San Sebastiano. Il tormento e l’estasi
Articolo* pubblicato sul blog “El alma y sus oficios” (Spagna) il 9 settembre 2012, liberamente tradotto da Adriano C.
Ci sono migliaia di raffigurazioni del martirio di San Sebastiano, anche se nessuna di queste ha il potere di esaurire lo spazio nouminoso del mito. Ma se cerchiamo un denominatore comune a tutte queste opere ci scontreremo spesso con due significati, uno più accettabile e figurato, l’altro più impertinente e postmoderno. L‘immagine simboleggia in primo luogo il sacrificio dell’eroe che dà la vita per i suoi principi, la persona integra che sceglie di assumere senza calcoli il prezzo della sua libertà.
San Sebastiano, un generale romano che si convertì al cristianesimo, venne giustiziato per essersi rifiutato di obbedire agli ordini dell’imperatore Diocleziano gli chiese di abiurare la sua fede. Esso incarna l’idealista, la forza invincibile della coscienza contro le esigenti richieste del mondo.
Ma al tempo stesso e per una sorta di scherzo sacro, il martirio di San Sebastiano, deviando dalla intenzione originaria dei suoi promotori ecclesiastici che volevano usare la tortura come una prova pubblica della verità cristiana, si è convertito all’ombra stessa del cristianesimo trionfante, repressivo e omofobo, in un’icona della comunità gay.
A questo ha contribuito non solo la coerenza estrema del santo, ma anche la bellezza e la sensualità della figura maschile, la sua nudità provocatoria, così come l’atteggiamento passivo, fortemente femminile, della sua espressione, che prima ancora che ad una casta devozione, invitava al sollazzo sfrenato, alla dolce lussuria, permettendo ai fedeli (chierici inclusi) di pregare senza peccato, anche se travolti da un formicolio peccaminoso.
Come l’Estasi di Santa Teresa del Bernini, gli elementi spirituali dell’immagine fanno intravedere un erotismo nascosto che ribolle e pulsa all’interno. Pietra di scandalo per una fede morigerata e puritana, che demonizza e criminalizza il godimento del corpo. Senza sapere che che il proibito riesce sempre a sopraffare le tristi cause che lo censurano, fondendosi in questo caso al dolore estremo.
In San Sebastiano il martirio diventa estasi, l’ascesi nel preambolo della consegna carnale. Forse è per questo che l’espressione del santo, sebbene ferito e umiliato dall’intimo amore per Cristo, è di godimento, come se le frecce che penetrano la sua carne, l’esibizione del suo corpo nudo di fronte ai carnefici, il rito voluttuoso del sangue, potessero rendere visibile passaggio orgasmico verso il paradiso.
Ma l’idealista e l’icona gay che il mito racconta, lungi dall’essere in contraddizione, sono la luce e l’ombra del progetto cristiano, che è in qualche modo anche la storia dell’Occidente. Questo uomo integro è il cristiano perseguitato, la comunità delle vittime, la chiesa delle catacombe, la religione dell’amore. L’omosessuale ferito e trafitto ci riporta invece, al persecutore cristiano, alla ferocia del potere, alla gestione della paura, alla chiesa di Roma. San Sebastiano sintetizza, come nessun altro simbolo, il cristiano represso dalla sua fede e il gay represso dai cristiani.
Strano e suggestivo paradosso che questa fotografia ha la capacità di illustrare, magari con l’ambizioso obiettivo di farla sparire in un universo sociale sul quale si continua ad infierire con i pregiudizi e l’intolleranza.
La presenza sia imbarazzante che accattivante dell’immagine, ci fa giungere senza ironia ad uno stato d’animo di dolce tormento irriverente, ci ricorda che non c’è uscita al dilemma: o siamo San Sebastiano, o siamo i suoi carnefici.
* “Quando sento gli uomini adulti di Mota (ndr in Spagna) utilizzare la parola gay con rispetto, quegli stessi uomini che quand’erano bambini utilizzavano la parola frocio con disprezzo, capisco quanto questa piccola città in cui sono nato è diventata gentile e tollerante. Dedico questo scritto a coloro che hanno pagato un prezzo per aver osato essere se stessi”.
Testo originale: El dulce tormento de san sebastián