Come l’omofobo Bolsonaro ha preso il potere in Brasile con l’appoggio di tanti gay “velati”
Articolo di Frédéric Martel* pubblicato sul sito, nella versione in lingua francese, del magazine online Slate (Stati Uniti) il 24 ottobre 2018, liberamente tradotto da Carole Oulato
Da quando ha rilasciato alcune dichiarazioni violentemente omofobe, la comunità LGBT+ brasiliana si è battuta contro il candidato (alla presidenza del Brasile) di estrema destra (Jair Bolsonaro). Ma molti dei suoi membri votano per lui.
La riunione era stata organizzata in fretta e furia il 16 ottobre (2019) , subito dopo “i scioccanti risultati del primo turno”, mi dice Andre Fischer. Ogni militante ha chiamato i suoi conoscenti e di associazione in associazione una cinquantina di leader LGBT+ hanno finito per ritrovarsi in questa immensa sala per conferenze.
Il locale, situato in rua Saõ João, è un punto di riferimento della sinistra paulista e dei progressisti di São Paulo. In mezzo alla stanza, Julian Rodrigues, membro della sezione LGBT+ del Partito dei Lavoratori, animava l’assemblea.
Da più di un’ora, tutti e tutte si esprimono uno dopo l’altro, tre o quattro minuti al massimo, constatando la situazione allarmante. Per la maggior parte degli attivisti, la situazione è disperata: se Bolsonaro sarebbe stato eletto (ndr presidente del Brasile, come poi è avvenuto), l’omofobia di Stato sarebbe al potere.
Vedo dappertutto sui pavimenti, sui muri, sulle t-shirts, dei badges, degli adesivi e dei cartelli con scritto “Ele Não” (“Lui no”). Il momento è grave
Improvvisamente, un piccolo mormorio percorre la sala. La drag queen Tchaka è appena entrata con sua figlia in braccio. I capelli rossi, il vestito rosa confetto e turchese, è una star in Brasile. L’abbiamo vista in televisione, alla testa delle manifestazioni per i diritti delle persone LGBT+. Quando arriva è il suo turno, Tchaka prende la parola.
Con formule pompose, ampi movimenti delle mani e i tacchi a spillo, attira a sé tutti gli sguardi. Scende il silenzio. Tchaka evoca il caso di una transessuale assassinata in mattinata, alle sei, non lontano dalla stazione della metro República, “a due passi da dove si svolge questa riunione”: il suo assassino avrebbe gridato “Bolsonaro Sim” (“Sì a Bolsonaro”). La notizia è stata confermata dai media ufficiali come Globo.com
La drag queen si serve di questo esempio per illustrare ciò che attende le persone LGBT+ se Bolsonaro venisse eletto. E sappiate comunque, dice Tchaka, che “non serve più a niente combattere, tanto ha già vinto”. “È finita, Bolsonaro verrà eletto”, ripete.
Nella sala cala il silenzio. Due attivisti LGBT+ si mettono a piangere. Come gli indigeni, i neri o le donne, la comunità LGBT+ è da qualche mese in rivolta per via dei discorsi omofobi, misogini e razzisti di Jair Bolsonaro.
Il leader, tanto carismatico quanto evangelico, non ha forse dichiarato nel 2002: “Non combatto né discrimino, ma se incontrassi due uomini che si baciano in strada, li picchierei”?
Ribadisce nel 2010, durante un dibattito televisivo, dichiarandosi favorevole a delle “punizioni fisiche” come “cura” per gli omosessuali. E nel 2011, in un’intervista a Playboy, afferma: “Sarei incapace di amare mio figlio se fosse omosessuale. Preferirei che mio figlio morisse in un incidente stradale, piuttosto che vedere dei baffi accanto a lui”.
Gli attivisti LGBT+ non riescono a capire quanto credito dare a queste dichiarazioni, per lo più datate, del candidato alle elezioni presidenziali: è serio o è pazzo quando si esprime in questo modo? Si tratta di uno scherzo?
Il populista cerca solo di recuperare dei voti? È in grado di attuare queste minacce e far approvare delle leggi realmente omofobe? Tanto più che Bolsonaro, in queste ultime settimane, ha cercato di calmare le acque, e ha lasciato trasparire che gli omosessuali avranno il diritto di vivere nel suo progetto per il Brasile.
Tuttavia, in un paese dove si stima che una persona LGBT+ è assassinata ogni ventiquattro ore, questi propositi possono incitare alcuni individui – isolati, ma presenti un po’ dappertutto – a passare all’azione. L’insieme dei militanti e delle militanti sono convinti che i crimini omofobici aumenteranno se Bolsonaro sarà eletto, come legittimato dalle parole del presidente.
Comunque, si starebbe svolgendo un fenomeno estraneo e ancora poco analizzato: anche gli omosessuali voterebbero massicciamente per Bolsonaro. Questa è la paura di Andre Fischer, una delle figure gay più popolari del Brasile. Fondatore di diverse testate e media LGBT+, anima da più di vent’anni il celebre festival Mix Brazil, che celebra la diversità culturale.
La prossima edizione del festival si terrà in novembre, con 150 film in programma e undici giorni di eventi e dibattiti – se si terrà: “Non ci siamo mai serviti di un apparato di sicurezza per il festival, e per il primo anno lo faremo. Inoltre, siamo più prudenti rispetto alle parole che utilizzeremo nel programma: non scriviamo più ‘fascista’, ma ‘ultra-conservatore'”.
Andre Fischer ha smesso di votare per il Partito dei Lavoratori da molto tempo, e i suoi ultimi voti sono piuttosto andati alla destra moderata, o al centro destra. Ma domenica 28 ottobre, come tutti i membri della comunità LGBT+ presenti alla riunione di rua Saõ João, voterà per Fernando Hadda, quindi a sinistra: “Non ho scelta, è un vota assolutamente obbligatorio”.
I gay brasiliani non la pensano tutti come lui. Secondo diversi sondaggi d’opinione realizzati dai media LGBT+ e dai siti di incontro come Hornet (di cui Fischer è stato il country manager per lungo tempo), una percentuale importante di omosessuali voterebbe per Bolsonaro.
“Non sappiamo esattamente quanti sono, ma direi attorno al 30%, forse di più. Sono omosessuali che dicono che c’è bisogno di ordine. È davvero spaventoso vedere dei gay votare per Bolsonaro! In fondo, quello che temo è che i gay accettino di ri-entrare nell’armadio in cambio di un po’ di sicurezza. Bolsonaro è del tutto compatibile con l’omofobia interiorizzata di molti gay”, rimpiange Andre Fischer.
La maggioranza delle associazioni che ho intervistato non credono né al voto di leggi omofobiche, né al ritorno di una penalizzazione dell’omosessualità. In Brasile, il matrimonio tra persone dello stesso sesso è stato autorizzato dalla Corte suprema (non dal Parlamento), e un passo indietro sembra alquanto difficile nel Paese in cui si svolge ogni anno, a São Paulo, il più grande Gay Pride dell’America Latina. Ma tutta la comunità teme delle misure più perniciose.
Per mezzo di autorizzazioni amministrative del Ministero della Cultura, o attraverso certe autorizzazioni della polizia, il governo federale potrebbe limitare drasticamente i finanziamenti alle associazioni LGBT+ e la filantropia, anche quella privata, potrebbe indirettamente diminuire. E questo è lo scenario più ottimista. Il peggiore? I militanti e le militanti alzano gli occhi al cielo, come ad indicare che Bolsonaro potrebbe non avere alcun limite.
La riunione degli attivisti di rua Saõ João si conclude. Ogni membro riparte un po’ sconvolto, con un pacco di manifesti e volantini sotto il braccio, per invitare a votare il Partito dei Lavoratori e il suo candidato Fernando Haddad. Appena un centinaio di volantini. Una goccia d’acqua in un paese di 208 milioni di abitanti.
* Frédéric Martel è ricercatore e giornalista, animatore dell’emittente France Culture, ricercatore all’Università ZHdK di Zurigo e autore di otto libri, tra cui Sodoma, tradotti in una ventina di Paesi. Potete contattarlo sul suo sito o su Twitter.
Testo originale: «Bolsonaro est tout à fait compatible avec l’homophobie internalisée de beaucoup de gays»