La chiamata di Levi e quella dei cristiani LGBT e dei loro genitori (Mc 2,13-17)
Riflessioni di Moreno sull’incontro biblico del gruppo Prendete il Largo di Verona tenutosi del 21 settembre 2020
Nell’ultimo incontro (del gruppo Prendete il Largo di Verona) ci siamo trovati insieme, riscoprendo il valore di un cammino iniziato circa un anno fa. Eravamo solo in 6, me compreso e tuttavia la condivisione è stata proficua. Il Vangelo scelto era quello della giornata: la pericope della chiamata di Levi (Matteo) da parte di Gesù, l’invito alla sequela.
Gli spunti sono stati molteplici e la condivisione iniziale dello stato d’animo personale prima di iniziare il gruppo era alquanto diversificata: qualcuno ha portato il “casino” interiore da cui sembra esser abitato, qualcuno il senso di gratitudine verso la vita e i doni ricevuti, qualcuno l’intolleranza e la fatica di sopportazione degli altri in generale, qualcun altro, ancora, il desiderio di pianificare e di dare una maggior organizzazione alla propria vita.
Ciò su cui ci siamo fissati è stato l’atteggiamento di Gesù: senza esprimere giudizi sulla professione di Levi (esattore delle tasse), Gesù lo ha chiamato a seguirlo, dopo averlo visto (Gesù vide un uomo di nome Matteo). Chissà cosa avrà visto Gesù in Matteo ….. chissà come lo avrà visto.
Di certo Gesù vede oltre ed altro rispetto a quanto tutti gli altri vedono… Ma soprattutto Gesù – principalmente – VEDE ciascuno di noi. Nessuno di noi rimane invisibile ai suoi occhi.
Se talora noi stessi non ci sentiamo visti, riconosciuti ed opportunamente considerati dagli altri, altre volte, invece, siamo noi stessi a non vedere nemmeno gli altri o, ancor peggio, quando li scorgiamo da lontano li incateniamo prontamente nella gabbia dei nostri pregiudizi, li definiamo o li finiamo, li facciamo fuori in un attimo (E’ un po’ quello che fanno i farisei quando dicono ai discepoli di Gesù: “Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?“)
Ma Gesù vede bene, Gesù vede il cuore di chi chiama, vede in maniera nuova e diversa. E Matteo – dopo la chiamata – si alza ed inizia a seguirlo.
Quando noi troviamo qualcuno che crede e scommette su di noi, cominciamo a portar frutto: iniziamo davvero ad esprimere tutto il nostro potenziale inespresso, rimasto sopito fino a quel momento.
Trovare qualcuno che ci dona uno sguardo di fiducia, di speranza e di incoraggiamento riattiva spesso in noi tutti quei doni, rimasti risorse inutilizzate fino a quel momento.
Nel gruppo sono riecheggiate le parole di Mara Grassi – vicepresidente della Tenda di Gionata – sentite spesso in questi ultimi giorni: Mara ha riferito della sua stessa necessità di dover cambiare il proprio sguardo sul figlio omosessuale, per poter capire il grande dono che Questi rappresentava, non solo a prescindere dal suo orientamento sessuale, dalla sua omoaffettività, ma forse proprio grazie a questo.
E anche quelle del Papa sono state parole che hanno accarezzato, donando a Mara la speranza che anche la Chiesa – di cui pure tutti sono e siamo parte, di cui tutti pure sono e siamo figli amati da Dio e di Dio – possa aver un giorno non lontano uno sguardo nuovo, uno sguardo di accoglienza, amore e benevolenza verso tutti.
Qualcuno, a questo proposito, ha integrato dicendo che l’obiettivo è quello di superare anche il concetto che sottende al verbo ACCETTARE. Se questa poteva essere una finalità desiderata alcuni anni fa dalle comunità Lgbt, ora sembra essere ed esprimere un orizzonte di pensiero superato.
Accettare ha sfumature che suggeriscono e/o ricordano troppo da vicino quelle del verbo tollerare e, quindi, sembrano essere insufficienti. L’interrogativo emerso era anche quello che riguardava chi deve accettare chi.
Sembra sempre che siano gli eteronormati a “concedere” la loro accettazione agli omosessuali, transessuali. Francamente si fatica sempre più a sentire frasi di questo calibro: “Io accetto gli omosessuali”. Diventa qualcosa che assume quasi toni e sfumature di un’offesa,di una elargizione che sembra (pro)venire dall’alto, da chi si sente in condizione di supremazia e di normalità, da chi sta – o presume di stare – ritto sul piedestallo della sua perfezione donando bontà e comprensione a a quanti ritiene comunque in difetto, in errore …. (“Chi crede di stare in piedi, stia attento a non cadere” 1 Cor 10,12)
Come si sentirebbero gli eterosessuali, laddove dicessimo loro che noi li accettiamo??
La parola chiave è risultata allora misericordia, che ricorda da vicino amore, carità, accoglienza. E’ stato modo vederne diverse accezioni e declinazioni, comprendendo come il nostro sia sempre un modo molto “umano” di assumere queste viscere.
Qualcuno ha riportato come nella sua vita il momento in cui ha sentito di avere questo sguardo nuovo e questo cuore maggiormente comprensivo ed accogliente è stato quello in cui è riuscito, finalmente, a perdonare i propri genitori.
Comprenderli ed accoglierli per quello che sono stati nella sua storia e per gli sbagli che possono anche aver commesso, gli ha dato modo di ricevere in sé una serenità d’animo davvero nuova e sconosciuta fino ad allora.
Il brano del vangelo: Marco 2,13-17
(Gesù) Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. [14]Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Egli, alzatosi, lo seguì.
Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: “Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?”. Avendo udito questo, Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”.