Sotto il “velo” della Chiesa. Essere prete gay
Articolo di Amanda Ripley pubblicato sul sito del Time Magazine (Stati Uniti) il 20 maggio 2002, liberamente tradotto da Adriano C.
Il reverendo William Hart McNichols è omosessuale. Ma è anche un prete cattolico di Taos, New Mexico. Non c’è paradosso in questo, secondo gli insegnamenti della chiesa. Tecnicamente, è l’attività omosessuale che viene considerata un peccato, non l’orientamento. Tuttavia, affermando la sua sessualità nelle pagine di questa rivista, McNichols sicuramente rischierà di ricevere lettere odiose e di perdere la sua attività di sacerdote.
Lo aveva detto pubblicamente già qualche tempo fa, per cui sa cosa rischia. “Parlarne con voi”, mi ha detto la settimana scorsa, “è altrettanto spaventoso come la prima volta che lo rivelai ad altri. Ma non si può vivere la vita nascondendo quello che sei e sentirti onesto davanti a Dio”.
McNichols, 52 anni, sembra esausto quando lo dice, poco virtuoso. Dopo 23 anni come sacerdote gesuita, egli rimane profondamente fedele alla chiesa. E’ un pittore, tra i più famosi creatori di immagini iconiche cristiane nel mondo.
Ha una parrocchia di cui parla con estremo timore reverenziale, è difficile immaginarlo. E lui è infuriato per le notizie sui sacerdoti che molestano i bambini. Ma dice che non può rimanere in silenzio mentre tutti i sacerdoti omosessuali vengono accusati di tali crimini. “Questo è un momento estremamente pericoloso”, dice a bassa voce.
Ora che le trasgressioni di abusi del clero e i tentativi di insabbiamento ufficiale sono di pubblico dominio, sta uscendo allo scoperto il secondo più grande segreto della chiesa: un istituto denuncia che l’omosessualità prolifera per uno sproporzionato organico omosessuale nel clero. Ironicamente questa è una notizia vecchia per la maggior parte dei sacerdoti.
Per decenni, il clero gay ha tenuto ritiri annuali, ci sono state riunioni di gruppi di sostegno locali e si sono tenuti in contatto attraverso una newsletter sotterranea nazionale. Le stime della percentuale dei preti gay vanno dal 15% a oltre il 50%. Anche se la cifra esatta è impossibile da definire, sembra quasi certo che la proporzione è superiore a quella degli uomini omosessuali nella popolazione maschile in generale.
Eppure, mentre i cardinali degli Stati Uniti riconoscono ora pubblicamente l’enorme numero di preti gay – un evento storico – altri, allo stesso tempo, li stanno rimproverando per la debacle degli scandali di abusi. Dal momento che molte delle vittime sono adolescenti, si desume che gli autori debbano essere omosessuali; e che qui sta il problema, non nella repressione sessuale, non per il fatto che i responsabili del clero ignorano le accuse penali anche gravi.
E dopo aver raggiunto tale conclusione, alcuni prelati hanno fatto un passo ulteriore: stanno infrangendo un accordo informale che esiste da lungo tempo all’interno della chiesa, mettendo in discussione la validità anche del celibato dei preti omosessuali. Ha detto il cardinale Anthony Bevilacqua di Philadelphia: “Riteniamo che una persona che ha un orientamento omosessuale non è un candidato adatto al sacerdozio, anche se non ha mai commesso alcun atto omosessuale”.
Una cosa però, è chiara: nessuna ricerca tradizionale ha trovato alcun legame tra la pedofilia e l’omosessualità. E anche nella tempesta attuale dello scandalo, nessuno sa se ci sono più preti pedofili rispetto, ad esempio, agli insegnanti pedofili. E mentre la grande maggioranza delle vittime di abuso che sono da poco giunti all’attenzione del pubblico erano adolescenti maschi, nessuno sa quante ragazze possano essere state molestate.
Sta di fatto che l’affermazione di Bevilacqua colpisce profondamente i sacerdoti gay. Le interviste effettuate ad una dozzina di preti cattolici omosessuali in tutto il paese e ai vari psicologi che si sono specializzati nel trattamento del clero omosessuale, chiariscono che molti preti gay hanno passato la vita torturati dai conflitti tra la loro chiesa e il loro cuore.
La loro capacità di trovare la pace dipende, in molti casi, in quale ordine o in quale parrocchia sono arrivati oppure dalle ragioni che li hanno spinti ad entrare nella Chiesa. Alcuni hanno dovuto lasciare il sacerdozio attivo. Altri hanno escogitato modi complicati per conciliare gli insegnamenti della chiesa rispetto al loro stato; spesso reinterpretando le Scritture che vengono usate per condannare l’omosessualità. E come i sacerdoti etero, molti hanno rotto il loro voto di celibato con altri adulti consenzienti.
Ora, sotto la nube della crisi attuale, potrebbe essere stato raggiunto il punto di svolta. Alcuni preti gay, incapaci di sopportare l’ingratitudine dopo gli anni di servizio, dicono che i commenti malevoli possono costringerli ad allontanarli da un lavoro che svolgono in maniera eccellente. Molti altri sono ad un passo dal coming out, sprofondati nel segreto, nella vergogna e nell’isolamento; un luogo molto buio dove la disfunzione dei sacerdoti si può riprodurre. «Sono molto arrabbiato a riguardo e sto anche molto male”, dice un sacerdote gay del New Jersey che è stato ordinato 19 anni fa. “E’ molto simile all’essere rifiutati da un genitore”.
Nel 1973, quando Jay Pinkerton, ora 53enne, è entrato nella Washington Theological Coalition di Silver Spring, Maryland, sapeva di essere gay. Voleva essere sacerdote per una ragione molto comune tra gli omosessuali anziani del clero. “Sapevo che non volevo sposarmi, e amavo la Chiesa”, dice. “Lo avevo in mente fin da quando ero un bambino, e lo percepivo come un luogo sicuro. Non avrei dovuto preoccuparmi della mia sessualità. Nessuno se l’aspetterebbe che lo facessi, oggi.”
Quello che non sapeva era che tanti altri uomini omosessuali avevano fatto la sua stessa scelta. Pinkerton faceva parte di una comunità religiosa francescana. Rispetto ai sacerdoti diocesani, è una comunità religiosa che in genere attrae maggiormente gli uomini, poichè normalmente non sono sotto la stretta sorveglianza di un vescovo e di una parrocchia. La comunità francescana di Pinkerton nella costa orientale, includeva circa 400 uomini, egli stima che circa 250/300 di essi fossero omosessuali. Egli però sostiene di non non essersene accorto fino a dopo la sua ordinazione. Ben presto si ritrovò seduto alla “tavola dei preti gay” in una celebrazione per l’ordinazione di un fratello sacerdote, e cominciò ad unire i puntini.
Da sacerdote ordinato, Pinkerton si ritrovò a fare ciò che egli chiama “il tip-tap” cercando di conciliare la sua vita impegnata verso un’istituzione, che non era incondizionatamente impegnata verso di lui. Nel 1984 si era aperto completamente ai suoi confratelli, che descrive come aperti e solidali. Nell’ottobre del 1986 ha però smesso di celebrare la messa, dopo il ricevimento di una direttiva del Vaticano (poi soprannominata la lettera di Halloween) che ha dichiarava l’omosessualità un “disordine oggettivo” ed avvertiva che la società non dovrebbe essere sorpresa dalla violenza commessa contro i gay e le lesbiche che perseguono i diritti civili. Dopo alcuni mesi di riflessione, Pinkerton è riuscito a parlare della sua esperienza dal pulpito. “Mi sono detto, i vescovi non sono la chiesa, il lavoro significa molto per me. È possibile modificarla [la chiesa] dall’interno”.
Ma il balletto di Pinkerton, non è finito. Sostiene di non essere mai stato celibe. Ha avuto due relazioni lunghe con altri sacerdoti. Da un punto di vista logistico, avere un partner non è mai stato difficile, i sacerdoti usualmente andavano in vacanza insieme, e la maggior parte del lavoro di Pinkerton, il servizio alle persone omosessuali e ai malati di AIDS, si svolgevano in una fascia tollerante. “Mi dicevo le stesse cosa che volevo dire ai parrocchiani nel confessionale: queste persone [gli amanti] sono stati messi da Dio sulla mia strada, e arricchiscono la mia vita; e il mio ministero”.
Il più delle volte, dice Michael Mendola, lo psicologo ex prete la cui professione è rivolta al clero omosessuale, “è estremamente difficile per un prete gay avere un rapporto ed essere felice. Cominciano subito col metterne in discussione l’autenticità”.
Un giorno, nei primi anni del 1990, un amico ha detto a Pinkerton che “mentiva nell’omissione”. I suoi parrocchiani pensavano che fosse celibe quando lo ascoltavano predicare. E pian pianino, trovava sempre più difficile respingere “la voce” che lo colpevolizzava di questa dissonanza. “Se non puoi essere te stesso nella tua vita, ciò ti crea una quantità enorme di stress”.
Nel 1994 Pinkerton lasciò il sacerdozio formale. Come Pinkerton, alcuni uomini considerano il sacerdozio come un rifugio. Altri sperano che prendendo il voto di celibato, potranno annullare l’orientamento che gli procura tanta vergogna. Come dice un prete gay di New York City “Pensi a te stesso come una persona omosessuale che vuole con tutto il cuore non essere una persona omosessuale. Che mestiere potrai fare?”
Per altri ancora c’era il fascino della cultura. “Il cattolicesimo era la cultura moderna più omoerotica e più a portata di mano”, scrive Mark Jordan, un professore di religione presso la Emory University, nel suo libro “The silence of Sodom” (Il silenzio di Sodoma). Egli fa riferimento al fatto che più uomini non-sposati abitano in una residenza comune, e al rito eucaristico, “nel quale un clero tutto maschile sacrifica la carne di un maschio davanti a immagini di Dio raffigurato come un uomo quasi nudo.”
Ma ci sono altri uomini giunti al sacerdozio perché si sentivano chiamati. “Dio mi ha dato questa vocazione quando ero un ragazzo molto piccolo, prima di comprendere di essere gay”, dice McNichols. “Non mi sembra che importasse a Dio”.
Ma crescere omosessuale ha fatto di lui un prete migliore, dice. “Lo stato di emarginazione delle persone gay può fornire loro una propensione naturale verso l’ascolto. Possono essere riconciliatori; possono comprendere le sofferenze di entrambi i sessi. Sono sacerdoti naturali». McNichols è ora preoccupato che gli venga tolro il sacerdozio. “Siamo tutti un po’ come la famiglia di Anna Frank, in soffitta, in attesa che arrivino i nazisti. E questo è sbagliato”, dice. “La Chiesa di Cristo non dovrebbe essere un luogo di paura”.
La chiave per essere un sano sacerdote celibe è essere in pace con la propria sessualità, dice il Rev. Robert Silva, presidente della Federazione Nazionale dei Consigli del Clero. “Suggerisco sempre, sia ai seminaristi gay che a quelli etero: devi stare bene con chi sei tu. Devi capire che i sentimenti sessuali sono parte dell’esperienza umana. Il sacerdozio è una vita difficile. Se trovi che le sollecitazioni e l’isolamento sono pesanti, stai cercando di riempire il vuoto”.
Ma la Chiesa continua a rendere difficile ai sacerdoti omosessuali di accettare e integrare i propri desideri sessuali con la loro identità. Una delle poche decisioni concrete che hanno preso i Cardinali degli Stati Uniti dopo il loro incontro a Roma con il Papa il mese scorso, è stato quello di organizzare una squadra che, mediante una visita apostolica, ispezionasse tutti i 220 seminari e gli altri istituti preparatori della Nazione.
Lo scopo è quello di determinare se le scuole sostengono la difesa della dottrina morale ortodossa nella procedura delle applicazioni e nelle loro classi. Alcuni sacerdoti la vedono come un codice per la caccia alle streghe. Secondo un portavoce della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, i dettagli sulle visite non verranno fissati fino alla riunione dei vescovi americani, prevista a Dallas dal 13 al 15 giugno.
La decisione potrebbe avere un effetto drammatico su seminari come il St. Patrick a Menlo Park, in California. Il suo direttore, il reverendo Gerald Coleman, è d’accordo con Silva che l’istruzione psicosessuale e un dialogo aperto sono tra i metodi migliori per prevenire comportamenti sessuali inappropriati, per non parlare della depressione, della dipendenza e di altre disfunzioni.
Egli richiede che i suoi 103 seminaristi facciano i conti con la propria sessualità, siano essi omo o etero, per tutta la durata della loro permanenza di cinque anni di studio. Tra le altre cose, essi sono tenuti a discutere una volta al mese con i loro consiglieri sulle loro attitudini sessuali e sul loro sviluppo, e devono frequentare tre corsi sulla sessualità: un incontro sulla sessualità umana in generale, un altro sull’intimità e il celibato, e uno sugli abusi sessuali, che comprende letture di brani scritti sia da parte delle vittime che dai carnefici.
Ma anche in questo spirito di apertura illuminata, il dialogo è teso e instabile.In un recente corso di incontri facoltativo di Coleman “L’omosessualità e la Chiesa”, parole e frasi come pene, Freud, retto maschile e Will & Grace vengono sbandierati senza imbarazzo. Coleman include l’insegnamento di testi sull’omosessualità e l’impatto psicologico dell’omofobia.
Ad un certo punto dice che gli adolescenti omosessuali soffrono di una mancanza di modelli di ruolo. Subito dopo, dice che i preti e gli insegnanti omosessuali non dovrebbero rivelarsi, per non confondere i bambini. Si tratta di un atto di equilibrio imbarazzante, e un seminarista richiama Coleman sulla contraddizione. “Come fanno i giovani a capire la loro sessualità, se non hanno modelli di ruolo?” chiede Chris Sellars, 27 anni, che dovrebbe essere ordinato sacerdote il prossimo gennaio.
Coleman ascolta con attenzione, ma mantiene la sua posizione imperfetta. “Il nostro ruolo fondamentale è quello di annunciare il Vangelo” dice. Gli altri sette studenti seduti al tavolo si guardano l’un l’altro leggermente confusi, ma Coleman li incoraggia ad accettare l’ambiguità e ad essere consapevoli delle diverse prospettive.
Le recenti dichiarazioni dei cardinali che collegano l’omosessualità alla pedofilia rendono il lavoro ancora più difficile, dice Coleman. “Penso che abbiano confuso i problemi ulteriormente.” Sebbene St. Patrick sia un collegio tra i più liberali, la maggior parte dei seminari hanno ora gli esami di screening psicologico e una qualche forma di training psico-sessuale.
Alcuni membri più conservatori della chiesa però sono a favore di un approccio diverso. I prelati dell’arcidiocesi hanno detto al “Philadelphia Inquirer” lo scorso aprile, che il seminario S. Carlo Borromeo appena fuori Philadelphia, chiede ai richiedenti di denunciare il proprio orientamento sessuale e vieta l’ingresso agli uomini omosessuali, indipendentemente dalla loro volontà di essere celibi,. (I responsabili del St. Carlo si sono rifiutati di parlare con noi).
Mons. Wilton Gregory, presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, ha espresso la preoccupazione che i seminari promuovano “un ambiente o delle dinamiche omosessuali, che rende i giovani eterosessuali dubbiosi e ci pensino due volte” sulla loro entrata in seminario. I seminari variano enormemente, a seconda del tempo e del luogo. Pinkerton però dice di non aver mai notato una “subcultura gay” durante i suoi anni di studio nel 1970.
Un prete del New Jersey che ha frequentato un seminario di Chicago più o meno allo stesso tempo ha ricordi più colorati: “Quel posto era un ‘liberi-tutti’ divertente e selvaggio. Se andavi in uno dei tanti bar gay, ci trovavi sicuramente un sacerdote o un seminarista”. Invece a San Patrizio, Sellars dice che l’atmosfera è quella di un collegio serio, dove solo gli amici intimi sono a conoscenza dell’orientamento sessuale di uno e dell’altro. Il seminarista Ron Zanoni, di 46 anni, fa una battuta: “Non c’è per niente cultura… figurati la sub-cultura!!!».
Ma la sfida più grande, per i sacerdoti gay ed etero, arriva dopo il seminario. Vivere in una canonica, dice il Rev. Jim Morris, può essere un’esperienza di solitudine disperata. “Vi sarà possibile condividere alcuni dei momenti più importanti con i vostri parrocchiani, una nascita, il matrimonio, la morte; ma alla fine della giornata, si chiude la porta, e voi siete da soli.”
Morris, 51 anni, ha trascorso sei anni come vice-parroco di Nostra Signora di Lourdes a Queens Village, NY. Nel 1995 si innamorò e prese un congedo di allontanamento per vivere con il partner. Egli continua ad agire sacramentalmente però, celebra la Messa per un gruppo di cattolici omosessuali di New York, presiede ai funerali di ex parrocchiani e alle confessioni. “Sì, sto infrangendo una promessa non essendo celibe”, dice. “Ma la promessa ha perso senso per me. Finché la mia comunità richiede i miei servizi, io sarò presente”.
Pinkerton è ancora prete, ora ha uno studio privato di terapia e conduce un gruppo di sostegno per il clero, sia a praticanti che a ex-preti. Celebra la Santa Messa di tanto in tanto a casa sua, come ha fatto la scorsa settimana con alcuni amici per celebrare il 25° anniversario della sua ordinazione. Lui è stranamente impacciato quando parla di “celebrare” un evento del genere. “C’è una certa tristezza. Mi chiedo: è stato un fallimento? L’ho voluto io tutto questo?”
Alcune settimane fa, Pinkerton ha incontrato due vecchi amici, una coppia che ha due figli, ormai cresciuti. Era stato molto vicino al loro figlio, che portava spesso a vedere gli Yankees allo stadio. Quella sera durante la cena, proprio come una volta aveva detto loro che era gay, ha fatto un’altra dichiarazione improvvisa: “Ho detto loro: ‘Voglio che sappiate una cosa, non ho mai toccato i vostri figli'”. Lo hanno guardato come se fosse pazzo. Ma sotto la luce dei riflettori, dice lui, è colpevole solo fino a prova contraria.
Testo originale: Inside The Church’s Closet