La Chiesa di Francesco di fronte all’omosessualità
Dialogo di Katya Parente con il giornalista Luciano Moia
Ospite di oggi è il giornalista Luciano Moia, firma di Avvenire e attento conoscitore della dinamiche interne alla Chiesa. Nei mesi scorsi è uscito, per le Edizioni San Paolo, il suo ultimo libro “Chiesa e omosessualità. Un’inchiesta alla luce del magistero di papa Francesco”, un volume che raccoglie le interviste uscite sul mensile di “Avvenire”, “Noi famiglia & vita”, tra l’ottobre 2018 e il settembre 2019, e che sottolinea, se mai ce ne fosse bisogno, l’importanza dell’argomento “omosessualità” nell’ambito ecclesiastico.
Cosa l’ha spinta a riunire queste testimonianze in un singolo volume?
Si tratta di un’esigenza che si è manifestata via via nel tempo, mentre le puntate dell’inchiesta si susseguivano. Tanti lettori, ma soprattutto tanti operatori pastorali, tra cui non pochi preti, hanno espresso il desiderio di poter disporre di un volume con tutte le interviste insieme, vista l’assenza quasi totale di approfondimenti organici sul tema pastorale e omosessualità. Le interviste non sono evidentemente approfondimenti organici, ma dalle riflessioni di tanti esperti in cui è possibile cogliere spunti interessanti per trarre indicazioni su un tema a lungo considerato inopportuno e imbarazzante.
Il suo libro ha come sottotitolo “Un’inchiesta alla luce del magistero di papa Francesco”. L’autorevole vocabolario Treccani ne fa un sinonimo di “indagine”, e questa si fa quando c’è qualcosa che non si conosce e che si vuole scoprire. Non è una contraddizione, dal momento che da millenni il parere della Chiesa su questo argomento è immutato?
Per fortuna non è proprio così. Dalle condanne di Pio V (1504-1572) con la tristemente nota Bolla contro i “sodomiti” (e pensare che oggi ci sono ancora sacerdoti che ricorrono a questa terminologia medievale), all’esortazione postsinodale di papa Francesco, Amoris laetitia, in cui si afferma che nessuno può essere discriminato in base al suo orientamento sessuale (AL 250), di strada ne è stata fatta tanta.
Mercoledì 16 settembre, ricevendo dopo l’udienza generale un gruppo di genitori con figli LGBT, papa Francesco ha detto: “La Chiesa ama i vostri figli così come sono”. Una dichiarazione che ha un peso enorme. Vuol dire che la Chiesa non pretende che queste persone si “convertano” a un altro orientamento sessuale, vuol dire che è consapevole che si tratta di una dimensione profondamente connessa con la personalità di ciascuno, vuol dire anche che non pretende scissioni tra dimensione personale e percorsi di fede.
Certo, la Chiesa chiama tutti i battezzati alla virtù della castità, che non vuol dire, com’è noto, continenza assoluta, ma saggezza nell’esercizio della sessualità in base al proprio stato di vita. E qual è lo stato di vita di una coppia omosessuale che cerca sinceramente di fare la volontà di Dio nella propria vita? Al numero 52 della Relazione dopo la discussione al Sinodo dei vescovi sulla famiglia del 2014 si legge: “Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali, si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita del partner”. I vescovi, in sostanza, ammettono che anche nella relazione omosessuale si possono manifestare valori umani significativi per la vita di quotidiana e per i percorsi di fede.
Formalmente non è cambiata la dottrina, ma l’atteggiamento pastorale e umano certamente sì. Quindi è lecito chiedersi: conta più l’enunciato di una norma, o la vita reale delle persone? Ciascuno risponda in coscienza.
“L’orientamento sessuale non può definire integralmente una persona. La sessualità è importante, ma non è tutto”. Questo è quanto ha dichiarato [papa Francesco] in un’intervista, ed è in linea con il Magistero. Se davvero la sessualità non è tutto, come mai la Chiesa vi pone tanta enfasi?
La sessualità è il linguaggio dell’amore, e quindi è inevitabile che sia così importante. E questo è vero per la vita stessa delle persone, per le dinamiche relazionali, non solo per la Chiesa. Purtroppo in questo ambito la Chiesa sconta fobie che arrivano da lontano. Ogni cultura conosce meccanismi di controllo sociale per il corretto funzionamento della vita collettiva. Il tabù può essere utile come strumento di persuasione, di educazione e di difesa da forme di degrado. Ma quando si trasforma in mezzo di persuasione indiscriminato, porta alla nevrotizzazione dei comportamenti.
La Chiesa è stata a lungo prigioniera di questi comportamenti, e quando ha tentato di ridare dignità alla vita sessuale, naturalmente all’interno del matrimonio, soprattutto a partire dal Vaticano II (Gaudium et spes, n.48-52), ha incontrato anche al suo interno molteplici ostacoli. Educare a una visione corretta e serena della sessualità è quindi oggi, in epoca di crescente commercializzazione e banalizzazione del sesso, drammaticamente urgente. Educare all’affettività e alla sessualità diventa quindi determinante per la formazione integrale della persona.
Papa Francesco parla di impegno educativo nell’ambito di quella che lui definisce “ecologia integrale”, l’uomo cioè all’interno del creato. Ecco perché la sessualità è importante. Certo, si tratta poi di capire quali sono i criteri per questo percorso educativo, e quali gli snodi più importanti. Ma non credo che lo spazio ci permetta qui di approfondire un progetto organico di educazione alla sessualità.
Il volume contiene una pluralità di interventi, anche di esponenti del mondo LGBT. Perché questa scelta?
Le persone LGBT hanno gli stessi diritti di tutti in quanto persone, sul piano umano, in quanto figli e figlie di Dio, su quello della fede. E poi, in questo ambito, hanno certamente tante cose da dire e tante sofferenze da esprimere. Giusto quindi, accanto alle riflessioni degli esperti e degli addetti ai lavori, dare la parola anche a loro che, in fin dei conti, sono i destinatari di questo libro.
Gianni Geraci, tra i leader storici degli omosessuali cristiani, ha scritto per questo libro una testimonianza che mi ha molto colpito: “Solo l’autostima che nasce da una piena accettazione della propria omosessualità può infatti dare le energie per vivere seriamente la proposta esigente che lo stesso Catechismo fa nell’ultimo passaggio che dedica all’argomento”, quando cioè si coniuga la chiamata universale alla castità al servizio della vita e dell’amore, con il raggiungimento di una maturità affettiva che, prosegue Geraci, “non consiste tanto nella rimozione della propria affettività, ma che implica invece la scelta decisa di viverla responsabilmente”.
Ecco, mi sembra una conclusione condivisibile al cento per cento. Ogni relazione umana, soprattutto se si tratta di una relazione affettiva, che sia eterosessuale oppure omosessuale, non può fare a meno di maturità e responsabilità.
Un obiettivo difficile da raggiungere, una strada in salita – oserei dire una scalata. Ma la meta vale la pena. Per tutti, etero, omo, credenti e non, perché il bisogno di affetto e di amore sono iscritti nel DNA di ognuno di noi.