Anni 60. La battaglia degli attivisti LGBT contro i media omofobi di San Francisco
Articolo di Sarah Hotchkiss* pubblicato sul sito KQED (Stati Uniti) il 13 giugno 2019, liberamente tradotto da Silvia Lanzi, parte prima
Il giorno che sarà conosciuto come “Friday of the Purple Hand” (“il venerdì della mano viola”) finì con quindici arresti, una costola rotta, una serie di denti sfondati e impronte viola disseminate sui muri esterni del San Francisco Examiner.
Quando la Nazione Queer ‘contrattaccó’ l’omofobia con ronde di strada e glitter, quattro mesi dopo i famigerati moti di Stonewall a New York, le più radicali organizzazioni LGBTQ+ della Bay Area (di San Francisco, Stati uniti) rifiutarono di accettare passivamente il quadro negativo della loro comunità dipinto dai giornali locali. Così il 25 ottobre, quando l’Examiner pubblicò un articolo del reporter Robert Patterson dal titolo “Gli squallidi festini dei ‘gay’ club di S.F.”, il giornale, senza saperlo, lanciò una potente chiamata alle armi proprio alle persone che aveva deriso.
Gli eventi di quel giorno mostrano che il campo di battaglia del crescente movimento per la liberazione gay non erano solo le strade e i bar — dove le persone LGBTQ+ chiedevano il diritto di vivere apertamente e senza essere molestate dalla polizia —, ma anche le pagine dei giornali e delle riviste americane. Così, gli aggettivi sprezzanti dei principali media, le citazioni ironiche e tra virgolette, i titoli diffamatori ebbero il potere di formare l’opinione pubblica di un gruppo minoritario ma sempre più visibile e “parlante”.
E, comunque, non si aspettavano affatto che una coalizione di gruppi di liberazione gay contrattaccasse.
Una comunità si mobilita
Per gli standard odierni, l’articolo di Patterson, apparentemente sugli after-hours “‘gay’ breakfast club” (da notare le virgolette della parola “gay”), si legge come un articolo fazioso. Descrive la clientela di queste cosiddette “strutture depravate” in modalità omofobe quantomai grossolane ed inaccettabili: “mezzi uomini con polsi e fianchi flessibili”, “il sesso pseudo-debole” e “donne che non erano esattamente donne”. (Come testimonianza della “credibilità” di Patterson, nel 1972 fu licenziato dall’Examiner per aver scritto una serie di storie su una sua visita in Cina perchè alla fine si venne a sapere che non aveva mai visitato quel Paese.)
Gli attivisti chiedono un Pride senza poliziotti, mentre l’SFPD (il dipartimento di polizia di San Francisco) migliora la sua immagine gay-friendly
La comunità che aveva descritto era indignata. “Il San Francisco Examiner ha sorpassato il suo tradizionale livello di mancanza di tatto e la sua prevedibile attrazione per una becera isteria” scrisse in risposta il Committee for Homosexual Freedom (Comitato per la libertà omosessuale), un nuovo gruppo di liberazione gay: “L’intera comunità gay e tutti coloro che lavorano per una vera liberazione si devono mobilitare per confrontarsi con la brutale soppressione della libertà che l’Examiner incoraggia ed alimenta costantemente”.
Venne fissata una data dopo diversi tentativi di trattare direttamente con l’editore del giornale e Patterson: si sarebbe tenuta una protesta su larga scala il 31 ottobre, con inizio a mezzogiorno, sul marciapiede fuori dal palazzo dell’Examiner, nella Fifth Street.
La “mischia”, come il giorno dopo la descrisse l’Examiner, iniziò quando due sconosciuti (si pensa impiegati del giornale) lanciarono dal tetto dell’edificio borse di inchiostro viola delle rotative sui pacifici manifestanti sottostanti: “L’indignazione si trasformò in rabbia” scrisse più tardi uno di loro sul San Francisco Free Press, “Sguazzavamo nell’inchiostro caduto sul marciapiede. Intingemmo una o due mani nell’inchiostro e nacque un nuovo simbolo”.
Inizialmente la polizia prese solo uno dei dimostranti, il primo che mise la mano sporca d’inchiostro sui muri dell’edificio, ma poi ne arrestò altri, la “Tac Squad” [“Squadra Tattica] (descritta sardonicamente come “sempre e comunque sul pezzo”) si mosse e mostrò gli sfollagente dichiarando il picchetto un’assemblea illegale.
Nelle conseguenti “fracas” [“baruffe”] (un’altra grande parola del 1969), vennero arrestati una dozzina di dimostranti per condotta disordinata, che finirono nel cellulare, alcuni di essi con accuse penali che però decaddero (tranne per uno che, presumibilmente, aveva colpito un ufficiale di polizia). Gli altri dimostranti protestarono davanti al municipio, dove altri tre vennero arrestati per sconfinamento, assemblea illegale e permanenza sul luogo della sommossa (sostanzialmente erano rimasti nell’edificio dopo l’orario di chiusura).
Mentre il governo USA se ne stava senza far nulla, l’attivismo sull’AIDS mobilitava San Francisco
Ovviamente, la pesante risposta del SFPD, e le conseguenti accuse contro l’arresto dei dimostranti, galvanizzò non solo i membri dei gruppi LGBTQ+ più radicali, ma anche la vecchia guardia dalla quale, all’inizio, avevano cercato di distanziarsi, creando una rete di supporto che, negli anni seguenti, avrebbe alimentato il movimento di liberazione gay della Bay Area.
Marc Robert Stein, professore di storia alla San Francisco State University ed editore di “The Stonewall Riots: A Documentary History”, pensa che il tempismo dell’articolo di Patterson non fu una coincidenza, ma riflettesse invece gli atteggiamenti omofobi del periodo contro lo sviluppo delle organizzazioni gay: “Ottobre fu il mese nel quale, per la prima volta, le riviste tradizionali si occuparono di Stonewall. Il movimento stava davvero crescendo. Ed è proprio in quel periodo che successe questa storia ostile così incredibile”.
* Sarah Hotchkiss vive a San Francisco, è un’artista e scrive di arte. È coproprietaria dello spazio espositivo Premiere Jr. a San Francisco. Nel 2019 è stata premiata per il suo giornalismo d’arte. È un’appassionata di fantascienza, di cui scrive in un periodico semiregolare chiamato Sci-Fi Sundays. Email: shotchkiss@kqed.org Twitter: @sahotchkiss
Testo originale: Armed with Ink, 1960s Activists ‘Struck Back’ Against Homophobic Media