L’alternativa che unisce è la sfida del Progetto Gionata
Riflessioni di Alberto Sonego*, volontario del progetto Gionata
Il problema che ritengo sia interessante analizzare per capire quali sono le potenzialità del Progetto Gionata è costituito dai termini “società” e “comunità”, reciprocamente (spesso) antitetici. “Società” che si incarna nel ruolo ideale del partito politico, intesa come una generalità per cui un progetto risulta essere giustificabile nella misura in cui è universalizzabile; dall’altra parte, nella “consociazione comunitaria” prevale una prospettiva che guarda alla specificità di tale soggetto rispetto al contesto in cui è collocato, e che ritiene che un qualunque tipo di atto sia giustificabile nel momento in cui è condiviso da tale “sezione” di società.
È sufficiente in questo caso un accordo basato sulla tutela della diversità: ecco, questo secondo percorso può essere sintetizzato in un atteggiamento riflessivo mirato, ovvero non disteso verso l’universalizzazione ma indirizzato piuttosto all’isolamento di tratti e caratteri non assimilabili dalla generalità.
Credo che il progetto Gionata abbia la possibilità di distaccarsi sia dall’uno che dall’altro modello (dai partiti politici per come sono tradizionalmente intesi e dalla associazioni omosessuali come Arcigay o simili).
Tuttavia la proposta non deve essere quella di un terzo percorso (per cui sia la generalità che la specificità vengono negate), bensì, basandosi sulla comprensione dell’esistenza di queste due diverse linee d’azione contrapposte l’una all’altra (conflittualità reciproca), la soluzione non sarà l’amplificazione della conflittualità (introduzione di un terzo “personaggio”), ma guarderà finalmente verso il pervenire ad una soluzione non-definitiva, non-ultima.
Non l’individuazione di una terza via, ma un percorso in grado di condurre un nuovo tipo d’analisi per cui non si costituisca una semplice terza via o opzione, ma un’alternativa derivante dalla congiunzione, dall’unione di quelle due vie (quella della politica e della consociazione comunitaria) che conduce ad un diverso modo di affrontare il problema dei diritti civili. Questa alternativa è offerta, a mio avviso, dall’ambito dell’etica.
Una soluzione, per così dire, in grado di risolvere soltanto (e non è poco) il rapporto, non la sostanza, il dibattito in sé, il problema. Perciò quando si parla di rapporto tra proposta, idea o principio e un piano etico non bisogna fraintendere il senso di questo percorso: non c’è una risposta immediata. Attraverso una lettura etica del problema è possibile uscire dall’ambito della specificità comunitaria (LGBT) ed orientarsi verso la società tutta. Cammino a senso unico? No: se noi la guardiamo “dall’esterno”, l’operazione lavora in ambo i sensi, ricongiungendo appunto ciò che era opposto. Immaginando una reciprocità positiva e collaborativa.
Il piano etico va tracciato, non c’è dubbio: devono essere posti dei paletti che ci consentano di visualizzare prima e localizzare poi una tavola di valori condivisi che non debbono essere fraintesi.
Mi rendo conto della complessità ed ambiguità di questo progetto: pretendendo di appianare un conflitto tra prospettive, non offre delle soluzioni rispetto a problemi che pure fa emergere (rispetto cioè a questioni casistiche che tuttavia, alla situazione attuale, non può maneggiare senza rischiare di cedere da una parte o dall’altra).
Ritengo tuttavia che sia un tipo di indagine in grado di dare risultati tangibili, concreti.
Quello che è necessario mettere a fuoco è, al contrario: che cos’è l’etica? Ho scritto “al contrario”…non è un errore: la domanda che poniamo, “che cos’è l’etica?” è effettivamente la risposta all’intero problema dei diritti civili. Infatti, una volta che si è individuato questo piano etico, le questioni ivi poste si risolvono da sé.
Se ad esempio fisso l’intoccabilità della vita umana come principio etico ineliminabile, nel momento in cui cerco di contestualizzare l’elemento “omicidio” all’interno di questo quadro è chiaro che la risposta mi rimbalza addosso (la classificazione come “crimine”, “reato” o, in ambito religioso, “peccato”).
Tuttavia, è questa domanda che ci consente di cominciare un percorso che non può che offrire risultati certi (la risposta ad essa è infatti non solo il principio, ma è anche e soprattutto il termine della discussione). Risultati certi di cui il progetto Gionata ha una responsabilità che può diventare decisiva.
* Ho già trattato, in breve, il richiamo all’etica in quanto punto a mio avviso fondamentale per il Progetto Gionata; un punto (o spunto, che dir si voglia) che vorrei in questo testo rinforzare con osservazioni ed analisi riguardanti il rapporto stesso in cui tale prospettiva si colloca, oggi, all’interno dello scenario politico-culturale interessato alle problematiche LGBT.