Fede e omosessualità. Perchè «La violenza non appartiene a Dio»
Intervista di Giampaolo Petrucci a Antonio De Caro pubblicata sul settimanale cattolico Adista Segni Nuovi n.42 del 28 novembre 2020, pag.8-9
Classe ‘70, siciliano, esperto di cultura grecolatina, Antonio De Caro vive e insegna materie umanistiche nelle scuole superiori di Parma. Collabora con il portale Gionata.org e con l’associazione “La Tenda di Gionata” che si occupa di promuovere l’incontro e l’integrazione tra fede cristiana e omosessualità.
Ha collaborato più volte anche con Adista e, in particolare, con questo fascicolo di Segni nuovi. De Caro ha appena pubblicato “La violenza non appartiene a Dio” (ed. Etabeta, 2020, 214 pagine) che, attraverso la vicenda di Adriano e Gabriele, racconta l’amore omosessuale – fatto di cura, impegno, progettualità, ricchezza spirituale al pari di ogni altro legame familiare – che la Chiesa cattolica ancora non sa accogliere, valorizzare e benedire.
Parliamo di Adriano e Gabriele…
Le riflessioni racchiuse in questo libro nascono da reali esperienze di dolore, riscatto e fede. Per questo, volevo che il messaggio viaggiasse anche sul piano esistenziale, attraverso alcuni squarci di storytelling che dessero il calore e l’urgenza di un vissuto autentico. Dietro Adriano e Gabriele, uomini che si amano e hanno fatto un progetto di vita insieme, ci sono storie reali, che appartengono alla vita mia e di altri omosessuali credenti: ho solo inventato i loro nomi, che indicano anche due grandi dimensioni per me essenziali, quella classica e quella evangelica.
Lo scopo di questi personaggi è comunque di suggerire che nessuno può parlare al posto nostro: ogni considerazione morale e spirituale sull’omosessualità dovrebbe comportare l’incontro con gli esseri umani, come avrebbe fatto Gesù. E questo vale soprattutto per la Chiesa, che pretende di parlare in suo nome.
Cosa c’è di “violento” nell’insegnamento cattolico sull’omosessualità?
Molti vescovi e molti sacerdoti condannano ancora l’orientamento e l’amore omosessuale, diffondendo una mentalità ostile. Immaginiamo le conseguenze devastanti che una simile mentalità può avere in una famiglia cristiana in cui un figlio o una figlia fanno coming out. È paradossale: la Chiesa cattolica su questo tema si arroga ancora il potere di fissare dei riferimenti morali (ritenuti infallibili) anche se poi afferma di essere in ritardo sull’argomento e di dovere ancora imparare dalle scienze umane, dopo secoli di inesorabili condanne. Nessuno può affermare di essere ignorante su un tema e, contemporaneamente, dare su di esso drastiche indicazioni. Come se io, che non sono un medico, fornissi indicazioni diagnostiche o terapeutiche spacciandole per attendibili: verrei giustamente denunciato.
I documenti del Magistero vigente presentano un’incoerenza di fondo: le persone omosessuali vanno accettate per quello che sono, ma non possono agire seguendo la propria natura, cioè non possono costruire una vita di coppia e di relazione esprimendo anche nella sessualità la loro vocazione all’amore. Alle persone omosessuali viene cioè imposto un destino di vita che soffoca il loro libero dialogo con Dio.
Questa contraddizione, che fra l’altro collide con altri insegnamenti della Chiesa, provoca nelle persone omosessuali una lacerazione interiore che può durare anni e provoca enorme sofferenza. Alcuni tentano davvero il suicidio, con esiti talvolta tragici; o vengono “uccisi” interiormente, giorno per giorno, dal disprezzo e dall’odio per se stessi. Tutto questo non può appartenere a Dio, ma a chi è “omicida fin dal principio”.
Cosa cambia realmente per i credenti omosessuali dopo le parole di Francesco sulle unioni civili?
Francesco, lo abbiamo compreso gradualmente nel corso degli anni, non intende modificare la dottrina, ma aprire spiragli di dialogo e riflessione che con il tempo porteranno alla crescita della Chiesa. Le parole del papa sulle unioni civili – ma anche il suo recente incontro personale con i genitori credenti di figli LGBT – possono davvero creare spazi di accoglienza e rispetto, all’interno della Chiesa, per le persone omosessuali e le loro relazioni, soprattutto se rappresentano l’espressione responsabile di un progetto di vita.
Adesso possiamo avere una maggiore visibilità e chiedere ai nostri pastori un dialogo più rispettoso. Nel muro si è aperta una breccia: e dall’incontro autentico con le persone – come Adriano e Gabriele – possiamo sperare che sempre più cristiani arrivino a comprendere l’assurdità delle posizioni del Magistero su questo tema.
Cosa suggerisci a un giovane credente omosessuale che si scontra con l’omofobia dilagante nella Chiesa cattolica? Andare via o restare, condannandosi magari a frustrazioni, umiliazioni e violenze?
Tutte le vie sono buone se permettono di seguire Cristo e di imparare ad amare come lui. Se una persona LGBT, nonostante tutto, intende rimanere in comunione con la Chiesa cattolica, è perché in essa ha ricevuto un annuncio che rinnova la sua vita: un annuncio che passa anche attraverso i sacramenti e il tesoro di spiritualità e di pensiero che la Chiesa cattolica – oltre ai suoi errori – ha accumulato nel corso dei secoli.
Personalmente, pur riconoscendo con Giovanni Paolo II le nefandezze compiute nella storia nel nome della Croce, trovo ancora un grande nutrimento spirituale in alcune figure della Chiesa cattolica, da cui ho appreso il linguaggio e i simboli della fede, cioè come il Vangelo può dare senso alla vita. Per questo resto, sia pure in una posizione critica e libera, e forse questo vale anche per altri. Quello che possiamo fare è scegliere il Dio della misericordia, non il Dio della condanna idolatrato dagli integralisti.
Possiamo avvicinarci ai gruppi di omosessuali credenti, dove trovare consolazione, sostegno e speranza, ce ne sono in tutta Italia, presentati su www.gionata.org. Possiamo, se e quando ci sentiamo pronti, offrire alla Chiesa la testimonianza trasparente delle nostre vite, liete e responsabili. Possiamo costruire noi una Chiesa rinnovata, certi della dignità sacerdotale che scaturisce dal nostro battesimo.
Non credo (e nemmeno tu) nel fondamento biblico dell’omofobia. Piuttosto credo nella perfetta alleanza tra culture conservatrici e omofobe politiche ed ecclesiali (penso alla situazione in Polonia o all’Italia dei Family Day italiani o delle crociate anti-gender) che producono una forma di violenza “fondata sulla fede”.
Certo, questa perversa deriva, i cui risultati geopolitici sono sotto gli occhi di tutti, è forse l’aspetto più inquietante e manifesto di quella violenza di cui parlavamo all’inizio. È un pericolo reale per la convivenza pacifica e l’identità democratica anche nel nostro Paese. A questo proposito, vorrei evidenziare un fatto sorprendente. Il Magistero vigente (seguito da molti) condanna gli atti omosessuali anche sulla base dell’episodio biblico di Sodoma e Gomorra.
Bene, di recente la Pontificia Commissione Biblica ha avallato la corretta interpretazione di quel passo, in cui al cospetto di Dio grida non il comportamento omosessuale, ma la violenza contro gli indifesi e gli stranieri. Se si legge attentamente, si nota che gli abitanti di Sodoma si comportano con modalità squadriste (tanti contro uno, la forza bruta contro il dialogo, il disprezzo verso chi viene da fuori): attraverso il mio libro, ho cercato anche di mostrare che proprio gli estremisti capaci di questi comportamenti sono i veri sodomiti che hanno sempre perseguitato.