.