Gli omosessuali credenti e il Vaticano II
Relazione di Gianni Geraci del Guado di Milano all’Assemblea “Chiesa di tutti, chiesa dei poveri”, Roma, 15 settembre 2012
Questo intervento, fatto a nome del «Guado», un gruppo di riflessione e di ricerca su fede e omosessualità, vuole dare voce alle gioie alle speranze, alle tristezze e alle angosce dei tanti omosessuali credenti che guardano alla chiesa con gli occhi di chi vorrebbe essere accolto senza paura e che, però, proprio con questa paura deve fare i conti.
Quando, cinquant’anni fa, iniziava il Vaticano II, i nostri gruppi e le nostre associazioni erano ancora di là da venire. I primi passi, infatti, li abbiamo mossi quasi vent’anni dopo, verso la fine del 1980. Non abbiamo quindi conosciuto, come gruppi, la grande vitalità che c’è stata nella chiesa italiana negli anni che sono seguiti al Vaticano II. Soprattutto, non abbiamo avuto modo di “gustare” quell’ottimismo, ispirato da una profonda fede, che aveva spinto Giovanni XXIII a indire il Vaticano II.
Quella che oggi abbiamo davanti è una chiesa che ha paura del mondo contemporaneo, una chiesa che davvero fa fatica a condividere le gioie e le speranze degli uomini d’oggi, una chiesa che guarda con preoccupazione a quanto succede nella società e nel mondo e che, per questo motivo, resta arroccata su posizioni indifendibili.
Già cinquant’anni fa, lo stesso Giovanni XXIII, aveva dovuto fare i conti con questo atteggiamento. Non a caso nel discorso con cui ha aperto il Concilio l’ha ricordato con queste parole:
«Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.
A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa».
Purtroppo, quegli stessi “profeti di sventura” hanno avuto il sopravvento nella Chiesa e l’hanno avvelenata con parole che sono ispirate alla diffidenza e alla paura, l’hanno ingabbiata dentro norme che condizionano la libertà d’espressione dei singoli vescovi e l’hanno soffocata attraverso centinaia di condanne che hanno colpito la maggior parte dei teologi che cercavano di sviluppare le intuizioni proposte dal Concilio.
Quegli stessi profeti di sventura hanno sviluppato un vero e proprio “terrore” nei confronti delle persone omosessuali e delle relazioni che costruiscono e hanno sistematicamente attaccato quanti, all’interno della Chiesa, accettavano di ascoltarci.
Questi stessi profeti di sventura hanno lavorato attivamente perché la Chiesa, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, al posto di andare avanti andasse indietro, perdendosi in una sequela infinita di precisazioni, di indicazioni, di rettifiche, di istruzioni, di norme, di sentenze, di condanne che avevano come unico scopo quello di ingabbiare e di normalizzare la voce dello Spirito Santo che il Concilio aveva suscitato.
Non è un caso se, alla fine degli anni novanta, il cardinal Martini, prendendo atto delle difficoltà che erano sorte, ha deciso di raccontare ai vescovi riuniti in Sinodo, il suo sogno di una chiesa davvero conciliare: «Un terzo sogno è che il ritorno festoso dei discepoli di Emmaus a Gerusalemme per incontrare gli apostoli divenga stimolo per ripetere ogni tanto, nel corso del secolo che si apre, un’esperienza di confronto universale tra i Vescovi che valga a sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali che forse sono stati evocati poco in questi giorni, ma che riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino delle Chiese europee e non solo europee.
Penso in generale agli approfondimenti e agli sviluppi dell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Penso alla carenza in qualche luogo già drammatica di ministri ordinati e alla crescente difficoltà per un vescovo di provvedere alla cura d’anime nel suo territorio con sufficiente numeri di ministri del Vangelo e dell’Eucarestia. Penso ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell’Ortodossia e più in generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica, penso al rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale».
Questo sogno del cardinal Martini ci ha aiutato a capire che, al di là di una chiesa che sembrava arroccata e incapace di ascoltarci, c’era una chiesa, quella che si era espressa durante il Concilio Vaticano II e che viveva ancora in una dimensione “conciliare” che voleva aiutarci ad abbandonare la paura e l’ipocrisia, a venir fuori, a fare il nostro coming out e a chiedere in maniera esplicita ai nostri pastori: «Come possiamo noi, che siamo omosessuali, realizzare in pienezza la nostra vocazione cristiana?». Una domanda la cui risposta si può leggere tra le righe di due documenti del Concilio Vaticano II:
Nella costituzione Gaudium et spes innanzi tutto. Se infatti è vero che i padri conciliari si sono occupati dell’amore umano nell’ottica del matrimonio eterosessuale è anche vero che l’evidenza che hanno dato alla mutua donazione dei coniugi all’interno della relazione di coppia si può applicare anche alle persone omosessuali e, in particolare, agli omosessuali credenti, che sono chiamati a testimoniare nella loro vita il fatto che sia possibile, anche per loro, vivere delle relazioni di coppia fondate sulla fedeltà, sulla responsabilità e sulla ricerca del bene del bene comune.
Nella dichiarazione Dignitatis Humanae in secondo luogo. Quando si sottolinea la responsabilità che i credenti hanno di formare e di ascoltare una coscienza retta per trovare, nel concreto, le strade che possono portarli a vivere pienamente la loro vocazione cristiana.
Su questo ultimo punto vorrei chiudere il mio intervento per riflettere insieme su una domanda che spesso emerge quando si parla di Vaticano II. «Ma il Concilio è stato un momento di rottura con la tradizione della Chiesa o è stato invece un momento di continuità?».
Proprio le riflessioni sulla libertà di coscienza sviluppate nella dichiarazione Digitatis Humanae, dimostrano come il Concilio sia stato un momento di continuità rispetto alla Tradizione millenaria della Chiesa e sia stato, nello stesso momento, un momento di rottura con l’angusta interpretazione che, di quella stessa Tradizione, veniva data dopo la Riforma.
Se infatti è vero che l’aver affermato il primato della coscienza sia stato un vero e proprio atto di rottura rispetto alla prassi che si era consolidata nella Chiesa cattolica (e che, purtroppo, è ancora seguita da buona parte della gerarchia, del clero e dei fedeli), è anche vero che questa stessa affermazione non fa altro che riprendere il senso del messaggio cristiano così come la Chiesa stessa l’aveva accolto e proposto nel pensiero occidentale.
E per capire questo basta ricordare quanto scrive Tommaso d’’Aquino nel De Veritate quando, appunto, si confronta la voce della coscienza con le indicazioni del magistero. «Comparare igitur ligamen conscientiae ad ligamen quod est ex praecepto praelati, nihil est aliud quam comparare ligamen praecepti divini ad ligamen praecepti praelati. Unde, cum praeceptum divinum obliget contra praeceptum praelati, et magis obliget quam praeceptum praelati: etiam conscientiae ligamen erit maius quam ligamen praecepti praelati, et conscientia ligabit, etiam praecepto praelati in contrarium existente».
Il più grande teologo cristiano dice in sostanza che la voce della coscienza è la voce di Dio e che, quando c’è contrasto tra la voce della coscienza e le indicazioni del Magistero il cristiano deve obbedire alla propria coscienza.
Con questa certezza dobbiamo andare avanti senza preoccuparci degli strilli che vengono da quanti vogliono affossare il Concilio. Con questa stessa certezza dobbiamo riappropriarci della Fede di cui tentano di espropriarci. Con questa stessa certezza dobbiamo vincere la paura che sta soffocando la Chiesa cattolica romana e che la sta progressivamente allontanando dal Vangelo.